L’irreversibilità della globalizzazione
di Andrea Alquati
Quanti asseriscono l’irreversibilità del processo denominato globalizzazione, affermano come corollario la velleitarietà di aspirazioni “sovraniste”.
In realtà è proprio il processo di integrazione economica mondiale a rendere necessario il recupero di forme se non autarchiche, quantomeno tendenti all’autosufficienza.
Finché la reciproca dipendenza veniva infatti perseguita unilateralmente dall’Occidente, che prima costringeva gli altri ad aprire i porti con le cannoniere e poi imponeva loro di produrre per le sue esigenze e infine si faceva arbitro e gestore dei traffici intercontinentali, unico acquirente delle esportazioni e unico fornitore di importazioni, allora poteva delegare agli altri l’agricoltura, l’industria, l’approvvigionamento energetico, terziarizzandosi sempre di più.
Ma dal momento che gli altri si emancipano dall’invadente tutela e iniziano a commerciare direttamente tra loro, magari senza neanche più utilizzare la moneta occidentale, allora diventa giocoforza necessario riportare a casa almeno parte delle attività delocalizzate per non essere tremendamente vulnerabili.
Per intendersi, finché i cinesi acquistano materie prime e vendono manufatti in Sud America pagando e facendosi pagare in dollari, l’egemonia si regge in piedi, ma nel momento in cui cinesi e sudamericani cominciano a regolare le loro transazioni nelle rispettive valute, il dollaro progressivamente si svaluta mettendo in crisi la sostenibilità del debito estero, pubblico e privato, statunitense.
Quando questo processo sarà giunto a compimento, gli Usa dovranno scegliere tra rinunciare alla supremazia militare mondiale o utilizzarla.
E se sceglieranno questa seconda ipotesi sarà pianto e stridor di denti.
Se invece si vuole perseguire la prima, occorre iniziare a lavorare all’indipendenza economica dal resto del Mondo.
Poi se un giorno saranno gli altri a bussare ai tuoi porti con le loro cannoniere, potrai valutare l’opzione militare, ma fino a quel giorno se ami la vita, è meglio fare il “sovranista”.
Trump da questo punto di vista non si era inventato nulla, si era limitato a rilevare una necessità impellente.
Più a parole che a fatti in realtà.
Biden a parole ha voluto riprendere la postura imperiale, il che ha causato una pesante controffensiva delle civiltà extra-occidentali, dall’Ucraina all’Africa passando per il Medio Oriente, ma nei fatti ha iniziato a perseguire la reindustrializzazione.
L’Italia farebbe bene a fare lo stesso.
Gli USA smetteranno di essere il centro imperiale quando la finanza deciderà di spostarsi in un’altro centro, o quando una nuova classe di banchieri/capitalisti più potente soppianterà quella che vomamda oggi dal centro finanziario negli Stati Uniti.
L’asia orientale sembra l’area giusta in cui potrebbe emergere una nuovo centro finanziario mondiale.
Non sembra un passaggio imminente comunque.