Ogni tanto arriva una buona notizia, qualcosa che fa sperare che non tutto sia perduto. La lieta novella è che Victoria Nuland, sottosegretario di stato per gli affari politici, ha annunciato le sue dimissioni nelle prossime settimane, il che di fatto è la chiara ammissione da parte dell’amministrazione americana di aver completamente fallito in Ucraina. Così come molti ricorderanno – se non altro coloro che hanno conservato facoltà mnemoniche – la Nuland è stata la persona chiave nella trasformazione dell’Ucraina in un ariete da utilizzare contro la Russia: è quella che si è vantata di aver speso 5 miliardi dollari per organizzare piazza Maidan, è quella che ha mandato a fare in culo l’Europa, è quella che ha gestito i rapporti con il regime di Kiev e che anche ultimamente ha cercato di evitare il licenziamento del capo dell’esercito Zaluzhny rendendosi però conto dello sfilacciamento del potere.
Ma una decina di giorni fa, in un’intervista alla Cnn ha finalmente ammesso la sconfitta, non tanto dell’Ucraina, quanto degli sforzi statunitensi contro Mosca e lo ha fatto nella maniera più american stupid possibile, riconoscendo dopo 9 anni di preparazione del conflitto e due di guerra che “non è la Russia che, francamente, volevamo”. Deve essere un vero dolore per lei che fa parte del circolo neoconservatore che gravita attorno al marito Robert Kagan, editorialista del Washington Post, membro senior della Brookings Institution che da anni, fin dal tempo di Bush figlio è uno dei principali sostenitori del militarismo americano, nonché cofondatore del Progetto per il Nuovo Secolo Americano. Insomma un concentrato di tutto il peggio che l’America possa offrire al mondo gran parte del quale ha deciso di non accettare più le polpette avvelenate di Washington.
Dopo 15 anni che questo personaggio si è occupato di animare il dossier Ucraina per arrivare attraverso una guerra alla dissoluzione della Russia, il risultato è disastroso e infame allo stesso tempo: la Russia non è stata indebolita dalla guerra, anzi ha ritrovato un’unità di azione tale da indurre Washington a sbarazzarsi di quel delinquente di Navalny ormai totalmente inservibile da vivo, ma utile da morto per oscurare l’intervista di Carlson a Putin. Al contrario l’Ucraina, demograficamente devastata, non ha alcuna prospettiva di sopravvivere, se non come un paese arretrato senza sbocco sul mare controllato dalla Russia. Dato che sono stati spesi centinaia di miliardi di dollari per l’Ucraina, praticamente senza alcun controllo, molti pensano che Victoria e la sua famiglia, abbiano sicuramente fatto un po’ di soldi. E ci si chiede se qualcuna delle indagini in corso e quelle future sul buco nero dell’Ucraina la lascerà incolume.
Le dimissioni della Nuland e la intrinseca ammissione di fallimento arriva in un momento in cui i politici europei, la cui testa sembra un gadget senza importanza, stanno giocando all’escalation, quando non c’è alcun interesse ad intensificare la guerra in Ucraina attraverso uno scambio missilistico a lungo raggio e men che meno esiste un interesse strategico nell’assecondare le assurde illusioni di Kiev di riprendersi le aree russofone, mentre dovrebbero cercare assiduamente una rapida soluzione. Per quanto riguarda le sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia, queste hanno fallito miseramente, sconvolgendo nel contempo l’economia commerciale globale. Le sanzioni possono essere apprezzate dai diplomatici e dai think tank occidentali, ma di fatto non hanno devastato l’economia russa che è ormai la prima in Europa e cresce vigorosamente, né ha messo in crisi Putin odiato come colui che tiene unita la Russia impedendone la rapina. In compenso però hanno danneggiato i cittadini europei in maniera ormai irreversibile. Venticinque anni di interventi militari occidentali svoltisi tutti nella più grossolana inettitudine avrebbero dovuto insegnare qualcosa e invece hanno finito per rendere ancora più assurda l’aggressività di un impero alla fine.
Giustamente la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha composto l’epitaffio politico per la Nuland il cui nome, Victoria, sembra ormai una beffa: “La russofobia, proposta da Victoria Nuland come principale concetto di politica estera degli Stati Uniti, sta trascinando i democratici verso il basso come una pietra”.
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