La frenesia impera anche sul lato palestinese di questo triste e crudele formicaio. Hamas ha organizzato una strage che, al di là dell’assurdo assunto che sia possibile distruggere Israele, ha rispettato in pieno la legge generale della storia dei palestinesi che, a ogni scontro armato, guerra, guerriglia o intifada che fosse, hanno sempre visto peggiorare la loro vita e la credibilità politica dei loro vertici. Dopo quasi vent’anni di divisioni e di odio reciproco, Hamas e Al Fatah si sono decisi a parlarsi, con promesse di riconciliazione e concordia sentite già mille volte. Ci sono voluti 30mila morti a Gaza e 500 in Cisgiordania per ottenere questo grande risultato. Una classe politica che riesce a regnare solo sulle rovine. E che rispetto alla questione più impellente, ovvero fermare la strage nella Striscia, riesce solo a usare il ricatto sulla vita degli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre. Mentre tutto intorno, dalla Turchia alla Siria, dall’Arabia Saudita all’Iran stesso (sempre sospettato di aver ispirato se non organizzato la strage di Hamas), tutti fanno capire di non voler mettere le mani nel formicaio impazzito. Persino il Libano, dove regna l’Hezbollah vassallo di Teheran, annuncia una trattativa con Israele per l’inizio del Ramadan, il mese del digiuno islamico che invece, per gli ineffabili di Hamas, dovrebbe essere un mese di lotta per i palestinesi di Israele, chiamati a «invadere» la Spianata delle moschee dove già li attendono i fucili di Tsahal.