Misure anti-Covid: davvero per il “bene comune”?
di DUC IN ALTUM (Aldo Maria Valli)
Da tempo mi chiedo perché i dati giornalieri sull’andamento del virus in Italia vengano forniti in cifre assolute e non in percentuale. Dal punto di vista psicologico c’è infatti una significativa differenza.
Prendiamo gli ultimi dati ufficiali a disposizione, quelli del 3 maggio 2021, secondo i quali le persone che hanno contratto il virus sono circa quattro milioni, per l’esattezza 4.050.708.
Ora, se dico che le persone che hanno contratto il virus sono più di quattro milioni ottengo un certo effetto psicologico, ma se dico che la cifra di 4.050.708 corrisponde al 6,75% sul totale della popolazione italiana (60 milioni) ne ottengo un altro.
Allo stesso modo, diverso è dire che i morti sono saliti a 121.433 e dire che questa cifra corrisponde al 3% di tutte le persone che hanno contratto il virus e allo 0,2% di tutta la popolazione italiana.
Con tutto ciò non si vuol sostenere che le cifre relative a chi ha contratto il virus e ai morti siano di poco conto. Si vuol sostenere però che offrire anche il dato percentuale potrebbe contribuire a dare una percezione più corretta, e magari meno ansiogena, del fenomeno.
Uno studioso di psicologia, il professor Stephen Sammut della Franciscan University of Steubenville (Usa), occupandosi del modo in cui vengono generalmente fornite le cifre riguardanti il Covid, ha osservato: “Una notevole fonte di confusione è la scelta persistente dei membri dei media e dei politici di parlare in termini di cifre assolute piuttosto che di percentuali. I conteggi in base a cifre assolute significano molto poco, dato che possono essere compresi in modo appropriato solo se viene fornito un contesto. Ad esempio, affermare che cento persone sono morte significa una cosa diversa se ti rivolgi a una piccola comunità rurale con una popolazione di 1.200 abitanti o a una città di 120 mila abitanti”.
Sembra un’osservazione scontata, eppure quando si parla di Covid è difficile avere a disposizione i dati percentuali.
La citazione di Sammut è tratta da un articolo che ho trovato molto interessante. Per questo ho voluto tradurlo. Si occupa del concetto di “bene comune”, sempre più utilizzato per giustificare il ricorso a misure drastiche contro il Covid-19 e per accusare chi, mettendone in luce le numerose conseguenze negative, non le condivide.
Nel proporvi la traduzione del testo del professor Sammut, sottolineo l’importanza di considerare l’idea di salute umana come la somma e la sintesi di un complesso di componenti che non possono essere ridotte a quella fisica materiale, escludendo la dimensione mentale, psicologica, spirituale e sociale.
A.M.V.
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Le restrizioni contro il Covid-19 sono davvero al servizio del bene comune?
di Stephen Sammut*
Fin dall’inizio della pandemia da Covid-19 ci è stato detto che restrizioni importanti sotto forma di lockdown, distanziamento sociale, quarantene e obbligo di mascherina sono necessarie per il “bene comune”. Questo refrain è stato ripetuto da professionisti del settore medico, da politici, dai nostri vescovi e altri leader cattolici, fino all’uomo della strada. Tuttavia, esaminare i dati di tutte le discipline, comprese quelle fisiologiche, psicologiche e psicosociali, mette in dubbio l’idea che queste restrizioni siano state veramente al servizio del bene comune. Di fronte a tutto ciò che è accaduto, e a tutto ciò che abbiamo osservato, ci si deve chiedere se la vera pandemia sia stata indotta dal virus o imposta dall’uomo.
In questo articolo esploreremo brevemente i retroscena del virus Sars-CoV-2, le misure adottate per rallentarne la diffusione, i messaggi confusi forniteci dagli esperti sanitari durante la pandemia, i tassi di mortalità associati al virus e i potenziali trattamenti. Quindi esamineremo le restrizioni relative al Covid-19 e il modo in cui influenzano il bene comune. In questo modo, potremo analizzare l’impatto della malattia stessa rispetto all’impatto delle restrizioni.
È importante riconoscere all’inizio il fatto che il Sars-CoV-2 è un virus appartenente alla famiglia dei coronavirus, che furono scoperti per la prima volta negli anni Sessanta (Kahn e McIntosh, 2005). Tali virus esistono da molto tempo e questa non è la prima volta, né sarà l’ultima, che colpiscono la comunità globale: anche l’epidemia di Sars del 2003 fu causata da un coronavirus. Se questo virus abbia avuto origine nei pipistrelli (Zhou et al., 2020; Zhu et al., 2020) o sia stato modificato in un laboratorio (Piplani et al.; Latham e Wilson, 2020) ooppure no (Andersen et al., 2020) non importa molto alla maggior parte delle persone. Ciò che importa è come il virus ha influenzato la vita di tutti.
Misure adottate per ridurre al minimo la diffusione
A partire dall’inizio del 2020, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e la maggior parte dei governi di tutto il mondo hanno implementato una serie di misure ampiamente propagandate, ma senza alcuna reale prova scientifica o di altro tipo, come atte a ridurre la diffusione del virus Sars-CoV-2. Queste misure includevano lockdown (noti anche come obbligo di stare a casa) con chiusura di scuole, luoghi di lavoro, intere economie e nazioni, quarantene, allontanamento sociale e mascherine obbligatorie. Tuttavia, il modo in cui le autorità, a tutti i livelli, hanno gestito la malattia può essere descritto solo come confuso, contraddittorio e, poiché le prove in proposito continuano ad accumularsi, chiaramente disumano.
Un esempio di confusione è l’avvertimento dell’Oms contro la cessazione anticipata dei lockdown nel marzo del 2020, per poi mettere in guardia contro i lockdown nell’ottobre dello stesso anno. Anche l’allentamento delle chiusure ha portato solo un limitato sollievo al pubblico. Misure quali l’obbligo di mascherina, il distanziamento sociale, la chiusura dei cosiddetti servizi “non essenziali”, le barriere nei negozi, nelle aule e in qualsiasi luogo in cui due esseri umani, Dio non voglia, si confrontano, la disinfezione delle superfici e delle mani sono ancora in atto, e certamente questa lista non è esaustiva. Molti di questi comportamenti continuano a essere praticati ancora oggi.
Mentre vengono proposti numerosi argomenti per giustificare la necessità delle misure adottate, c’è un aspetto che sembra essere costantemente ignorato (intenzionalmente o meno) o di cui si parla come una questione di minore priorità: l’impatto psicologico che sarà avvertito dalle persone per molte generazioni.
Covid-19 nel contesto
Un’altra difficoltà per quanto riguarda la risposta alla pandemia consiste nel mettere il Covid-19, i ricoveri e i decessi nel loro giusto contesto. Realisticamente parlando, rimane molta confusione riguardo al numero reale di decessi associati al Covid-19, e parte di ciò deriva dalle definizioni ambigue applicate da autorità come l’OMS (WHO, 2020) o il CDC (National Center for Health Statistics, 2020).
Tuttavia, l’OMS e il CDC non sono chiaramente gli unici responsabili della confusione, dato che alcune morti sono state attribuite al Covid-19 nonostante una chiara mancanza di connessione .
Una notevole fonte di confusione è la scelta persistente dei membri dei media e dei politici di parlare in termini di cifre in termini assoluti piuttosto che di percentuali. I conteggi in base a cifre assolute significano molto poco, dato che possono essere compresi in modo appropriato solo se viene fornito un contesto. Ad esempio, affermare che cento persone sono morte significa una cosa diversa se ti rivolgi a una piccola comunità rurale con una popolazione di 1.200 o una città di 120 mila abitanti. Nel confronto con altre malattie, e non prendendo in considerazione le definizioni intenzionalmente ambigue sopra menzionate, i decessi correlati al Covid-19 non sono stati, realisticamente parlando, più allarmanti di qualsiasi altra malattia globale. Sembra quindi che le testate giornalistiche e i politici presentino i numeri grezzi non per aiutare la comprensione, ma per proporre una visione più drammatica della malattia.
Nel 2020, a livello globale, 1,8 milioni di persone sarebbero morte a causa del Covid-19. Tuttavia, per fare un confronto, nel 2016 i decessi globali segnalati per malattie diarroiche furono 1,7 milioni (Troeger et al., 2018), mentre le malattie cardiovascolari provocano 17,9 milioni di morti all’anno. Pensiamo poi che l’anno scorso l’aborto ha causato 42,7 milioni di vittime, e nei soli primi dieci giorni di gennaio del 2021 ci sono stati 1,1 milioni di bambini non nati in tutto il mondo.
Conoscenza del Covid-19 e potenziale trattamento
Si potrebbe obiettare che il Covid-19 è una minaccia per la vita di gran lunga maggiore della malattia diarroica perché non sappiamo come trattarla. Ma allora chiediamoci: che cosa sappiamo?
Come indicato in precedenza, il Covid-19 è causato da un virus (Sars-CoV-2). I tassi di guarigione riportati sono tra il 97% e il 99,75% (Nikhra, 2020), mentre la maggior parte dei decessi per Covid-19 è correlata a comorbidità, il che significa che solo il 6% dei decessi è attribuibile esclusivamente al Covid-19. Le comorbilità includono in particolare ipertensione, diabete e obesità (Petrilli et al., 2020; Richardson et al., 2020).
Uno sguardo al numero di decessi in relazione ai casi confermati – sia a livello globale sia all’interno degli Stati Uniti – indica che a livello globale i decessi rappresentano il 2,22% di quelli confermati, ovvero lo 0,03% della popolazione mondiale. Negli Stati Uniti i decessi rappresentano l’1,8% di quelli confermati, ovvero lo 0,16% della popolazione statunitense (dati consultati il 4 marzo 2021).
Inoltre, ci sono molte terapie per trattare il Covid-19 o minimizzarne l’impatto. Queste includono l’uso di idrossiclorchina (Klimke et al., 2020) e clorochina (Vincent et al., 2005), da sole o in combinazione con antibiotici (Arshad et al., 2020) o antivirali (Wang et al., 2020), così come l’uso di integratori di zinco (McCullough et al., 2021) che hanno dimostrato di aumentare l’assorbimento della clorochina (Xue et al., 2014), oltre agli immunomodulatori e agli steroidi che prendono di mira la cosiddetta tempesta di citochine che provoca l’infiammazione (Recovery Collaborative Group et al., 2020; Vijayvargiya et al., 2020). Inoltre, prove crescenti segnalano il ruolo protettivo della vitamina D (Bilezikian et al., 2020; Teshome et al., 2021), il che rende chiaramente privi di senso i lockdown, che impediscono alle persone di stare all’aperto e al sole, la principale fonte di vitamina D.
Esistono poi pratiche che le persone possono e dovrebbero utilizzare per ridurre al minimo il rischio di infezioni gravi, comprese pratiche igieniche di base come il lavaggio delle mani (Alzyood et al., 2020) e un’alimentazione appropriata (Zabetakis et al., 2020; Demasi, 2021; Greene et al., 2021): tutte pratiche che, realisticamente, dovrebbero essere di buon senso.
Lockdown, distanziamento sociale, quarantene, mascherine, vaccini e tamponi: l’impatto psicosociale
Sebbene risulti che molti possibili trattamenti sono stati ignorati, ciò non significa che non siano state intraprese azioni per rallentare la diffusione del virus. Al contrario. Tuttavia, molte delle misure adottate per affrontare la diffusione del virus Sars-CoV-2 sembrano piuttosto discutibili.
In primo luogo, da una prospettiva statistica, come detto in precedenza, considerati i bassi tassi di mortalità (IFR, Infection Fatality Ratio), la prognosi della maggior parte delle persone infette, l’abbondanza di potenziali metodi per ridurre al minimo la morte in quelle infette, il potenziale buon senso e i metodi non stressanti per ridurre al minimo la diffusione dell’infezione, le misure imposte risultano sproporzionate rispetto a ciò che la malattia ha dimostrato di essere.
In secondo luogo, in medicina, come nella vita, l’obiettivo è sempre quello di ridurre il rapporto rischio/beneficio. Ma questo concetto è stato totalmente abbandonato nel caso del Covid-19, polarizzando le misure verso il rischio e ignorando i danni causati dalle misure stesse.
I lockdown, la distanza sociale, le quarantene e l’obbligo di mascherine hanno chiaramente avuto un impatto negativo sulla dignità della persona umana. Purtroppo, i responsabili di questo attacco includono non solo lo Stato, ma anche molti all’interno della Chiesa, che nella maggior parte dei casi si comporta da volontaria esecutrice dei provvedimenti decisi dalle autorità civili. Ancora più triste è quello che sembra essere l’abuso dei principi fondamentali della vita cristiana. In alcuni casi, ciò si è manifestato con il cercare di imporre la conformità ai provvedimenti attraverso la paura, la disinformazione e la drammatizzazione, a volte usando eventi singoli che possono o meno riflettere la realtà generale del Covid-19, mentre sembrano predicare la carità o il principio del bene comune.
Tale travisamento del bene comune ignora la storia umana: coloro che fanno il male spesso distorcono i principi cristiani per attuare i loro scopi malvagi. Ciò è evidente, per esempio, nei politici “cattolici” pro-aborto e nelle parole dello stesso Karl Marx, che nel Manifesto del Partito comunista afferma: “Niente è più facile che dare all’ascetismo cristiano una sfumatura socialista. Il cristianesimo non ha forse declamato contro la proprietà privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha predicato, al posto di questi, la carità e la povertà, il celibato e la mortificazione della carne, la vita monastica e la Madre Chiesa?” (Marx ed Engels, 2003).
Un aspetto chiave che in questi sforzi sembra essere dimenticato è che il bene comune è molto più grande dell’individuo e delle poche persone che circondano ogni individuo. Esso considera “il bene di tutte le persone e di tutta la persona” [enfasi mia] (Pontificio consiglio della giustizia e della pace, 2006, par. 165). Così, il bene comune implica che consideriamo la realtà di ciò che è meglio per la salute della società.
Pertanto, in relazione al Covid-19, abbiamo bisogno di soppesare la realtà delle statistiche che ho affrontato sopra in relazione alla mortalità rispetto alle conseguenze dei provvedimenti (affrontati di seguito) che effettivamente, in una forma o nell’altra, isolano le persone e le danneggiano. Alcuni studi scientifici stanno iniziando a riconoscere questo, dato che il Covid-19 è “ora inteso come un evento traumatico stressante capace di suscitare risposte simili al PTSD” (Post Traumatic Stress Disorder, stress post traumatico) con la possibilità di peggiorare i problemi di salute mentale esistenti (Bridgland et al., 2021).
Mascherine
Allo scopo presunto di proteggere gli altri, i Paesi, gli stati e le istituzioni penalizzano coloro che non indossano mascherine utilizzando prove che sembrano ignorare le realtà al di là della particella del virus (ad esempio Konda et al., 2020; Howard et al., 2021), ma sembrano ignorare sia le prove che potrebbero essere meno di supporto, sia quelle che implicano potenziali conseguenze negative a breve e lungo termine.
Le conseguenze dell’uso della mascherina variano nel loro potenziale di impatto negativo sulla società (Czypionka et al., 2020). I problemi pratici e fisici associati all’uso della mascherina includono:
- Scambio gassoso ridotto/impedito (Kao et al., 2004; Tong et al., 2015; Fikenzer et al., 2020).
- Penetrazione di particelle virali fino al 97% nelle maschere di stoffa e al 44% nelle maschere mediche (MacIntyre et al., 2015).
- Inefficienza dovuta a un uso improprio delle maschere (Burgess e Horii, 2012).
- Ridotta efficienza nella protezione dai virus quanto più a lungo viene indossata la maschera e a causa dell’aumentata umidità (MacIntyre et al., 2015; Lazzarino et al., 2020).
- Potenziale maggiore diffusione del virus a causa della sua presenza sulla superficie esterna delle maschere o per l’aumento del contatto con gli occhi (Isaacs et al., 2020; Lazzarino et al., 2020).
- Cambiamenti significativi nelle caratteristiche della pelle della parte del viso coperta da una maschera, inclusi temperatura cutanea, arrossamento, idratazione e secrezioni (Park et al., 2020) oltre a secchezza oculare, acne, lesioni cutanee e sanguinamento dal naso, mal di testa e cattivi odori (Shenal et al., 2012; Kumar e Singh, 2021).
Oltre a questi effetti, e non comunque indipendente da essi, vi è un sostanziale impatto psicosociale, la cui entità è attualmente difficile da quantificare a causa del tipico ritardo che si osserva nella manifestazione delle conseguenze negative sulla salute mentale (Rajkumar, 2020). La dimensione fisiologica e quella psicologica non sono indipendenti l’una dall’altra e la prima può potenzialmente avere un impatto sulla seconda (Roberge et al., 2012; Scheid et al., 2020). L’impatto psicosociale delle mascherine include:
- Il loro potenziale interferire nella comunicazione con le cure appropriate e il benessere dei pazienti (Isaacs et al., 2020; Marler e Ditton, 2021).
- Affaticamento, ansia o claustrofobia, disturbi cognitivi (Shenal et al., 2012; Kumar e Singh, 2021).
- Confusione nell’interpretazione delle emozioni dovuta all’interferenza con il riconoscimento delle espressioni facciali e impedimento nelle relazioni interpersonali indipendentemente dal fatto che vi siano psicopatologie preesistenti o meno (Critchley et al., 2000; Carbon, 2020; Isaacs et al., 2020).
- Il potenziale interferire con il rilevamento appropriato di sostanze chimiche naturali (feromoni) potenzialmente coinvolte nelle relazioni umane naturali (Savic et al., 2009).
Disumanizzazione della persona umana e delle relazioni
Inoltre, e collegata almeno in parte all’uso della mascherina, è da considerare la disumanizzazione della persona umana e delle relazioni, in particolare le relazioni sessuali, con istruzioni perfino per indossare mascherine durante i rapporti sessuali (Pennsylvania Department of Health, 2021), oltre agli sforzi per incoraggiare l’auto-piacere (Turban et al., 2020; Pennsylvania Department of Health, 2021). L’impatto di tutto ciò non è stato senza conseguenze, con un aumento fino al 24,4% nell’uso della pornografia segnalato il 25 marzo 2020 (picco Usa: 41,5%; picco europeo: 18%). E se nel marzo 2020 si è registrato un picco, l’uso rimane ben al di sopra delle tendenze precedenti. Tali aumenti destano preoccupazione indipendentemente dal gruppo di età, tuttavia tra i più vulnerabili ci sono gli studenti universitari, che hanno riportato livelli significativi di depressione e ansia. Quindi, si può solo immaginare che la relazione tra pornografia, salute mentale negativa e comportamenti compulsivi (simili alla dipendenza) precedentemente segnalati (Camilleri et al., 2021) sia attualmente solo amplificata, soprattutto considerato il tanto tempo trascorso online per continuare con le lezioni.
Tamponi, tracciamento dei contatti e vaccini
Anche la spinta a testare, pure per i portatori asintomatici, e a vaccinare è motivo di preoccupazione. Ancora una volta, il termine “bene comune” viene utilizzato ripetutamente per giustificare tutto quanto sopra riportato. Tuttavia, ci sono molti aspetti che rendono discutibile la necessità di uno qualsiasi di questi provvedimenti, dato l’onere che potenzialmente impongono in relazione al presunto vantaggio.
Relativamente al tampone, a parte le preoccupazioni derivanti dall’accuratezza del test della reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa (RT-PCR) utilizzato (Jaafar et al., 2020; Surkova et al., 2020), inclusi i commenti del dottor Fauci stesso, sorge la domanda sulla necessità e l’utilità dei test negli asintomatici (Buitrago-Garcia et al., 2020; Pollock e Lancaster, 2020). Inoltre, il dottor Fauci in una conferenza stampa alla fine di gennaio 2020 ha dichiarato: “Storicamente le persone hanno bisogno di rendersi conto che anche se esiste una trasmissione asintomatica [di Covid-19], in tutta la storia dei virus respiratori di qualsiasi tipo, la trasmissione asintomatica non è mai stata la causa di focolai. Il motore dei focolai è sempre una persona sintomatica. Anche se c’è una rara persona asintomatica che potrebbe contagiare, un’epidemia non è guidata da portatori asintomatici”.
Per quanto riguarda il tracciamento dei contatti, l’OMS, in un documento intitolato Misure di salute pubblica non farmaceutica per mitigare il rischio e l’impatto dell’influenza epidemica e pandemica (WHO, 2019) descrive il tracciamento dei contatti come “altamente distruttivo” e “non raccomandato in generale perché non esiste una motivazione logica evidente nella maggior parte degli Stati membri”. Inoltre, per quanto riguarda le prove per la tracciabilità dei contratti, il documento afferma: “Le prove per l’efficacia complessiva della tracciabilità dei contatti sono limitate e si stima che la tracciabilità dei contatti fornisca al massimo un vantaggio modesto, ma allo stesso tempo aumenterebbe considerevolmente il numero di individui in quarantena”, insieme a tutte le implicazioni sociali/psicologiche derivanti da tali misure.
Per quanto riguarda la vaccinazione, il Libro bianco dei medici in prima linea americani sui vaccini sperimentali per Covid-19 delinea alcune legittime preoccupazioni relative al vaccino, incluse l’assenza di studi preclinici e il fallimento dei precedenti vaccini contro il coronavirus, nonché le preoccupazioni relative alla tecnologia utilizzata. Inoltre, ci sono prove di potenziali conseguenze negative sufficienti a giustificare cautela sulla base dei risultati relativi ai vaccini contro il coronavirus Sars (Tseng et al., 2012). Da un punto di vista etico, poi, sono state sollevate preoccupazioni riguardo alla moralità dell’utilizzo di vaccini anche lontanamente collegati agli aborti. Questa informazione evidenzia la necessità di una considerazione realistica del vero impatto del virus Sars-CoV-2 e se il vaccino sia una misura veramente giustificata.
Altre conseguenze
Altre conseguenze delle misure adottate per ridurre al minimo la diffusione del Covid-19 includono l’aumento della violenza domestica in numerosi paesi, con aumenti percentuali fino al 30% (UN Women, 2020). Inoltre, i rapporti continuano a indicare un aumento significativo dei problemi di salute mentale (aumento del 30,9% di ansia e depressione; aumento del 26,3% di traumi e disturbi correlati allo stress), l’uso di sostanze (con il 13,3% che ha iniziato o aumentato l’uso di sostanze per far fronte alla pandemia) e la seria considerazione relativa al suicidio (aumento del 25,5% nella fascia 18-24 anni nei trenta giorni precedenti l’indagine) (Czeisler et al., 2020).
Conclusioni
Per concludere, sappiamo che il Covid-19 è chiaramente una malattia; tuttavia, sappiamo anche che sono disponibili trattamenti. È diventato sempre più chiaro, come indicano le statistiche, che le misure adottate nella presunzione di combattere la diffusione del virus Sars-CoV-2 sono state sproporzionate e dannose rispetto a ciò che la malattia ha dimostrato di essere, come è evidente a vari livelli, inclusi, ma non limitati, i livelli fisiologico, psicologico e sociale. Inoltre, gli argomenti che utilizzano il “bene comune” per giustificare le varie limitazioni imposte alle persone ignorano la realtà delle significative conseguenze negative a lungo termine (potenzialmente multi-generazionali) affrontate in questo articolo.
Sebbene questo articolo non possa realisticamente affrontare in modo esaustivo ogni impatto riportato nella letteratura scientifica o nei media, evidenzia la necessità di una seria rivalutazione delle priorità da parte di vescovi, pastori, consiglieri e amministratori a ogni livello, circa le conseguenze più dannose delle misure adottate nella presunzione di combattere il Covid-19. Si spera che ciò conduca a sforzi concertati per bloccare e porre fine alle varie misure disumane, sostituendole con sforzi più di buon senso, che rispettano la vera dignità della persona umana nella sua pienezza e, di conseguenza, servono veramente il bene comune.
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*Stephen Sammut, BPharm, PhD, è professore di psicologia all’Università Francescana di Steubenville. Il dottor Sammut ha ricevuto un BPharm dalla Monash University di Victoria in Australia e un dottorato di ricerca in Neuroscienze presso l’Università di Malta. Per più di vent’anni il dottor Sammut ha condotto ricerche su modelli animali per indagare su questioni legate alla psicopatologia, tra cui depressione, schizofrenia, morbo di Parkinson e abuso di droghe.
Fonte: crisismagazine.com
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