Biodiversità come mito, Biotecnologie come business
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Bruxelles brancola, tra isole di Natura incontaminata e sfrenate Lobby tecnologiche
La schizofrenia non è una malattia, a Bruxelles, ma una ben sperimentata tecnica di governo: basta dare ragione a tutte le proposte più estreme, dagli ecologisti che chiedono il ritorno alla Natura incontaminata alle Multinazionali che continuano a dettare legge con le loro tecnologie in campo agricolo e nella alimentazione sintetica, per vantarsi di essere sempre all’avanguardia.
La prospettiva è di trasformare l’Europa in una sorta di Zoo.
Accanto all’obiettivo della “rinaturalizzazione” del territorio, creando delle vere e proprie isole in cui la Natura tornerà ad essere incontaminata, con le specie naturali libere di riprodursi e la biodiversità ad essere la regola, si pongono limiti sempre più stringenti all’agricoltura, giustificati dalla necessità di combattere l’abuso dei concimi chimici che bruciano il terreno, i diserbanti asserviti alle singole varietà coltivate, i pesticidi che da una parte contrastano gli insetti e gli organismi patogeni e dall’altra annientano gli agenti impollinatori, come le api. Nel settore dell’allevamento, si impongono giuste regole sul benessere animale, con il divieto di gabbie anguste e di metodi strazianti per l’abbattimento dei capi.
Il problema, in fondo, è uno solo: il passaggio che si è avuto dall’agricoltura tradizionale, quella condotta dai piccoli proprietari terrieri, a quella intensiva su base industriale in cui gli ettari ed i capi allevati si contano a migliaia. La maggiore produttività di quest’ultimo sistema ha spinto i piccoli agricoltori ed allevatori ad entrare in concorrenza spietata con le imprese di grandi dimensioni, adottando metodi di sfruttamento ancora più feroci nella coltivazione della terra e di alimentazione degli animali: solo così possono cercare di sopravvivere. Le conseguenze in campo agricolo sono state devastanti: le tantissime varietà tradizionali sono state abbandonate a favore delle poche sementi sempre più produttive, messe a disposizione dalle multinazionali insieme ai necessari concimi chimici ed ai diserbanti. La Grande Distribuzione Organizzata, che domina il mercato alimentare, ha fatto anch’essa la sua parte: ha bisogno di standard qualitativi elevati, e soprattutto di varietà di frutta e di verdura che non marciscano velocemente tra il momento della raccolta e quello della vendita nei supermercati. A ritroso, questo ha reso necessario abbandonare le tante varietà agricole tradizionali, meno produttive e meno resistenti.
Questi sono i fattori che hanno ridotto la biodiversità in campo agricolo e nell’allevamento, creando un sistema ecologicamente non sostenibile ed economicamente penalizzante per i piccoli operatori. I margini di profitto si sono spostati a favore delle Multinazionali e della Grande Distribuzione.
Qui sta il paradosso di Bruxelles: per contrastare l’innegabile degrado dei terreni dal punto pedologico, l’inquinamento delle acque sotterranee e la riduzione delle varietà coltivate ed allevate, propone di ridurre le aree destinate ad uso agricolo. In pratica, si passa dai Parchi e dalle Riserve naturali alle Aree di Rinaturalizzazione.
La conseguenza di questa decisione è aberrante: voler ridurre il territorio da destinare all’agricoltura, per restituirlo alla Natura incontaminata, significa dover sfruttare maggiormente quello che rimane. Invece di favorire il ritorno all’agricoltura sostenibile e all’allevamento brado, si aumenta il differenziale naturalistico tra le aree protette e le aree coltivate.
Ed è paradossale il capovolgimento della logica secondo cui “Chi inquina, paga!”: al consumatore, le carni o le uova da allevamento e da agricoltura biologica devono costare di meno, e non di più, rispetto a quelle che provengono da una filiera produttiva che abusa di mangimi industriali, di concimi chimici, di diserbanti e di pesticidi di ogni sorta.
Non è un caso, a questo punto, che la Food and Drug Administration statunitense abbia già dato la sua autorizzazione alla commercializzazione della carne di pollo prodotta in laboratorio: dopo gli OGM in agricoltura, le Multinazionali puntano a spiantare l’allevamento tradizionale con la carne sintetica. Gli ecologisti sarebbero pure d’accordo: non ci sono solo le deiezioni degli animali che inquinano, ma c’è pure la CO2 che emettono a danneggiare l’ambiente!
In fondo, perché mai le Multinazionali delle biotecnologie si dovrebbero opporre alla strategia di “Rinaturalizzazione” del territorio? E’ questa scelta, solo apparentemente ecologica, che renderà invece necessarie tecniche produttive sempre più industrializzate ed artificiali mentre danneggia quelle agricole e di allevamento a basso impatto ambientale e che salvaguardano la vera biodiversità in campo alimentare.
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