“Denazificheremo l’Ucraina”. Cosa non torna nelle parole di Putin
di INSIDEOVER (Andrea Muratore)
“Negli anni Trenta l’Occidente ha aperto la strada al nazismo in Germania e adesso fa lo stesso in Ucraina. Si è impegnato in imbrogli, ha chiuso gli occhi sugli omicidi politici e sulle repressioni del regime di Kiev e ha incoraggiato i nazisti a commettere atti terroristici”. Stamattina alle 12:00 (ora locale di Mosca) il presidente russo Vladimir Putin ha usato queste parole per attaccare Kiev e i suoi alleati nel discorso sullo stato della nazione, a un anno da quello che il 21 febbraio 2022 ha preconizzato l’intervento in Ucraina con il riconoscimento delle repubbliche separatiste in Donbass.
Non è certo la prima volta che Putin equipara il governo ucraino e i suoi soldati al Terzo reich, almeno ideologicamente. L’ultima volta, il 3 febbraio scorso, a margine di una cerimonia per ricordare la battaglia di Stalingrado a Volgograd, ha attaccato la Nato e Berlino in particolare per la decisione di fornire carri armati tedeschi all’esercito di Volodymyr Zelensky.
“Ora, purtroppo, vediamo che l’ideologia del nazismo, già nella sua veste moderna, nella sua manifestazione moderna, crea di nuovo minacce dirette alla sicurezza del nostro Paese”, aveva detto. “Ancora una volta dobbiamo respingere l’aggressione dell’Occidente collettivo e sebbene sia incredibile ma vero che la Russia sia nuovamente minacciata dai carri armati tedeschi, Mosca ha una risposta per qualsiasi Paese che la minacci”, ha aggiunto.
Lo scopo della cosiddetta operazione militare speciale è sempre stato quello di “smilitarizzare” e “denazificare” l’Ucraina. Era stato annunciato la prima volta nel discorso televisivo di Putin a poche ore dall’invasione. Ma a chi si rivolge il presidente russo quando accusa la leadership ucraina di nazismo? Probabilmente a tutti gli apparati di potere, a partire dalla presidenza. Ma le radici di questa propaganda non si sono originate dal nulla.
Il problema dell’estrema destra in Ucraina
Il problema dell’estremismo di destra in Ucraina esiste da almeno un secolo. C’entra molto la figura del controverso “eroe” nazionale Stepan Bandera, che lottò per l’indipendenza del suo Paese collaborando con la Germania di Hitler e partecipando allo sterminio degli ebrei polacchi, ma opponendosi alla repressione sovietica che negli anni ’30 aveva causato la carestia. I seguaci di Bandera non sono pochi in Ucraina, ma non per questo tutti gli ucraini sono nazisti.
La presenza di gruppi di estremisti di destra in Ucraina è sì preoccupante, ma in linea con quasi tutti gli altri Stati europei. Per anni la propaganda filorussa ha rilanciato la notizia che il partito neonazista Svoboda fosse ai vertici del Paese. In realtà, a parte un coinvolgimento diretto (insieme a quello di tantissime altre forze civili e movimenti disparati presenti in Ucraina) nella rivolta di Euromaidan, Svoboda non ha avuto una rappresentanza politica significativa negli ultimi anni. Oggi alla Verchovna Rada, dove nel 2012 aveva eletto Ruslan Koshulinskiy vice presidente, ha un solo deputato.
C’è poi Pravyj Sektor (Settore destro), partito ultranazionalista e dichiaratamente neofascista presente a Euromaidan nel 2014, evento che gli ha permesso di confermarsi come uno dei principali soggetti dell’estrema destra extraparlamentare in Ucraina. Nelle sue file c’erano soprattutto personalità provenienti dalla “galassia” degli ultrà del calcio ucraino, finite al fronte in Donbass a combattere le repubbliche di Lugansk e Donetsk. Come per Svoboda, anche per Pravyj Sektor si può applicare lo stesso ragionamento: non essendo mai stato in grado di influenzare i decisori politici o di tradurre la sua forza propagandistica in voti, il partito non è mai andato oltre il 2% alle elezioni parlamentari.
Azov e le infiltrazioni militari sopravvalutate
Che dire invece del battaglione Azov? Nato a Mariupol come una compagnia paramilitare di volontari, il gruppo è stato attivo dal 2014 al 2022 in Donbass, in particolare nell’oblast’ di Donetsk. I membri del battaglione non hanno mai nascosto le loro simpatie neonaziste e il loro sentimento antirusso. Negli anni però l’esercito ucraino ha deciso di inquadrarlo all’interno della Guardia nazionale per evitare la scomoda presenza di forze militari parallele nello sforzo bellico contro i separatisti. Nel suo periodo di massima espansione, Azov ha potuto vantare oltre 2mila combattenti. Dopo la presa di Mariupol da parte dei soldati di Putin, a cui Azov ha resistito per mesi trincerandosi nell’acciaieria Azovstal, le dimensioni del corpo di volontari si sono ridotte sensibilmente a poche centinaia, quasi tutte attive ormai a Kiev.
La conclusione azzardata che si potrebbe trarre dalla storia del battaglione Azov è che l’esercito ucraino sarebbe connivente con i neonazisti. Tuttavia, se la matematica non è un’opinione, un gruppo di un migliaio di militari appartenente a un esercito di mezzo milione di soldati ammonta allo 0,2% del totale, una cifra per niente rappresentativa.
Normalmente, un popolo non dovrebbe mai espiare le colpe di chi lo governa. Nel caso dell’Ucraina però non è mai stata dimostrata una complicità tra Zelensky, i suoi consiglieri e l’estrema destra tale da poter affibbiare al regime di Kiev la scioccante etichetta di “nazista”. Tra le intenzioni del governo ucraino non risulta infatti quella di emanare delle leggi razziali né quella di pianificare una “soluzione finale” per ebrei, omosessuali e altre minoranze.
Se Putin fosse sinceramente preoccupato per la presunta deriva nazionalsocialista di Kiev, allora dovrebbe tenere fede al significato originale del termine “denazificare”, inventato dagli Alleati nel secondo dopoguerra per descrivere quel processo di sostituzione dei vertici dello Stato tedesco e della distruzione dell’iconografia nazista che obbligò Berlino a dotarsi di un governo democratico. Al posto di Zelensky, allora, dovrebbe sedere un altro presidente democraticamente eletto – esattamente come lui – e non un fantoccio controllato dal Cremlino. La denazificazione, almeno per come la presenta Putin, rappresenta quindi soltanto un pretesto per giustificare la guerra.
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