La pericolosa illogicità della strategia occidentale nel conflitto ucraino
di ROBERTO IANNUZZI (blog personale)
Tutto il dibattito sull’utilizzo ucraino dei missili occidentali a lunga gittata ruota attorno alla rischiosa ricerca, da parte degli USA e dei paesi europei, di una impossibile quadratura del cerchio
Esercitazioni militari congiunte Shabla 19 in Bulgaria, 2019 (U.S. Army, Sgt. Thomas Mort, Public Domain)
David Ignatius, storica firma del Washington Post, noto per i suoi legami con l’establishment USA e con la CIA, è certamente un buon metro di paragone per investigare gli schemi di pensiero che l’élite politica americana applica al conflitto ucraino.
Ignatius si è recato spesso in Ucraina per seguire da vicino l’evoluzione della guerra, e osservarne l’impatto sulla società del paese.
Recentemente ha visitato i centri di riabilitazione dove ha potuto osservare di persona le terribili conseguenze (amputazioni, invalidità permanenti) che le armi moderne infliggono ai corpi di migliaia di giovani, spesso mandati a combattere senza alcuna esperienza né consapevolezza di ciò che li attende.
Egli scrive che, ascoltando le storie di questi ragazzi, “ci si rende conto che l’Ucraina si sta dissanguando”, che “il suo esercito è esausto”, che il paese “non ha abbastanza soldati per combattere una guerra di logoramento a tempo indeterminato”.
Di fronte a simili constatazioni, ci si attenderebbe che aprire un tavolo negoziale per porre fine a un ormai inutile spargimento di sangue, e alla crescente distruzione del paese, sarebbe la giusta conclusione da trarre.
Ma Ignatius (e con lui la schiacciante maggioranza dell’establishment USA) segue una logica differente: Kiev deve alzare il livello dello scontro, intensificare il conflitto, “per essere abbastanza forte da raggiungere un buon accordo”.
Egli ha assistito a una conferenza promossa dal gruppo YES (Yalta European Strategy) dell’oligarca ucraino Victor Pinchuk, presenziata dallo stesso presidente Volodymyr Zelensky, e svoltasi all’insegna dello slogan “La necessità di vincere”.
Celebrando i martiri ucraini del conflitto, l’incontro lanciava il messaggio secondo cui, senza una maggiore potenza di fuoco, Kiev sarebbe stata obbligata ad accettare le condizioni del presidente russo Putin per porre fine alla guerra.
I partecipanti alla conferenza, e lo stesso Ignatius, apparentemente non avevano alcuna intenzione di ammettere che questa logica è stata costantemente applicata durante tutti i due anni e mezzo del conflitto: Kiev ha ottenuto armi via via più potenti dai suoi alleati occidentali, i quali hanno progressivamente alzato il livello dello scontro con Mosca.
Ma l’Ucraina non ha ottenuto altro (eccettuata la breve parentesi dell’autunno 2022) che una lenta ma costante perdita di territorio, e una continua emorragia di uomini e mezzi.
L’Occidente ha spinto l’Ucraina verso il baratro
La posizione negoziale di Kiev si è costantemente e inesorabilmente deteriorata fin dal sabotaggio degli accordi di Minsk del 2015. Essi avrebbero garantito l’integrità territoriale del paese in cambio del riconoscimento di un certo grado di autonomia alla regione orientale del Donbass.
Come ricorda la BBC, nell’agosto del 2015 una netta maggioranza di 265 parlamentari ucraini su 450 aveva appoggiato la prima lettura del disegno di legge volto a riconoscere l’autonomia del Donbass. Ma, dopo le violente proteste di piazza dell’estrema destra nazionalista, che provocarono un morto e oltre 100 feriti, l’allora presidente Poroshenko cominciò ad abbandonare gli sforzi di implementare gli accordi di Minsk.
D’altra parte, tali accordi furono boicottati perfino da Francia e Germania, i due paesi che li avevano precedentemente negoziati. L’allora cancelliera Angela Merkel avrebbe rivelato che essi servivano solo a permettere a Kiev di guadagnare tempo per rafforzarsi in un conflitto che, a suo giudizio, era semplicemente sospeso.
L’allora presidente francese François Hollande avrebbe confermato le parole della cancelliera tedesca (“Sì, Angela Merkel ha ragione su questo punto”), aggiungendo che lo scontro si sarebbe risolto militarmente: “Ci sarà una via d’uscita dal conflitto solo quando la Russia fallirà sul campo”.
Gli accordi di Minsk furono boicottati sebbene l’attuale presidente ucraino Zelensky fosse stato eletto nel 2019, con il 73% dei voti, sulla base di un programma di pacificazione che prevedeva proprio l’implementazione di tali accordi, prima di capitolare anch’egli di fronte alle intimidazioni della destra nazionalista.
Allo stesso modo i negoziati di Istanbul, avviati subito dopo l’inizio dell’invasione russa del febbraio 2022, furono sabotati dall’Occidente, come ha lasciato intendere recentemente la stessa Victoria Nuland, ex sottosegretario di Stato USA per gli affari politici.
La Nuland ha confermato che alle potenze occidentali non piacevano le condizioni che avrebbero posto un limite all’arsenale militare ucraino. La bozza di accordo prevedeva lo status neutrale dell’Ucraina e la risoluzione delle questioni del Donbass e della Crimea attraverso trattative separate. Le pressioni esercitate da Londra e Washington sul governo di Kiev avrebbero portato al fallimento di una negoziazione che stava per essere coronata dal successo.
Quella della Nuland è solo l’ultima di una serie di testimonianze di alto livello, come le dichiarazioni dell’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett e del politico ucraino Davyd Arakhamia, che hanno attestato che i negoziati fallirono a causa dell’intervento occidentale.
Come scrissi in un precedente articolo,
Fonti americane confermano che i vertici statunitensi e britannici volevano che “la guerra andasse avanti” per “dissanguare Putin” e possibilmente “porre fine al suo regime”.
Non solo, anche
fonti governative turche hanno sostenuto che alcuni membri della NATO volevano prolungare il conflitto per indebolire Mosca. “Dopo i colloqui di Istanbul, non pensavamo che la guerra si sarebbe prolungata così tanto”, dichiarò il ministro degli esteri Cavusoglu, “ma vi sono alcuni fra i membri della NATO che vogliono che la guerra continui e la Russia si indebolisca. A loro non importa molto della situazione in Ucraina”.
In un’intervista all’Economist del marzo 2022, lo stesso Zelensky affermò che “c’è chi in Occidente non si preoccupa di una guerra lunga perché essa significherebbe esaurire la Russia, anche se ciò dovesse implicare la fine dell’Ucraina, e avvenisse a costo delle vite degli ucraini”.
Missili, missili, missili
Purtroppo, Zelensky non ha mai tratto le dovute conclusioni da simili dichiarazioni. Assecondare le politiche massimaliste dell’Occidente non ha giovato a Kiev. Al contrario, non ha fatto altro che attirare sull’Ucraina morte e distruzione.
I mezzi d’informazione ucraini hanno recentemente riportato la notizia secondo cui il paese ha raggiunto il poco invidiabile primato del più alto tasso di mortalità al mondo, accompagnato dal più basso tasso di natalità.
Secondo questi dati, il tasso di mortalità ucraino nel 2024 sarà pari a tre volte quello di natalità.
Malgrado ciò, il leitmotiv della conferenza organizzata da Pinchuk e presenziata da Ignatius insisteva sulla necessità che il presidente americano Biden rimuovesse le attuali limitazioni sull’impiego da parte di Kiev dei missili americani a lunga gittata ATACMS, permettendo così agli ucraini di colpire in profondità il territorio russo.
“Questo mi sembra sbagliato”, ha commentato Ignatius, perché “una delle principali responsabilità di ogni presidente americano è quella di evitare una guerra con una superpotenza nucleare”.
Salvo poi affrettarsi ad aggiungere che “sono uscito dalla conferenza pensando che gli Stati Uniti dovrebbero correre più rischi per aiutare l’Ucraina. È importante come finirà questa guerra. Se Putin prevarrà, danneggerà gli interessi dell’America e dell’Europa per decenni”.
L’incontro del 14 settembre fra il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente Biden alla Casa Bianca si è concluso senza che venisse presa alcuna decisione sulla questione dei missili (oltre agli ATACMS americani, sono in ballo gli Storm Shadow britannici e gli Scalp francesi, mentre Berlino e Roma si sono chiamate fuori).
Ma la questione non è stata archiviata, e probabilmente riemergerà in occasione del viaggio di Zelensky negli USA la prossima settimana.
Nel frattempo, il parlamento europeo ha pensato bene di esercitare ulteriori pressioni sui paesi membri, approvando una risoluzione che li esorta a eliminare ogni restrizione all’uso ucraino delle armi europee “contro obiettivi militari legittimi in territorio russo.”
Mosca ha già messo in guardia sul fatto che considererà l’impiego di missili occidentali a lunga gittata per colpire il proprio territorio come una diretta discesa in campo dell’Occidente al fianco di Kiev, per il semplice fatto che questa tipologia di armi può essere messa in funzione solo da tecnici militari occidentali attraverso l’uso di specifici codici e ricorrendo a dati satellitari NATO.
Per altro verso, sia il Pentagono sia diversi analisti americani hanno sottolineato che i vantaggi militari derivanti da eventuali attacchi in profondità sul territorio russo non controbilanciano gli svantaggi legati ai rischi di escalation.
Secondo valutazioni dell’intelligence USA, i russi avrebbero già spostato al di fuori della portata dei missili occidentali gran parte del materiale militare che potrebbe costituire un potenziale bersaglio.
Inoltre, tali missili cominciano a scarseggiare negli arsenali statunitensi ed europei. I responsabili USA hanno osservato che diverse centinaia di ATACMS sono state ormai consegnate a Kiev, la quale ne ha già utilizzato la maggior parte.
Agli USA resta solo una quantità limitata di questi missili da poter dare all’Ucraina senza intaccare le riserve strategiche che garantiscono la prontezza militare americana in caso di conflitto.
In altre parole, anche un ulteriore coinvolgimento degli alleati di Kiev nella guerra non garantirebbe una vittoria dell’Ucraina.
Un’impossibile “quadratura del cerchio”
Tutto il dibattito sull’utilizzo dei missili occidentali a lunga gittata ruota dunque attorno alla rischiosa ricerca, da parte degli USA e dei paesi europei, di una sorta di quadratura del cerchio: fornire all’Ucraina il sostegno militare sufficiente a non perdere la guerra, senza tuttavia farsi coinvolgere direttamente nel conflitto.
Quella che è potenzialmente una ricetta per una guerra a oltranza è però destinata inevitabilmente a sfociare prima o poi in uno dei due esiti sopra citati: la sconfitta militare dell’Ucraina, oppure il diretto coinvolgimento occidentale nel momento in cui Kiev sarà sul punto di soccombere.
L’unica via d’uscita da questo vicolo cieco è rappresentata da una reale apertura negoziale nei confronti di Mosca, hic et nunc. Per aprire una trattativa, non è affatto propedeutico l’ipocrita tentativo di migliorare la posizione militare di Kiev per rafforzarne il potere contrattuale in sede negoziale.
Come la storia del conflitto dagli accordi di Minsk in poi ha abbondantemente dimostrato, infatti, più esso si prolunga e più la posizione negoziale di Kiev è inesorabilmente destinata a deteriorarsi, a causa della graduale perdita di territorio, della continua emorragia di uomini e mezzi, ed in generale della progressiva distruzione del paese.
FONTE: https://robertoiannuzzi.substack.com/p/la-pericolosa-illogicita-della-strategia
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