Da Ustica a Ramstein: la verità è sempre possibile
Esiste una concreta possibilità di arrivare a stabilire con precisione cosa è avvenuto e perché la sera del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica, quando venne abbattuto il DC-9 Itavia, sigla I-TIGI, causando la morte dei quattro membri dell'equipaggio e dei settantasette passeggeri, fra cui tredici bambini. Si tratta di un'opportunità da non perdere, fondamentale per comprendere la nostra storia recente.
L'ultima fase di un lunghissimo percorso giudiziario ha visto lo scorso 10 settembre 2011 il Tribunale di Palermo presieduto dal giudice Paola Proto Pisani, condannare, dopo tre anni di dibattimento, i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di ottanta familiari delle vittime: una sentenza nelle cui motivazioni viene quanto meno messa in rilievo con dovizia di riferimenti documentali l'evidenza dei depistaggi, delle omissioni e delle coperture messi in atto lungo un trentennio di storia italiana da altissime cariche militari e civili, per impedire che venisse alla luce una verità che la ragion di Stato non può evidentemente rendere di pubblico dominio. Contro questa sentenza, infatti, si sono ancora appellati i ministeri condannati e proprio in questi giorni si sta celebrando a Palermo il processo di Appello.
È merito degli avvocati Osnato e Galassi, che tutelano alcuni dei parenti delle vittime, avere portato alla luce nuovi elementi che confermerebbero in particolare lo stretto legame fra l'abbattimento dell'aereo di linea italiano e lo spaventoso incidente verificatosi a Ramstein il 28 agosto del 1988, quando, durante una sua esibizione aerea, alcuni velivoli della PAN (Pattuglia Acrobatica Nazionale) si scontrarono in volo, causando la morte di 3 piloti e di 67 spettatori: due di quei piloti, i tenenti colonnelli Ivo Nutarelli e Mario Naldini, avrebbero dovuto testimoniare pochi giorni dopo sulla ragione per la quale, trovandosi in addestramento sul loro TF-104G la sera dell'abbattimento del DC 9, non lontani dalla rotta percorsa da quel velivolo, avevano lanciato via radio un messaggio di allarme aereo generale.
La rivista Il Sud, nel suo numero appena uscito, pubblica un ampio servizio sulle novità che sarebbero emerse grazie alle investigazioni della difesa:
"Un'inedita fotografia, fornita a Il Sud dall'avvocato Osnato, rivela come l'aereo di Nutarelli abbia il carrello aperto così come il freno aerodinamico anteriore. Possibile che il "solista" abbia capito, a vista, di essere troppo veloce e troppo basso e abbia usato il freno? Ma il carrello aperto pare sia tecnicamente inspiegabile, soprattutto a quella velocità. E poi ci sono alcune testimonianze di un paio di "capivelivolo" che hanno riferito, anni dopo, dell'anomala mancanza nel parcheggio dell'aereo di Nutarelli, riscontrata subito dopo l'incidente, dei voluminosi e pesanti quattro attrezzi d'acciaio che servono a bloccare le taniche di carburante sulle ali, denominati in gergo "riscontri"; il resto del corredo del velivolo era presente".
Ma non basta. La drammatica caduta del regime libico, avrebbe portato l'estate scorsa alla scoperta di una nutrita serie di documenti dei servizi di sicurezza libici che confermerebbero lo scenario di vera e propria guerra aerea in corso nei nostri cieli il 27 giugno 1980, proprio lo scenario che i vertici della nostra Aeronautica militare, conformandosi ad un indirizzo politico rimasto costante in oltre trent'anni, hanno sempre negato, nonostante la massa di evidenze fattuali emerse nel corso del tempo. Il giornalista Peter Bouckaert, che per conto della Ong Human Rights Watch ha raccolto un'ingente documentazione in Libia, ha infatti dichiarato a settembre all'agenzia Reuters che fra questi documenti sarebbero presenti informazioni importanti per la ricostruzione di quanto avvenuto nella notte dell'abbattimento dell'aereo civile italiano nei cieli di Ustica.
Altre notizie, del resto, nel corso degli ultimi anni, hanno confermato quello scenario bellico, collegato in particolar modo alle aggressive misure adottate dal governo francese nel tentativo di indebolire il regime di Gheddafi, le cui truppe si scontravano con quelle francesi nel Ciad, sul quale la Francia ha sempre esercitato una sorta di protettorato, per l'interesse strategico dipendenti dagli importanti giacimenti di uranio in particolare presenti nella cosiddetta striscia di Aozou. Tensioni gravissime nelle quali è realistico ritenere che gli stessi Stati Uniti ed Israele avessero diretto interesse ad inserirsi, in vista del rovesciamento del regime libico, contro il quale gli Usa sarebbero poi direttamente intervenuti nel 1981 e ancora nel 1986, con intensi bombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi.
È evidente che questi conflitti hanno coinvolto l'Italia, condizionandone profondamente non solo la politica estera ma anche quella interna: non c'è più dubbio sul fatto, ad esempio, che nel 1980 l'Italia abbia fornito un supporto informativo al dittatore libico, consentendogli di salvarsi la vita, giacché pare che la notte dell'abbattimento del DC-9, proprio un velivolo con il presidente libico a bordo costituisse l'obiettivo dell'azione militare diretta di velivoli occidentali, con molte probabilità di nazionalità francese. Un attacco che avrebbe forse causato anche l'abbattimento di un Mig-23 libico ritrovato, in circostanze quanto meno misteriose, sulla Sila il 18 luglio successivo. La sentenza dello scorso settembre, a pag. 52, non lascia adito a dubbi:
"Tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato – secondo gli standards di certezza propri del giudizio civile – che l'incidente occorso al DC-9 si sia verificato a causa dell'operazione di intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC-9 viaggiano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del DC-9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell'esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l'aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l'aereo nascosto ed il DC-9".
Nel corso di quell'anno, si registrano altre azioni che, secondo il giornalista francese Henri Weill, lo SDECE francese avrebbe organizzato come ritorsione contro i libici: pochi giorni dopo, infatti, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell'Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo. Secondo Weill anche il tentato colpo di stato del 6 agosto a Tobruk, in Libia, guidato dal generale Idris Shaibi, comandante della XI brigata e capo operativo dei servizi di sicurezza, duramente stroncato da Gheddafi, sarebbe stato ispirato dai servizi francesi, anche se il governo libico, l'11 agosto, arresterà gli italiani Orlando Peruzzo, Edoardo Sellicciato, Enzo Castelli, mentre risulterà ricercato Aldo Del Re.
Nella notte fra il 28 ed il 29 ottobre, poi, l'ammiraglia della flotta libica, la fregata Dat Assawari, alla fonda nel porto di Genova per lavori di manutenzione, viene attaccata da un commando di specialisti francesi che con 30 chili di esplosivo ad alto potenziale ne danneggiano gravemente la chiglia: una telefonata all'ufficio di un'agenzia di stampa francese rivendicherà poi il 31 ottobre l'attentato, attribuendolo ad un fantomatico "fronte maltese di liberazione"; un altro comunicato in italiano rivendica poi anche gli attentati a Malta del luglio precedente, presentandoli come una risposta ad un precedente attentato verificatosi contro una piattaforma petrolifera italiana, affittata alla Texaco.
Come si vede, un intreccio di azioni armate ostili che coinvolgono pesantemente anche il nostro Paese che, proprio in questo contesto, subisce la più grave strage della sua storia, quella alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: una vicenda che ha visto il coinvolgimento di alti esponenti di servizi segreti italiani ed esteri e del mondo neo-fascista – senza che se ne sia mai spiegata con sufficiente chiarezza la finalità, anche se, dalla lettura delle carte processuali, risulta evidente il collegamento fra contesto internazionale e interno, come già verificatosi in altri episodi della strategia della tensione italiana.
Il 1980 è infatti un anno fondamentale nel secondo dopoguerra e l'Italia si è trovata sicuramente al centro di avvenimenti che sembrano scuotere il consolidato assetto della Guerra Fredda. L'invasione sovietica dell'Afghanistan, la questione degli euromissili che gli Usa intendono installare in Europa, l'agitazione di Solidarnosc in Polonia, la morte di Tito in Jugoslavia, minano alle fondamenta la stabilità dell'Urss e del Patto di Varsavia e sembrano preannunciare un mutamento che si produrrà puntualmente nell'arco di nemmeno dieci anni. La presa di potere di Khomeini in Iran, l'allontanamento dello Scià e la sua morte in esilio, il sequestro dell'ambasciata Usa a Teheran, lo scoppio del conflitto fra Iran e Iraq – sono solo i primi avvenimenti di una catena di eventi bellici in Medio Oriente che si spingeranno, in un drammatico crescendo, fino ai nostri giorni. In questo contesto, l'Italia, a due anni dal sequestro Moro, è sanguinosamente attraversata da strategie terroristiche che, sfruttando tipi diversi di manovalanze, mirano, ormai senza ombra di dubbio, a condizionarne gli equilibri interni in relazione alla crescente importanza del Mediterraneo nei rapporti est-ovest e nord-sud. A svilupparle, sono all'opera, da molti anni, anche apparati dello Stato che non obbediscono certo a scelte di sovranità popolare e tanto meno di amor patrio, ma dipendono direttamente, fin dalla fine della guerra, dai Paesi egemoni, Usa e Gran Bretagna, con un crescente inserimento anche dello Stato di Israele – come molte indagini hanno evidenziato.
Comprendere cosa è avvenuto veramente il 27 giugno del 1980 non è quindi solo doveroso verso le vittime innocenti della ragion di stato, non è solo necessario per comprendere chi ha commesso e perché quello che un tempo si chiamava "altro tradimento" verso il nostro popolo, è indispensabile per costruire il nostro futuro.
G. SINATTI
Tratto da http://www.clarissa.it/ultimora_nuovo_int.php?id=154
Tutta la mia solidarieta' alle famiglie di tutte le vittime di questa tragedia, pero' non capisco perche' deve pagare il popolo italiano, quello di adesso, troppo facile prendere i soldi di tutti, perche' non confiscare i beni di tutti coloro che hanno avuto una parte in questa vicenda? non sono beni loro, lavoravano per il popolo ed allora e' al popolo che devono rendere conto, la ragion di stato non paga mai che poi chiamarla cosi' e' una bestemmia dal momento che hanno usato lo stato per gli interessi dei pochi. E con gente cosi' che avremmo dovuto fare l'italia? oggi vediamo la loro prole al lavoro.