Professor Prodi, mentre l’Europa rischia di disintegrarsi litigando sui migranti, la Cina sta colonizzando l’Africa?
«La Cina ha interessi molto forti in Africa per un motivo semplice. Ha il 7% delle terre arate del pianeta e il 20% della popolazione mondiale. Finché le persone erano rassegnate a soffrire la fame il problema non si poneva. Quando sono aumentati i consumi e le aspettative individuali e collettive, il governo cinese è andato a cercare cibo, energia e materie prime là dove poteva trovarle: in altri paesi dell’Asia, in America Latina e in Africa».
E la ricerca di materie prime, di cibo e di energia è colonialismo o no? «Certamente c’è un’influenza economica molto forte e ognuno la può chiamare come vuole, ma non ha nulla a che fare con il colonialismo classico. Prima di dare un giudizio è opportuno sapere che cosa ne pensano governanti e governati africani che hanno un rapporto con la Cina».
Che cosa ne pensano?
«Ci sono situazioni molto diverse, ma tendenzialmente apprezzano la quantità del denaro investito e la rapidità nell’esecuzione delle opere».
E che cosa non apprezzano?
«Non apprezzano il numero ridotto di lavoratori locali assunti. Utilizzano troppa mano d’opera cinese. E nemmeno l’accaparramento delle terre, che però avviene anche da parte dei sauditi, dei coreani e di molti altri paesi».
Non c’è anche un problema evidente di sfruttamento dei lavoratori? Ad esempio nelle miniere dell’Angola?
«Sì. Ma secondo lei i proprietari europei si sono comportati meglio?». Dubito. «Fa bene. Di sicuro le condizioni salariali e del lavoro in Africa non sono paragonabili a quelle europee. E il problema esiste anche con i cinesi».
Anche.
«Pensi all’influenza europea sull’Africa francofona o anglofona. Che ci siano residui di neocolonialismo mi sembra appurato. Ma sa qual è il punto vero?».
Qual è?
«Che bisognerebbe annacquare, anzi, decolorare, questa influenza specifica sui governi e sostituirla con un grande piano di sviluppo sino-europeo».
Europa e Cina assieme per l’Africa?
«Esatto. Capisco che può sembrare un’utopia. Ma ci farebbe fare un enorme salto avanti».
Utopia che va a sbattere sulle resistenze francesi?
«Di tutti coloro che conservano interessi specifici sui singoli Stati».
Da dove si comincia?
«È complesso, ma so che è importante farlo. Europa e Cina hanno interessi convergenti. Basta un minimo di intelligenza politica per capire che uno sviluppo ordinato dell’Africa garantirebbe flussi migratori ordinati».
Perché allora non si fa?
«Ci sono cose belle che gli Stati non fanno».
Utopia per utopia non sarebbe utile coinvolgere anche Russia e Stati Uniti?
«Utopia per utopia lo sarebbe Per l’ex premier i popoli africani in rapporto con Pechino apprezzano i soldi investiti e le opere certamente. Solo che gli Stati Uniti non hanno bisogno dell’Africa. Sono autosufficienti dal punto di vista energetico, alimentare e delle materie prime. E sostanzialmente la stessa cosa vale per la Russia. Partire con Europa e Cina sarebbe già una gran cosa».
Quanto è larga la responsabilità dell’Europa sull’instabilità africana? «È larga».
Professore, le fanno paure le grandi migrazioni?
«Senza la guerra in Libia non mi farebbe paura niente. Le migrazioni sono sempre esistite. Ma queste non sono gestite. Tutte le cose non gestite fanno paura. Gheddafi era un dittatore, ma con lui si facevano accordi».
Molti analisti sostengono che la Francia abbia attaccato la Libia perché Gheddafi proponeva una moneta unica africana che avrebbe soppiantato anche il franco coloniale.
«Io non li ho visti personalmente, ma so che ci sono rapporti e documenti che confermano la volontà di Gheddafi di andare verso una moneta unica africana. Ciò fa pensare male, ma non significa necessariamente che sia questa la ragione del comportamento francese».
Pechino sostiene che il concetto di colonialismo non esiste nella politica estera cinese, né nella sua filosofia diplomatica. Eppure gli interessi economici cominciano a sommarsi a una presenza militare consistente.
«La Cina è l’unica grande potenza che manda i suoi soldati sotto il controllo delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti e la Russia, per esempio, non lo fanno. Dunque che cosa è meglio: collaborare o non collaborare con le Nazioni Unite?».
Sarebbe meglio non commerciare armi, per esempio. La Cina sta superando la Russia.
“Certo, è possibile. Di sicuro il traffico d’armi è l’indecenza del mondo. Non di un singolo Stato». Pechino a Gibuti ha la sua prima base militare. «Gli Stati Uniti hanno alcune centinaia di basi militari all’estero e molte migliaia di soldati solo nelle basi militari in Italia. Così gli inglesi, i francesi e i russi: tutti hanno basi militari all’estero. È una questione strategica fondamentale. I cinesi ne hanno una e l’hanno messa lì dove passa il petrolio per la Cina».
Usa e Cina hanno cominciato la guerra dei dazi. Il presidente Xi Jinping sostiene che da una guerra commerciale nessuno esce vincitore.
«Non è che non vinca nessuno, è che perdono tutti. Secondo i dati statistici della scorsa settimana la sola minaccia di una guerra commerciale che mi auguro resti limitata ha già fatto diminuire il tasso di crescita dell’economia mondiale».
Perché non esiste una politica europea per l’Africa?
«Perché questa è un’Europa cotta a metà. Non si trova un accordo su niente. Pensi a quello che è successo all’ultimo vertice di Bruxelles».
Sembra rassegnato.
«Non lo sono affatto, perché quando si arriva sull’orlo del precipizio ia saggezza prevale. Pensi alla crisi “della sedia vuota” quando De Gaulle si ritirò dalle riunioni del Consiglio europeo perché la Francia era contraria all’idea di un mercato agricolo comune sovrannazionale. Sembrava che andasse tutto in fumo. E invece una soluzione dopo sei mesi si trovò. Oggi io sono obbligato a un’analisi oggettiva del presente, ma non sono distruttivo sul futuro, non lo sono per natura».
Torniamo all’utopia?
«Serve una politica profetica per immaginare un piano sino-europeo per l’Africa. E quella la via per il nostro futuro. Bisogna capire che nel mondo c’è una ferita. E questa ferita è un pericolo per tutti. L’intero pianeta dovrebbe interessarsi all’Africa».
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