Gregory Alegi: «Donald Trump potrebbe vincere anche da condannato»
di DIARIO DEL WEB (Fabrizio Corgnati)
Al DiariodelWeb.it l’analisi sulla campagna elettorale per le presidenziali 2024 negli Stati Uniti del professor Gregory Alegi, docente di storia americana alla Luiss
A quindici mesi dalle prossime elezioni presidenziali, la contesa politica negli Stati Uniti si è accesa. Da un lato c’è l’incriminazione probabile futuro candidato repubblicano Donald Trump, accusato per aver tentato di sovvertire il risultato dell’ultimo voto e sobillato l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. «Mi serve un’altra incriminazione per assicurarmi la vittoria», è stata la risposta sarcastica dell’ex presidente. Dall’altra l’uscente Joe Biden, alle prese con il caso del figlio Hunter, sotto accusa per violazione fiscale e possesso illegale di armi da fuoco. Insomma, uno scenario piuttosto delicato. «Il futuro degli Usa fa un po’ paura», è il primo commento al DiariodelWeb.it del professor Gregory Alegi, docente di storia americana all’università Luiss.
Professor Gregory Alegi, che cosa la preoccupa in particolare?
La forza degli Stati Uniti è stata a lungo quella di saper integrare culture diverse, anche in maniera brutale. I miei nonni emigrati all’inizio del secolo scorso non hanno avuto vita facile.
E oggi?
Vedo che si stanno smontando in sottoculture, microculture, identità che non si parlano più. A livello macroscopico lo vediamo nella scomparsa di un centro moderato e nella polarizzazione del discorso.
Dunque si aspetta un’altra campagna elettorale accesa?
Sì. Tre anni fa Trump sostenne che l’unico modo in cui avrebbe potuto perdere sarebbe stato per effetto dei brogli. Un mancato riconoscimento dell’avversario, tanto che non ha mai riconosciuto la sconfitta.
Insomma, si va oltre la semplice dialettica politica.
Ci sono sempre state differenze di vedute molto forti, ma ora è il sistema democratico nel suo complesso a essere in pezzi. Il fatto che il futuro processo a Trump venga vissuto come un problema di ordine pubblico la dice lunga sul fatto che si consideri legale solo quello che sta dalla propria parte.
Addirittura Trump sostiene che processandolo gli facciano un favore.
Per la verità ha detto anche cose piuttosto pesanti sul giudice e sul procuratore. Cose che Berlusconi non ha mai detto sui giudici di Milano.
Ma è vero che l’incriminazione possa fargli gioco a livello elettorale?
Sì, ma anche no. Sì, nel senso che i sondaggi ci dicono che sta rinsaldando la base repubblicana dura e pura, secondo cui Trump è un perseguitato, una vittima, non ha fatto niente di male, ha solo espresso un’opinione. Mi sembra invece più difficile che con questa posizione estremista possa guadagnare i voti moderati.
Che potrebbero essere l’ago della bilancia.
Le ultime elezioni, in cui ballavano uno o due punti percentuali, ci insegnano che non si vince conservando i propri, ma convertendo qualcuno degli altri. In questo modo sicuramente Trump non perderà voti, ma nemmeno ne guadagnerà.
Gli stessi sondaggi indicano una situazione in sostanziale parità tra democratici e repubblicani.
Sì, anche se lasciano abbastanza il tempo che trovano. In un Paese grande come gli Usa bisogna vedere quante persone hanno sondato: di solito tre o quattromila. Poi il sistema americano non è a elezione diretta: i cinquanta Stati votano i grandi elettori i quali, a loro volta, eleggono il presidente. Tanto è vero che il tentativo di golpe di Trump fu quello di sostituire i grandi elettori con altri a lui favorevoli.
E dunque?
Se in uno Stato prendo il 50% più uno o il 100% dei voti, il numero di grandi elettori è sempre lo stesso. Dipende come i consensi sono distribuiti geograficamente: se sono tutti nelle proprie roccaforti non vuol dire niente. Come sempre sono gli Staterelli più piccoli a fare la differenza.
Ma un’eventuale condanna di Trump che conseguenze politiche potrebbe avere?
Intanto il procuratore speciale ha compiuto una mossa avveduta: ha evitato di contestargli il reato di insurrezione, per il quale sono già stati condannati molti partecipanti all’evento del 6 gennaio, perché una condanna gli avrebbe fatto perdere i diritti politici. Lo ha fatto per non prestare il fianco all’accusa di processo politico. I reati per cui è incriminato non gli impedirebbero di candidarsi.
Potrebbe vincere le elezioni anche da condannato, dunque.
Sarebbe la prima volta negli Stati Uniti, ma in Italia ricordiamo il precedente di Toni Negri, candidato apposta per farlo uscire di galera.
Trump si appella al primo emendamento, alla libertà di espressione.
Lo interpreta come se fosse un salvacondotto per poter dire tutto quello che gli pare. Chiaramente non è così in nessun sistema: sono sempre esistiti i reati di calunnia, di diffamazione, di falsa testimonianza. Trump è il primo a querelare i suoi critici per questi reati. Mi sembra una difesa un po’ estrema e giuridicamente non vincente. In realtà la libertà di parola non significa irresponsabilità: siamo liberi di parlare, ma responsabili di ciò che diciamo. Questo sta diventando il centro del dibattito politico.
Ha un senso l’affermazione secondo cui questa incriminazione sia una risposta al caso Hunter Biden?
Semmai è vero il contrario. Non c’è dubbio che Hunter Biden sia un soggetto immaturo, con forti problemi di comportamento, dunque umanamente problematico e anche politicamente per il padre. È una spina nel fianco e Trump lo aveva utilizzato già nella campagna del 2020. Non c’è niente di nuovo. Piuttosto, il fatto che i repubblicani resuscitino questo caso per creare dei problemi a Biden sa di ritorsione e di ricatto politico.
Ma il presidente Biden ha una responsabilità per quei comportamenti?
Non so, anche giuridicamente, quanto un padre possa essere ritenuto responsabile per un figlio adulto. Bisognerebbe dimostrare che Joe abbia detto a Hunter di spendere tranquillamente il suo nome quando aveva bisogno o qualcuno gli faceva dei problemi. Il continuo richiamo al fatto che era figlio del vicepresidente mi sembra più un segno di debolezza suo che di favoritismo da parte del padre. Allo stesso modo è difficile dimostrare che Trump abbia organizzato una rivolta, che è diverso dal dire che abbia lanciato messaggi che potevano essere mal interpretati.
Mi sembra di capire che stiamo per assistere a una riedizione dell’ultima campagna elettorale.
Assolutamente sì. Non solo gli Usa non riescono a superare le divisioni, ma neanche a rinnovare la scena con nuovi protagonisti. Nel partito repubblicano c’è solo Trump e gli altri, a partire da DeSantis, non hanno alcuna chance. E in quello democratico non c’è un’alternativa a Biden: il messaggio si limita alla buona gestione, a far funzionare la macchina senza scossoni né strappi. Non c’è più una nuova frontiera, una visione utopica.
Manca lo «yes, we can».
E tutto il Paese, dopo Obama, il più giovane presidente eletto di sempre, passa a vivere una gara tra due ottantenni. Questo indica un malessere di fondo, al quale si risponde sempre con le stesse retoriche simboliche, con gli stessi argomenti identitari, con le stesse posizioni di principio. Che, con la vita quotidiana della maggior parte dei cittadini, hanno pochissimo a che fare.
In questo senso mi ricorda molto la situazione politica italiana.
Con la differenza che il nostro sistema, ufficialmente, è ultra-frammentato. Gli Stati Uniti hanno due partiti, dunque un sistema semplificato. Che però si sta bloccando, incartando su se stesso. E questo ci riguarda, come cittadini italiani ed europei, perché quello che accade lì ha un impatto anche su di noi.
In che senso?
Proviamo a pensare a un’eventuale vittoria repubblicana, che riportasse al potere non solo un partito del dialogo con la Russia, ma addirittura dell’accettazione dell’autoritarismo putiniano, dell’anti-democrazia. Le conseguenze non sarebbero banali: l’Unione europea cosa farebbe, ritrovandosi schiacciata tra due colossi? Riusciremmo ancora a trovare una politica estera e di difesa comune oppure questo porterebbe alla frammentazione degli Stati europei che, verosimilmente, Russia e Usa auspicano?
Fonte: https://diariodelweb.it/opinioni/gregory-alegi-donald-trump-potrebbe-candidarsi-anche-da-condannato/
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