Ho scritto più volte, laddove potevo, che non credevo all’ipotesi di un’invasione russa dell’Ucraina. Mi sbagliavo. Avevo buone ragioni, ero in buona compagnia ma ovviamente mi sbagliavo. Per essere onesto, ancora adesso non riesco a crederci. Perché ritengo questa avventura portatrice di lutti agli ucraini e di grandi disgrazie ai russi e ancora non posso a spiegarmi come e perché il freddo scacchista Vladimir Putin di ieri si sia trasformato nell’iracondo e minaccioso capo di oggi, capace non solo di fare una guerra o qualcosa di simile (era già successo nel 2008 con la Georgia, in Ucraina nel 2014, in Siria nel 2015, per non tornare alla Cecenia del suo esordio sulla scena mondiale) ma di minacciarne una ancora più ampia caso di “intromissioni”.

Ci saranno lutti, e molti, per gli ucraini, questo è scontato. E bisognerà vedere che cosa c’è nella testa di Putin per l’immediato futuro. Se davvero la sua avventura è basata sull’idea di occupare e poi controllare un Paese vasto due volte l’Italia, abitato da 45 milioni di persone, sostenuto dall’intero Occidente e da una diaspora importante magari pronta a finanziare e alimentare un movimento di resistenza, vuol dire che ha perso la testa. Se invece il piano del Cremlino è di annichilire la struttura militare dell’Ucraina per poi annettere alla Russia (questa la sostanza, le formule burocratiche potrebbero variare) una porzione ancora più ampia del suo territorio, allargando il Donbass a Nord verso la grande città industriale di Kharkiv e a Sud al grande porto di Mariupol’, o addirittura fino a unirlo con la Crimea già riannessa nel 2014, avrebbe guadagnato spazio ma spedendo la superstite Ucraina dritta dritta nella Nato e di fatto annullando o quasi qualunque conquista territoriale.

Ma torniamo alla situazione di qualche giorno fa. Le due Repubbliche del Donbass erano state riconosciute, come approvato anche dal 73% dei russi, almeno a stare ai sondaggi. Mezzo mondo occidentale aveva fatto capire che l’Ucraina nella Nato ci sarebbe entrata, forse, nel prossimo secolo. L’Ucraina stessa, con la sua precaria situazione politica ed economica, non era di alcuna concreta minaccia per la Russia. Perché non fermarsi? Perché correre questa avventura?

Pietro Pinter, ieri, ha spiegato bene, in queste pagine, le possibili motivazioni strategiche. Ma lo scarso vantaggio strategico che, in un modo o nell’altro, la Russia potrà ottenere (sempre che ottenga i suoi scopi) vale lo svantaggio tattico dell’isolamento totale dal mondo occidentale, del peso delle sanzioni, dello sconcerto (ma dovremmo dire lo scontento) di un popolo che nel 2021 ha visto peggiorare le condizioni di vita, con l’inflazione sopra il 10%, il calo dei redditi reali, il netto aumento del costo della vita (più 10-12% i generi alimentari di base, più 25% le automobili o gli affitti nelle grandi città), e che comunque non crede alla guerra? Secondo me no, anche perché è chiaro che questa avventura bellica non risolve la crisi, semmai la approfondisce e la prolunga. E la Russia è sola. Anche la sponda cinese non è poi così certa. Se si tratta di rompere le scatole agli Usa, non c’è problema. Ma per il resto… La tradizionale ritrosia della Cina nel riconoscere i separatismi, nel caso quello del Donbass, avendo in casa le grane Tibet e Xinjiang si fa sentire già adesso.

Per finire, un ultimo tema. Pare evidente che non tutti, al vertice della Russia, concordano con la linea scelta da Putin. L’altro giorno le facce dei membri del Consiglio di Sicurezza, convocati per fare da contorno al riconoscimento delle due Repubbliche del Donbass, parlavano chiaro. E il modo in cui Putin ha incenerito in diretta Tv Sergey Naryshkin, un suo fedelissimo, capo dei servizi segreti, che cercava di sostenere una linea più moderata, dice con chiarezza che anche intorno al Cremlino spuntano tanti dubbi. Bisognerà poi mettere in conto il danno che le sanzioni provocheranno ai potentati economici (i cosiddetti oligarchi) e ai grandi conglomerati industriali che sono i pilastri dell’economia russa e che in questi anni, a dispetto di tutto, hanno mantenuto salde relazioni con le controparti occidentali. Basti pensare, per fare un solo esempio, che nel 2021 l’interscambio commerciale tra Russia e Italia è cresciuto del 10%… In alto parole, l’avventura in Ucraina potrebbe seriamente incrinare quegli assetti di potere che reggono la Russia da due decenni, aprendo una stagione di incertezza e instabilità.

Pare quindi legittimo chiedersi, ora, se con la sua ultima mossa Putin abbia attaccato l’Ucraina o se non abbia, piuttosto, colpito la sua stessa Russia.