Donbass, una guerra nel cuore d’Europa
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Marcello Berera)
Si riaccende il conflitto, ma la guerra non si era mai spenta.
Da oltre un mese, lungo la linea del fronte la pioggia di fuoco è incessante. L’esercito ucraino impiega mortai, artiglieria pesante, lanciarazzi e carri armati per rompere le difese dei “separatisti”, ma le milizie popolari resistono alla scontro e mantengono le posizioni. Dal settembre del 2014 è in vigore un accordo per il cessate il fuoco, rinnovato nel febbraio del 2015, tra le autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk e il governo ucraino di Petro Poroshenko, ma non v’è stato un singolo giorno in cui non si siano registrate violazioni della tregua da parte dell’esercito di Kiev, come testimoniano quotidianamente il Centro Stampa Internazionale di Donetsk e LNR Today – Italia.
Gli accordi sottoscritti a Minsk prevedono la smilitarizzazione del fronte. I calibri superiori ai 100mm sono vietati ed i relativi armamenti dovrebbero trovarsi a non meno di 50 chilometri dalla linea di contatto, i sistemi di lanciarazzi multipli (MLRS Grad) a non meno di 70km, mentre i sistemi tattici MLRS Tornado-S, Uragan, Smerch, e Tochka U a non meno di 140km, ma l’esercito ucraino ha approfittato della tregua per occupare i villaggi de-militarizzati e posizionarvi truppe ed artiglieria.
Il 18 dicembre scorso le truppe di Kiev lanciarono una violenta offensiva nei pressi della città di Debaltsevo, un importante snodo che collega Donetsk a Lugansk, già teatro di sanguinose battaglie e celebre per l’azione che portò all’accerchiamento e alla resa di 10.000 militari ucraini. L’esercito di Kiev ha fatto largo uso di artiglieria pesante (anche contro quartieri residenziali), prima di far avanzare la fanteria e i mezzi corazzati, ma le milizie popolari sono riuscite a resistere all’assalto causando gravi perdite e numerosi feriti tra le fila ucraine.
Per risollevare il morale del governo e dell’esercito ucraino si sono avvicendati, nel giro di pochi giorni, due falchi della politica estera americana e padrini d’eccezione del colpo di Stato che ha deposto Yanukovich per insediare un governo disposto ad accettare i diktat di Washington e del Fondo Monetario Internazionale. Stiamo parlando del Senatore John McCain e dell’ormai ex Vice Presidente USA Joe Biden. I due funzionari statunitensi hanno rassicurato Poroshenko che il sostegno politico e militare americano all’Ucraina non verrà meno, nonostante l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
nziché invitare al rispetto degli accordi di pace e consigliare moderazione al governo di Kiev per trovare una soluzione ragionevole al conflitto, le dichiarazioni di McCain hanno lo stesso effetto della benzina sul fuoco. L’odio anti-russo del Senatore ha provocato una nuova riaccensione del conflitto ed il fallimento definitivo del percorso di trattative intavolate a Minsk. Secondo Eduard Basurin, Vice Comandante delle Forze Armate della DNR, infatti, le ragioni dell’escalation bellica di questi ultimi giorni risiedono proprio nella recente visita dei due funzionari statunitensi in Ucraina.
Nell’ultima settimana l’esercito ucraino ha bombardato 15mila volte il territorio della sola Repubblica Popolare di Donetsk, colpendo indiscriminatamente obiettivi militari e civili. Vengono presi di mira ospedali, edifici residenziali, mercati, miniere e infrastrutture anche a chilometri di distanza dal fronte come testimoniano i numerosi video del reporter italiano Vittorio Nicola Rangeloni sul canale YouTube di DONi:
L’esercito ucraino colpisce indiscriminatamente obiettivi militari e civili, anche a chilometri di distanza dalla linea del fronte
Il Presidente russo Vladimir Putin ha puntato il dito contro l’Ucraina per l’aggravarsi del conflitto in Donbass. Il Governo di Kiev, sostiene Putin, ha bisogno di soldi e deve presentarsi presso l’Unione europea, i singoli Paesi membri dell’Ue, gli Stati Uniti e le istituzioni finanziarie internazionali, come vittima di un’aggressione. L’Ucraina post-Maidan sarebbe uno Stato fallito, che ha perso il controllo sulle sue regioni più ricche e produttive (il solo bacino del Don costituiva ¼ del PIL ucraino) e sta affondando in una guerra dagli elevatissimi costi economici e umani, se non fosse mantenuto artificialmente in vita dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che impone austerità e svendita delle proprietà statali:
Sono molte le speranze riposte in Trump, per un’inversione di rotta nei rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino, ma le dichiarazione dei funzionari – scelti personalmente dal Presidente – non lasciano spazio ad aperture. Mentre il Tycoon tende una mano a Putin, nella speranza di trovare una sponda per contenere l’ascesa della Cina e combattere lo Stato Islamico, il Segretario di Stato Rex Tillerson, il Segretario alla Difesa James Mattis, il capo della CIA Mike Pompeo e l’ambasciatrice USA presso le Nazioni Unite Nikki Haley sono concordi nel denunciare la Russia, che:
«Ha invaso l’Ucraina e si è presa [illegalmente] la Crimea».
Dalla dichiarazione d’indipendenza del 1991 gli Stati Uniti hanno investito più di 5 miliardi di dollari in Ucraina per allontanarla dall’orbita di Mosca, perché «senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero» (Brzezinski, La grande scacchiera, 1989). Dallo scoppio della guerra in Donbass, invece, hanno speso 600 milioni di dollari per sostenere l’esercito ucraino all’interno dell’Operazione Atlantic Resolve. L’Ucraina dovrebbe essere un ponte che unisce l’Europa alla Russia, un cordone ombelicale che collega due mercati complementari, ma oggi è una trincea e, nonostante Trump, importanti settori dell’amministrazione statunitense continueranno a portare avanti la politica anti-russa, perché non possono permettere che cada la cortina di ferro che divide Mosca dal resto dell’Europa.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/donbass-una-guerra-nel-cuore-deuropa/
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