La II Repubblica è morta. Soffocata dalle macerie del castello di false promesse su cui era stata edificata. Il regime nuovo sorto ad inizio anni Novanta, sugli scandali di tangentopoli e sul crollo del muro di Berlino, sulla caduta o trasformazione dei partiti storici e sull’onda dell’entusiasmo dell’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht, prometteva agli italiani che la “globalizzazione reale” avrebbe rappresentato un fattore di progresso per l’intera società.

Doveva trattatasi di un progetto per una classe media e per i settori creativi della finanza e della cultura, destinati a divenire perno della vita nazionale, in quanto strutturalmente capaci di trarre profitto dalle opportunità di un mercato mondiale sempre più aperto. In parallelo, l’apparato produttivo, finalmente svecchiato dalle incrostazioni protezionistiche e statalistiche, avrebbe riacquistato il perduto smalto. Risultati: una marea montante di precariato e di (ex) classi medie impoverite, o che comunque vedono a rischio il proprio status; una montagna di privatizzazioni che hanno spinto l’apparato produttivo verso una deriva terzomondista e la periferia dell’Europa, in maniera del tutto subordinata ai desideri delle classi dominanti tedesche.

Il regime oligarchico che ha prodotto tutto questo ha preso da ultimo le sembianze del renzismo, ed è stato il renzismo soprattutto ad essere travolto dalle macerie di un sistema che si reggeva in realtà su di una oligarchia questa sì bipartisan, forte della propria debolezza e della benevolenza, finché dura, di Mamma Merkel e di nonna Europa.

Il colpo di grazia a questo edificio trentennale, ormai fatiscente e privo di forze per rigenerarsi, è stato inferto dal Movimento 5 Stelle. Il grillismo è riuscito, oltretutto in maniera innovativa e adeguata ai tempi, a far irrompere sulla scena della politica italiana fasce di popolazione soprattutto giovanili con le quali l’oligarchia non aveva fatto i conti. Il risveglio c’è stato, grazie al M5S, e ha provocato lo sconquasso dell’intero sistema politico. Rimangono forti dubbi sulla capacità del grillismo di arrivare a formare una coalizione che gli permetta di governare in maniera efficace; sui modi opachi e sbrigativi di selezione della propria classe dirigente; su un impianto programmatico che rimane inoffensivo nei confronti delle oligarchie economiche, vere e proprie detentrici del potere.

Al crollo del sistema, paradossalmente, sopravvive una sua gamba, quella di centro-destra. Pur a carte rimescolate, il blocco berlusconiano-leghista-postfascista che conserva malgrado tutto la maggioranza relativa è sempre lo stesso dal ’94 ad oggi. E, messo alla prova, non ha mai offerto a dire il vero grandi prestazioni. Tuttavia si è saputo rinnovare, nella capacità della Lega di reinventarsi come forza d’ordine, di ricostruzione di un senso di protezione da dare ai cittadini sfiancati dalla crisi; senza dimenticare che il berlusconismo, quando ha governato, ha dato risposte concrete agli interessi che lo avevano tenuto a battesimo, sia pure a forza di condoni e di rimozione della progressività fiscale. Il contrario del centro-sinistra, che per vent’anni ha chiesto il voto ai ceti popolari e su questi voti ha costruito un disordine elitista.

Nel crollo della II Repubblica rimane dunque aperto il campo populista. È questo campo che le forze progressiste, pena la loro irrilevanza, dovranno di qui in avanti presidiare. Il campo della riarticolazione delle domande sociali, dei bisogni, delle identità. Il campo dell’opposizione all’anarchia del più forte imposta dalle oligarchie; dell’opposizione a chi vuole riscattare i penultimi sulle spalle degli ultimi; dell’opposizione a chi avendo colpe grandissime ricicla se stesso con la felpa verde. Ma anche il campo della costruzione di un nuovo ordine, un ordine a misura della gente comune. Un ordine che rivendichi la patria, lavoro mai più precario, servizi di base gratuiti, scuola e sanità pubblica, investimento nei settori strategici, una visione geopolitica strategica che faccia gli interessi dell’Italia.

Per far questo, il ceto politico della sinistra, della sinistra della sinistra, della sinistra della sinistra della sinistra, le sue ritualità, le sue parole d’ordine, i suoi simboli, non servono. Unire le debolezze non fa una forza; sommare le sconfitte non contribuisce a realizzare una vittoria.La costruzione dell’ordine nuovo richiede lo sgomberare il campo dalle macerie; sì, anche in senso meramente generazionale.

Facce, idee, pratiche, simboli nuovi, per la costruzione dell’ordine nuovo.

Se po fà.