La crisi è in Ucraina, lo scontro è sull’Euro
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Un collasso dell’economia europea rafforzerebbe il dollaro
Le sanzioni decise nei confronti della Russia per via del suo intervento militare in Ucraina, che sono state già decise in questi giorni in primo luogo dagli Usa e dalla Gran Bretagna, avranno un impatto asimmetrico: colpiranno infatti le economie europee assai più di quella americana e britannica.
Per questo motivo, a Bruxelles c’è particolare cautela: si rischia una recessione gravissima, con esiti inimmaginabili anche per la tenuta dell’Euro, di cui beneficerebbe il dollaro.
L’economia americana, infatti, a differenza di quella europea che dipende dalle importazioni di gas dalla Russia, beneficia di una piena indipendenza energetica: ai prezzi odierni, è già conveniente il trasporto via nave di GNL dagli Usa. Solo qualche mese fa sarebbe stata considerata una follia!
Anche dalla Russia, naturalmente facendo il proprio gioco, giungono messaggi allarmanti. Commentando l’annuncio del governo tedesco di interrompere la certificazione del North Stream 2, l’ex premier russo Dmitry Medvedev ha ironizzato: “Bene! Benvenuti nel nuovo coraggioso mondo in cui gli europei pagheranno molto presto 2.000 euro per 1.000 metri cubi di gas naturale!”.
Non rischiamo solo un inverno al freddo, in Europa, con i razionamenti del carburante ed i distacchi programmati delle forniture di energia elettrica: un collasso economico e poi finanziario travolgerebbe l’Euro a beneficio del dollaro. Una prospettiva che a molti, Oltre Atlantico, farebbe immenso piacere.
Gli Usa hanno un debito estero netto pazzesco, di oltre 11 trilioni di dollari, hanno una bilancia commerciale in rosso strutturale da decenni, ed hanno bisogno di raccogliere capitali da tutto il mondo per finanziare questi squilibri: una crisi europea e dell’Euro porterebbero capitali sul dollaro, rafforzandolo.
Cina e Russia hanno deciso di regolare in Euro i pagamenti delle forniture energetiche, per sottrarsi anche loro alla “tirannia del dollaro”. E’ esattamente quello che ha cercato di fare l’Europa da cinquant’anni a questa parte: e la storia monetaria, valutaria, finanziaria e politica di tutti questi anni testimoniano quanto questo progetto sia stato contrastato dagli Usa e quanto difficile sia stato realizzarlo.
“E’ la nostra moneta, ma il vostro problema!”, così affermò, assai acidamente, nel 1971 il Segretario di Stato al Tesoro americano John Connally, replicando a chi si lamentava del recesso unilaterale dagli impegni assunti a Bretton Woods in ordine alla convertibilità internazionale aurea della valuta statunitense.
Gli attivi commerciali europei non sarebbero più stati convertiti in lingotti, al cambio fisso di 35 dollari per oncia di oro fino: ci si sarebbe dovuti accontentare di accumulare dollari, moneta di carta.
Il processo di coordinamento monetario dei Paesi europei è stato lungo e complesso, per arrivare ad una convergenza economica e finanziaria che consentisse di creare una “Moneta senza Stato”, l’Euro, uno strumento che evitasse di recuperare i deficit commerciali esteri mediante le svalutazioni e che diventasse uno strumento di riserva alternativo al dollaro.
Ancor di più, l’obiettivo europeo era di sganciarsi dalla politica valutaria e monetaria statunitense. Dopo averne fatto le spese nel 1971, seguì nel 1980 l’aumento eccezionale dei tassi di interesse che fu deciso dalla Fed per stroncare la “stagflazione”: ciò diede nuova forza alla moneta americana, drenando i capitali europei verso l’America dove beneficiavano degli alti rendimenti. I Paesi europei furono poi penalizzati dal Plaza Accord, nel 1985: si indusse una forte recessione attraverso la rivalutazione imposta alle loro valute, perdendo il vantaggio sul versante delle esportazioni che era stato determinato della enorme forza acquistata dal dollaro con la manovra sui tassi decisa nel 1980. Solo a fatica, con i successivi Accordi del Louvre, si mise fine a quel massacro.
Con la creazione dello SME (acronimo che definiva prima il “Serpente Monetario Europeo” e poi il “Sistema Monetario Europeo”) si cercò di stabilizzare il valore internazionale delle valute europee aderenti per coordinarne il cambio reciproco. In vista della futura creazione di una moneta comune o addirittura unica, l’ECU (European Currency Unit) fu il primo esperimento.
Nel 1992, un attacco speculativo guidato dal finanziere George Soros fu contemporaneamente portato contro la lira italiana, la sterlina britannica ed il franco francese, col risultato di far saltare in aria questo coordinamento monetario. Lira e sterlina svalutarono dopo un eccezionale deflusso di valuta all’estero: di questo beneficiò la Germania che aveva appena innalzato i tassi di interesse per approvvigionarsi sull’estero dei capitali necessari per procedere alla ricostruzione dei Lander Orientali dopo la Riunificazione.
L’entrata in circolazione dell’Euro, nel 2002, ha rappresentato un cambio di paradigma che ha dato all’Unione europea quella autonomia monetaria cui aveva sempre aspirato, ma che ha messo in seria difficoltà i Paesi come l’Italia rispetto alla Germania: quest’ultima ha usato la relativa debolezza dell’euro verso il dollaro per rafforzare le proprie esportazioni. L’Italia, al contrario, che si svalutava continuamente verso il marco guadagnando contemporaneamente terreno nei confronti del dollaro, ne è uscita fortemente penalizzata. Il differenziale sui tassi di interesse, lo spread a nostro danno, ha rappresentato un peso rilevante per gli interessi sul debito dello Stato e su quello dell’intero sistema economico.
La Banca Centrale Europea non ha mai agito per ridurre questi differenziali di interesse, che nuocciono alla circolazione monetaria, ma solo per controllare l’inflazione.
Nel corso degli anni, a livello internazionale, l’Euro ha mantenuto una forza inaspettata, diventando una sorta di “valuta aurea” rispetto al dollaro: la sua rivalutazione continua alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria Americana del 2008, quando il suo valore cresceva continuamente rispetto al dollaro, fu la dimostrazione che i capitali fuggivano dalla valuta americana presagendo il peggio.
Curiosamente, nel 2010 cominciò la sarabanda nei confronti della Grecia e delle sue finanze pubbliche in disordine: molti economisti americani suggerirono la opportunità di “prendersi una vacanza dall’Euro”. Era l’unica possibilità, svalutando con una Nuova Dracma, di ridenominare il debito pubblico riducendone il valore e di riequilibrare i conti con l’estero, da sempre in passivo.
La Germania si oppose con tutte le sue forze a questa ipotesi: era l’anticamera della dissoluzione della Moneta Unica Europea come strumento di riserva internazionale: sarebbe diventata una valuta “à la carte”, priva di consistenza. Atene ha pagato a caro prezzo la sua adesione alla moneta europea, Berlino ha dimostrato invece che l’Euro ha una forza politica difficilmente scalfibile.
Ora siamo di fronte ad una nuova prova di forza: sugli equilibri in Ucraina si giocano i rapporti tra Usa e Russia ed il ruolo della NATO nell’Est europeo.
L’idea stessa di un Esercito europeo è svanita, il ruolo di mediazione della Francia si è dissolto immediatamente, la NATO si sta dimostrando determinata e reattiva.
L’Europa è terreno di scontro, ancora una volta.
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