“Andare a mille” o imparare?
di Marco Trombino
Sempre più spesso si sente dire che gli insegnanti non siano più adatti alla scuola di oggi. Che sono troppo arretrati, troppo legati ai paradigmi didattici del passato e incapaci di stare al passo coi tempi e con le innovazioni, sia tecnologiche sia metodologiche. E la frase più di moda, ripetuta da studenti e da operatori nel settore, è: “i ragazzi di oggi vanno a mille con internet e i prof sono rimasti indietro”.
Su questa affermazione ci sono alcune puntualizzazioni che è corretto fare. Innanzitutto, cosa significa “andare a mille con la rete”? Significa cercare su Wikipedia ogni dubbio che viene in mente? Ottenere sui motori di ricerca la soluzione dei problemi? Scambiarsi i compiti con le reti sociali? Se è questo il significato dell’affermazione, occorre subito puntualizzare un concetto: le cose vanno sapute. Sembra banale, ma lo studente deve sapere che Napoleone nacque ad Ajaccio, deve sapere che un integrale si può risolvere per parti, deve sapere che il sodio è un metallo alcalino; il ragazzo non si può rotolare nell’ignoranza perché tanto c’è la rete e i giovani sono abituati ad andarci “a mille”. Ne consegue che le metodologie didattiche e i programmi devono continuare ad essere impostati affinché gli studenti imparino; possono essere modificati, ma lo scopo deve essere lo stesso. Apprendere è più faticoso che digitare su Google, certo, ma è quello che da sempre – almeno dai Sumeri in poi e anche questo va saputo – consente lo sviluppo mentale e cognitivo dell’uomo. Poi, una volta affinato l’intelletto e l’apprendimento, il singolo dubbio può e deve essere soddisfatto tramite la rete. Ma questa non può divenire la scusa affinché la scuola sforni asini ambulanti.
Seconda considerazione. Recentemente qualcuno (un certo Bill Gates) ha affermato che in futuro gli insegnanti saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale. La differenza tra un docente in carne ed ossa e una IA è presto detta: un docente impartisce un senso critico allo studente, magari esprimendo opinioni, e nel farlo è totalmente al di fuori del controllo di chiunque, soprattutto fuori dal controllo delle multinazionali che sviluppano le IA stesse. L’affermazione che “gli insegnanti non sanno stare al passo coi tempi” è la solita scusa pseudomodernista per accentrare l’insegnamento su macchine e algoritmi perfettamente sotto il controllo delle multinazionali e degli oligarchi che le controllano. I prodromi ci sono già: durante la prima quarantena del Covid le scuole italiane hanno adottato Google Classroom come strumento di didattica elettronica; peccato che si tratti del prodotto di una multinazionale straniera che sta incamerando tutti i dati di tutti gli studenti italiani, analizzandoli e sommarizzandoli a suo piacimento. Qui non siamo solo di fronte alla perdita dell’indipendenza informatica, siamo al completo servilismo dell’ente pubblico di fronte al privato straniero.
Chi propugna la sostituzione della didattica con una macchina lo fa perché vuole evitare che i giovani maturino il senso della critica e della contestazione, che assumano come vere (anche se sono fasulle) le nozioni che multinazionali private gli vogliono inculcare; la denuncia dei professori come “inadatti ai tempi” è solo un modo per far piazza pulita di voci dissidenti all’interno della scuola.
Per noi indipendentisti è giusto che le tecnologie si debbano evolvere, che i professori si adeguino ad esse e continuino ad impartire didattica e educazione ai giovani, come si è sempre fatto. La tecnologia è uno strumento, non un fine. E l’apprendimento non può essere sostituito da un motore di ricerca.
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