Il leader argentino Milei, più Bolton e Clinton che Trump
da PICCOLE NOTE (Davide Malacaria)
I media mainstream hanno annunciato la vittoria di Javier Milei alle presidenziali argentine come un’affermazione di Trump, un populista nazionalista la cui azione sarà dirompente verso il globalismo residuale a guida americana. Non è così.
Milei, più neocon e meno libertario
Lucida l’analisi di Eldar Mamedov su Responsible Statecraft: “L’orizzonte della politica estera di Milei, nella misura in cui esiste, è molto più vicino a quello dei neoconservatori che ai libertari americani. Le sue opinioni troverebbero facilmente spazio nei think tank dei falchi di Washington DC e negli ambiti del mainstream che accomuna il partito repubblicano e quello democratico”.
Milei, infatti, è ferocemente anti-russo, anti-cinese, avverso a Brasile e Venezuela in quanto retti da governi comunisti, vicino a Israele, dove si recherà a breve, e soprattutto alla destra israeliana, avendo peraltro già dichiarato che sposterà l’ambasciata argentina a Gerusalemme; con tutto ciò che tale afflato comporta nei riguardi del variegato mondo arabo.
Non solo, ha allontanato il suo Paese dai Brics, nel cui ambito lo aveva collocato la precedente presidenza, e ha dichiarato il suo scetticismo nei confronti del Mercosur, l’unione economica del Sudamerica nata per tentare di allontanare il continente dalla stretta degli Stati Uniti.
Così, se certo la sua vittoria è stata salutata dai trumpiani come un loro successo è per via dell’ambiguità di tale movimento, nel quale si cumulano anime e istanze apparentemente prossime, in realtà conflittuali, quella libertaria, quella isolazionista e quella votata alla difesa dei valori tradizionali.
La base integralista e le privatizzazioni selvagge
In particolare, quest’ultima anima ha negli evangelicals la sua base più forte e compatta, un’anima in cui forti sono le pulsioni messianiche, che la rendono prossima al messianismo della destra religiosa israeliana, a sua volta legata a doppio filo ai neoconservatori, come dimostra l’asse tra questi ultimi e Netanyahu (il quale ha rafforzato e gestito, almeno finora, la destra religiosa del suo Paese).
Ma nella sua variante argentina incarnata da Milei le istanze libertarie sono impazzite e indirizzate semplicemente a dar forma a una privatizzazione più che selvaggia, mentre l’isolazionismo statunitense si concretizza in una spinta verso la subordinazione totale del Paese a Washington (tutt’altro dalle istanze libertarie), come dimostrano le dichiarazioni volte a instaurare la dollarizzazione.
Tanto che il Ron Paul Institute, depositario politico delle istanze libertarie e fiero oppositore del neoconservatorismo, ha messo in guardia dal nuovo giocattolo dei neocon e preso le distanze da esso.
Detto questo, resta da vedere se alle parole spese da Milei prima e durante la campagna elettorale seguiranno i fatti. La realtà e la poca consistenza del suo partito nel parlamento argentino potrebbero frenare le pulsioni distruttive del personaggio.
Un’altra variabile che giocherà un ruolo non secondario è la forza di Trump, sia ora sia futura, se cioè verrà eletto presidente degli Stati Uniti. È alquanto ovvio che il pagliaccio argentino dovrà tener conto di essa.
Donald e Tucker?
Trump, nonostante le ossessive affermazioni contrarie, nel corso della sua presidenza ha accompagnato le diatribe verbali a una grande moderazione, non avendo avviato alcuna guerra e anzi frenando non poco le spinte in tal senso oltre ad aver intrapreso la via del negoziato con Russia, Cina, Corea del Nord etc.
Così le sue congratulazioni a Milei, oltre a un atto teso a intestarsi una vittoria da spendere in chiave di politica interna, devono essere viste anche come un modo per tentare di gestire la nuova variabile impazzita dell’America latina.
Peraltro, a rendere ancor più moderato l’orizzonte politico di Trump è la possibilità che schieri come suo vice-presidente l’anchorman Tucker Carlson, come da sue recenti affermazioni che hanno suscitato consenso tra i suoi sostenitori.
In note pregresse, avevamo accennato alla possibilità che Trump, per divincolarsi dalla stretta dei suoi avversari, lanciasse la candidatura di Carlson. Ma ad oggi Trump si sente ancora forte e in grado di raggiungere il traguardo, così l’opzione in gioco è il ticket con l’anchorman, che comunque gli procura ulteriori chances.
D’altronde, nonostante il fuoco di sbarramento, Trump appare davvero ancora in corsa. Lo dicono i sondaggi, dove sta subissando i suoi antagonisti nel partito repubblicano, Nikky Haley e Ron DeSantis, entrambi di rito neocon; lo dicono le vicissitudini dei tanti processi avviati contro di lui, che sta affrontando con certo successo; lo dice la presa crescente che ha sul partito repubblicano, nel quale sta allentando di molto la presa dell’establishment a lui avverso.
Assalto a Capito Hill o visita guidata?
Quest’ultimo sviluppo è evidenziato in maniera plastica dalla mossa del nuovo presidente della Camera, che ha pubblicato tutti i video dell’assalto a Capitol Hill tenuti segreti dalla passata gestione, che dimostrano come la folla entrata nel palazzo istituzionale abbia osservato un atteggiamento pacifico, con la polizia che familiarizzava con i manifestanti.
Resta la violazione della sede istituzionale, ma è comunque rafforzata la tesi avanzata dai sostenitori di Trump, che cioè i manifestanti non avevano alcuna intenzione di compiere un atto eversivo, ma si abbia avuto luogo un’operazione di “intrappolamento” che ha deviato e forzato il corso degli eventi.
Da qui le richieste insistite da parte dei sostenitori di Trump di aver contezza degli agenti dell’Fbi convenuti alla manifestazione e sullo scopo della loro presenza. Nel registrare l’accaduto, titolavamo che si era trattata in una Maidan nel cuore dell’Impero. Le immagini video rafforzano la prima intuizione.
Al di là, resta da vedere se Trump candiderà veramente Carlson come vice e soprattutto se arriverà vivo al traguardo. La morte politica e fisica sono parte integrante dei giochi di potere dell’impero.
Di ieri il grido di battaglia dell’Economist, che in nome e per conto dell’establishment anglosassone, da sempre gestore dei segreti arcani dell’Impero, ha dichiarato Trump “il più grande pericolo mondiale del 2024”. La lotta è appunto esistenziale. E quando la contesa è a questo livello non ci sono linee rosse che tengano.
FONTE: https://www.piccolenote.it/mondo/milei-piu-bolton-e-clinton-che-trump
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