100 anni dalla rivoluzione russa
di CONFLITTI E STRATEGIE (Gianni Petrosillo)
1917-2017. Sono trascorsi esattamente cento anni dalla grande Rivoluzione Sovietica che trasfigurò il volto dell’Europa e del mondo intero. La rivoluzione contro “Il Capitale” di Marx la definì Gramsci. Ne aveva ben donde. Di quanto vaticinato dal pensatore tedesco negli eventi russi, infatti, non c’era poi molto.
Una classe operaia striminzita, a causa dell’arretratezza industriale del Paese, masse contadine predominanti, costrette a vivere in condizioni semiservili, e orde di soldati male armati e sottopagati, arcistufi di morire in guerra per la dinastia parassita dei Romanov. Fu l’alleanza, tutt’altro che naturale, tra questi settori, guidati dall’ideologia comunista delle avanguardie bolsceviche, che permise il rovesciamento della monarchia e l’instaurazione di una nuova società basata, non sulle teorie di Marx, ma su di una certa interpretazione datane da Lenin (e da altri) con lenta costruzione di un modo (di produzione) sociale differente da quello capitalistico.
Non fu, dunque, comunismo ma fu sicuramente l’innalzarsi, in un luogo ben preciso, di un muro contro l’estensione di una dinamica di matrice capitalistica che sembrava non dover più incontrare ostacoli sul suo cammino, approfondendo i suoi rapporti gerarchici di dominanza (tra soggetti individuali e collettivi).
Per questo si parlava di marxismo-leninismo. Tuttavia, sebbene il leninismo s’ispirasse alle idee marxiane, il revisionismo dell’uomo della Lena fu l’unico approccio possibile (e vincente) ai convulsi eventi russi. Tanto che lo stesso Lenin si chiedeva se fosse o meno opportuno far scoccare subito l’ora fatale oppure attendere il formarsi di una classe operaia di fabbrica, che rendesse finalmente il proletariato egemone nella società russa, prima di tentare la scalata al governo.
Ma questa presunta egemonia, come si era visto nei paesi più sviluppati, non comportava automaticamente la presa del potere. Ciò perché spontaneamente i ceti subalterni producono unicamente una coscienza tradunionistica, tesa al miglioramento delle condizioni esistenziali, ma nessuna concreta “volontà di potenza” per guidare la comunità verso un altro orizzonte. Il proletariato non è rivoluzionario e i tentativi di Lenin di distinguere tra classe in sé (le masse sfruttate) e classe per sé (l’avanguardia consapevolmente rivoluzionaria), furono espedienti per la situazione concreta che non potevano mutare la natura di questo corpo perfettamente integrato nelle logiche capitalistiche, in quanto prodotto del sistema e dei suoi rapporti sociali.
Del resto, Marx aveva elaborato un concetto molto più complesso di quello meramente “operaistico”, ovvero quello del General Intellect (unione dei lavoratori del braccio e della mente nel processo produttivo). Lo intuì basandosi su quanto vedeva tendenzialmente all’opera nella società dei suoi tempi, dove centralizzazione dei mezzi di produzione e sostenuta socializzazione del lavoro (con formazione del lavoratore cooperativo associato) sembravano dover raggiungere un punto in cui sarebbero diventati incompatibili col loro involucro capitalistico. Non è accaduto e qui si ferma la sua previsione scientifica che è stata irrimediabilmente falsificata dalla storia.
Storia che però si è servita dell’energia del comunismo russo (e internazionale) e degli sforzi sovrumani di tutti i popoli sovietici per far nascere una potenza geopolitica che ha tenuto testa per decenni alla supremazia americana e occidentale. Tanto che, anche dopo il crollo dell’Urss, sotto le rovine e la cenere del socialismo realizzato, hanno continuato ad ardere quei sentimenti di sovranità e di egemonismo di cui altri hanno raccolto il testimone, liberi dalle pastoie ideologiche di una volta. Per questo la rivoluzione russa è stato un bene per l’umanità, un faro per la resistenza al predominio di un solo paese sulla sfera terrestre. L’unipolarismo determina soprusi, sottomissioni, guerre, torti contro la maggioranza delle nazioni e delle popolazioni, come abbiamo potuto vedere nel periodo di predominanza americana, ora più affievolita.
Chi disprezza la Rivoluzione Sovietica intende mistificare il passato per influenzare il futuro. Certi “cattivi” esempi devono essere cancellati dalla memoria per tenere a bada i “vindici” e gli sconfitti. Si teme, infatti, che i dominati (anche nel senso degli Stati) raccolgano ancora tali sfide per affermare la propria autodeterminazione e rivoltarsi contro la nation prédominante. I sedicenti liberali sono al servizio di questa propaganda che mira a screditare i fatti del ’17 per sostenere il vecchio ordine mondiale. In questa fase si stanno moltiplicando gli articoli sul tema che puntano, con argomenti falsi e pretestuosi, a portare il dibattito lungo i soliti binari morti degli stermini di massa e del conculcamento della libertà (tutti crimini perpetrati anche dalle democrazie che, come dice Trump, non sono innocenti ma sono abili a nascondere dietro la schiena le mani insanguinate).
I liberali, per natura piagnucolosi ed ipocriti, sono fatti così, e come afferma Bonnard, sono i personaggi più vanitosi della storia. Essi vogliono che la politica sia un dibattito, non una battaglia. Invece, noi vogliamo che questa battaglia culturale li metta con le spalle al muro e ribatta colpo su colpo alle loro menzogne
Scrive Berti su Il Giornale: “Ricorre quest’anno il centenario della rivoluzione russa, uno degli avvenimenti più importanti del XX secolo.
È quasi universalmente accreditata l’idea che si sia trattato in sostanza di un unico processo storico iniziato nel febbraio e conclusosi in ottobre. Niente di più falso, perché nel 1917 vi furono due rivoluzioni, quella liberale di febbraio e quella bolscevica di ottobre: due moti diversi, per non dire opposti, dato che la prima liberò la Russia dall’assolutismo, la seconda la portò al totalitarismo. Certo, tra i due eventi non vi fu di fatto soluzione di continuità, ma la loro natura segna un dualismo non sintetizzabile in un unico giudizio storico.
Va detto subito che il rivolgimento del ’17 avvenne a causa dall’implosione dello zarismo, consuntosi al suo interno. Tre anni di guerra avevano dissanguato il Paese, riducendo milioni di persone alla fame e allo stremo delle forze. L’ostinazione del governo nel volere continuare il conflitto, la sua ripetuta sordità a ogni richiesta di mitigare le condizioni disumane della popolazione e la sua incapacità nel far fronte ai più elementari bisogni sociali delegittimarono non solo la sua autorità politico-morale, ma anche quella sacro-imperiale dello zar.”
Ma i bolscevichi ebbero la meglio sugli amichetti dei liberali perché quest’ultimi, giunti al potere, si ostinavano a voler continuare il conflitto, erano sordi a mitigare le condizioni disumane della popolazione e non erano in grado di far fronte ai più elementari bisogni sociali. Proprio come gli zaristi. Lenin, invece, anche a costo di pesanti perdite territoriali per la Russia (fu persino accusato di tradimento da alcuni settori più nazionalisti) promise e giunse alla pace ottenendo il consenso dei soldati stremati, della piccola classe operaia e delle grandi masse contadine. Di questi attacchi vili e servili ne leggeremo tanti in questi mesi. Prepariamoci a rintuzzarli. Non per nostalgia del passato ma per cambiare il futuro.
Fonte:http://www.conflittiestrategie.it/100-anni-dalla-rivoluzione-russa
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