Un altro colpo inferto alla storiografia neoborbonica
di NUOVA RIVISTA STORICA (Guglielmo Salotti)
Tutto si può dire dei sostenitori a oltranza delle posizioni neoborboniche, ma non certo che alle loro tesi arrida troppa fortuna. Si prenda, fra gli ultimi esempi al riguardo, il saggio di Eugenio Di Rienzo uscito nel novembre 2020, che presentava anche, in appendice, il testo di un opuscolo del 1865 («Analisi politica del brigantaggio attuale nell’Italia meridionale») steso da un ex ufficiale borbonico, Tommaso Cava de Gueva, riscoperto, a distanza di poco più di un secolo, nel 1968, da Leonardo Sciascia. Sembravano esistere tutte le più rosee premesse perché il testo di Di Rienzo e quello riprodotto in appendice potessero portare acqua alla in realtà piuttosto asfittica propaganda neoborbonica, troppo spesso dimentica del fatto che il migliore approccio storiografico al tema sia venuto proprio da studiosi meridionali, da Giustino Fortunato a Croce, Volpe, Romeo, Galasso. E invece la realtà si è rivelata ben meno rosea, pur senza arrivare all’acredine con cui, già nel 1936,Croce aveva ridicolizzato l’affetto dimostrato da alcuni critici (teatrali, letterari, storici) verso«idealizzate» figure di briganti (nella fattispecie, il Fra’ Diavolo dell’epoca napoleonica). Nella panoramica di studi, più o meno recenti, proposti dal saggio di Di Rienzo, non mancano certo voci critiche nei confronti di una «unificazione burocratica» che fini per snaturare gli ideali sociali e politici fatti balenare dal processo unitario stesso. Anche se, a dire il vero, il ricorso da alcuni auspicato a una politica attendista, a una «arte di non fare», se indubbiamente sarebbe in qualche caso risultata meno traumatica, troppe analogie avrebbe però presentato con quelle (tanto responsabili dell’arretratezza socio-economica e culturale delle popolazioni meridionali) poste in essere dai governi preunitari. Di ben maggiore rilievo, come pone in luce Di Rienzo, risulta se mai evidenziare come quella da più parti definita «prima guerra civile» fra italiani, altro non fosse (nel decennio 1860-’70) che la prosecuzione di un conflitto interno alla società meridionale sin da metà Ottocento. A contrapporsi la consorteria dei «galantuomini liberali» (collusi con camorra e mafie regionali) e quella dei «galantuomini legittimisti», protese entrambe a conservare atavici privilegi o a conquistarne di nuovi, sotto qualsiasi bandiera.
(Pubblicato in © «Storia in rete», n. 182 – luglio-agosto 2021)
Fonte: http://www.nuovarivistastorica.it/?p=11216
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