Il Regno degli equivoci
di Alessandro Ape
Questa è la storia di un giovane Regno, un Regno in cui gli uomini vivevano liberi, dopo un lungo percorso di emancipazione, liberi da ogni condizionamento, liberi dallo Stato, dalla famiglia, dal genere, dalle ideologie, dalla Storia: il Regno degli equivoci.
Se dovessimo ricostruire genealogicamente la nascita di questo Regno arriveremmo sicuramente all’equivoco primario, nato col crollo dell’URSS e l’inaugurazione di un mondo incantato che ha nella globalizzazione il suo corollario. Il Muro di Berlino che crolla, l’evento liberatorio per eccellenza, la liberazione dall’ultima ideologia che attanagliava le menti ed i corpi della gente, la tremenda ideologia socialista. Un evento che apre il sipario e ci dona uno spazio libero in cui gli individui possono finalmente vivere in modo “naturale”. E’ così che se la raccontano, così ci dicono. E’ la magia del “There is not alternative” di thatcheriana memoria. Se non ci possono essere alternative, se la Storia finisce qui, se questo è un sistema naturale che si regola da sé, non c’è più una causa, non c’è alcuna spinta ideologica che preme su di noi, siamo arrivati all’ultima istanza libera della società: l’individuo svincolato da tutto, libero di scegliere e di consumare, libero dentro un libero mercato che si autoregola da sé.
Questa storiella è penetrata nella testa e nei corpi della gente, tanto da trasformare definitivamente il nostro modo di stare al mondo e la nostra visione delle cose. Una trasformazione sempre più profonda da cittadino in consumatore, cioè individuo nevrotico in balia di bisogni “naturali”, creati ad hoc, ovviamente, dal sistema di riferimento, ideologico, ma invisibile agli occhi grazie alla potenza di quell’evento e della storiella che diventa un mantra. La fiaba totalitaria della fine della Storia e delle alternative, della fine delle ideologie, l’avvento del mondo liberato, “post-ideologico”, che gli aedi liberali cantano da tutti i media, prodotta ad hoc dall’unica ideologia dominante, cioè l’ideologia neoliberale, imboscata dietro al vetro a specchio di questa fiaba naturalistica. Se non c’è la causa, tutto diventa effetto di superficie. Un’arena degli specchi che produce un vero e proprio Regno degli Equivoci, che acquieta gli animi e trasforma gli individui in Amelie narcisiste pervase da un tripudio di “libertà”.
Nasce quindi il famigerato mondo “post-ideologico” che si fa man mano senso comune, generando delle conseguenze disastrose, equivoci terrificanti che, in questo breve articolo, provo a far emergere, portandole semplicemente alla luce di un flash, come delle diapositive che testimoniano di un mondo che comincia a svanire.
Una delle tragiche conseguenze è sicuramente la schizofrenia politica, cioè la totale assenza di esame della realtà e l’accettazione del mondo così com’è, “libero”, quindi slegato dal passato e senza possibilità di uscita, e quindi di futuro. Un qui e ora che genera l’illusione di poter agire in questo spazio “liberato” per produrre qualcosa di buono. Non c’è neanche bisogno della politica, che viene vista soltanto in chiave amministrativa, è la cultura che si impone, svincolata dalla visione di insieme. Nascono le cosiddette “competenze”, specializzarsi e sprofondare nel vicolo cieco di un ambito culturale a sé stante.
Tutti i fenomeni, quindi, diventano fenomeni culturali, gli effetti diventano cause: la colpa è della cultura mafiosa, della cultura meridionale, la cultura italiana o dell’assenza di cultura di un popolo grezzo o di un quartiere povero. Ciò conduce inevitabilmente al classismo, al razzismo o all’auto-razzismo. Ed anche al “aboliamo il suffragio universale”. Se poi analizziamo l’etimo della parola “cultura”, emergerà la radice malata di questo grande equivoco. Cultura viene da Colo, colonizzare. La Cultura, “libera” da ogni ideologia, da ogni visione d’insieme, non è altro che indottrinamento, colonizzazione.
Da questa equivoco nasce il mostro dell’ “antipolitica”. Se viene meno la politica allora è meglio sbarazzarsene del tutto o restringere il suo campo ancora di più, ridurre i parlamentari, la rappresentanza. Bastano i tecnici, i governi tecnici, specializzati nell’ uso degli strumenti tecnici. Non serve nient’altro. Venendo meno il ruolo della politica e dello Stato, smembrato con riforme autonomistiche e trasformato in una fetta di mercato in competizione con altre fette di mercato, crollano i corpi intermedi, i partiti ed i sindacati. Ma come vengono sostituiti?
In sintesi:
– Dal libero associazionismo, dentro cui avviene la trasformazione del militante di partito in attivista, riflesso della trasformazione del cittadino in consumatore. Scelgo l’associazione che più desidero, l’ambito specialistico che risponde ai miei bisogni. Si scambiano i propri desideri per grandi ideali e gli unici ideali rimangono i propri desideri.
– Dal movimentismo come unica forma di politica, quindi l’orizzontalità fluida senza apparente verticalità, che produce una massa di persone inconsapevolmente indirizzata o facilmente indirizzabile.
– Il partito fluido come centro-marketing senza base, organizzato dall’alto, che finge democrazia interna, legato ad un nome di un personaggio simbolo o di un leader simbolo, di un nome conosciuto attraverso il mainstream.
– Il partito-movimento-fluido che quindi è “libero” da ogni radice ideologica- politica, da ogni “storia” politica, che raccatta “followers” ed “attivisti” facendo pesca a strascico, che si pone come antisistema ed ha nell’essere antisistema la sua unica visione ed essenza, cioè vive di antitesi e, quindi, è assolutamente complementare al sistema stesso. Funge da binario morto per indirizzare nel sistema le naturali istanze di protesta.
– La Piazza come unica risposta, come luogo comune vivente. Venendo meno i Partiti tradizionali, in un Parlamento svuotato di significato, che risponde a direttive che piovono da organismi sovranazionali, cambia quindi lo spazio di rappresentanza. Il Parlamento viene sostituito dalla Piazza, che assume la forma ovale di uno specchio per narcisisti mascherati, per attivisti e per depressi in cerca di adrenalina a basso costo. E’ fluida, è un grande effetto di superficie che acceca e imbosca le cause. È un’allucinazione collettiva. La piazza diventa il cortile in cui i “movimenti” giocano alla Rivoluzione e in cui i leaders-attivisti acquistano spazio di visibilità meritandosi un futuro orticello da coltivare e proteggere.
Un altro equivoco importante, generato dal post-ideologismo e dalla schizofrenia politica, è rappresentato dalla frase-mantra “bisogna superare la destra e la sinistra”, ovvero il tentativo di superare la polarizzazione destra-sinistra senza riconoscere in essa le due facce della stessa medaglia, lo stesso indirizzo ideologico neoliberale, ma considerandola come contenitore di vecchie ideologie ormai morte (ancora una volta “la fine delle ideologie” “lo spazio liberato”, il “There is Not Alternative”) dandogli un aspetto valoriale assoluto e non spaziale relativo. Destra e Sinistra, in realtà, sono ambiti spaziali all’interno del Parlamento, che contengono di volta in volta significati diversi rispetto al quadro ideologico di riferimento di una determinata epoca. La Destra e la Sinistra ottocentesca erano sfumature diverse del liberalismo, alla fine dell’Ottocento e nel primo decennio del Novecento, dopo la nascita dei partiti di massa, del partito popolare e del partito socialista, rispondevano ad istanze politiche diverse rispetto alle precedenti, come nel dopoguerra rispondevano ad un ordinamento a sua volta diverso, costituzionale-socialdemocratico. Oggi il quadro ideologico-politico di riferimento è ancora una volta cambiato, essendo neoliberale-europeista. Dire che bisogna superare la destra e la sinistra in quanto categorie rese vecchie dalla fine delle ideologie, significa cadere, ancora una volta, nell’equivoco post-ideologico, in cui l’ideologia di riferimento, imboscata dietro l’idea di un mondo “libero”, diventa un grande rimosso.
E’ in questo Regno degli Equivoci, in questa arena di schizofrenici che proliferano gli adepti della Cancel Culture. Se siamo alla fine della Storia, significa che finalmente ci siamo liberati della Storia, vista come contenitore di violenza ideologica. E’ giusto, quindi, fare i conti con essa: cancellare, distruggere, smantellare, partendo magari dal linguaggio e finendo con i monumenti eretti in onore di qualche personaggio che ha fatto la Storia, che ha quindi generato violenza.
L’ opinione pubblica è pervasa da questo modo di ragionare, da una metastasi di equivoci che ha portato il corpo sociale e politico ad uno stadio terminale. Cellule morte di fatti irrilevanti che rendono inutile l’intervento di una forza politica organica e strutturata capace di creare un’alternativa: i diritti civili svincolati dai diritti sociali, ad esempio, che diventano l’ambito di riferimento di qualche associazione, l’ennesimo vicolo cieco trasformato in loft da un grumo di radical chic.
Tutto diventa fluido, il dibattito politico diventa talk show, gli attori politici diventano interscambiabili, le direttive politico-economiche avvengono dentro organismi sovranazionali, “al riparo dal processo elettorale”, come dichiarano gli stessi neoliberali, invisibili, appunto, a sguardi privi di visione d’insieme, persi nei vicoli ciechi di problemi specifici, imbambolati dentro l’incantesimo post-ideologico, dentro un Regno degli Equivoci che è un vero e proprio Truman Show.
Ma la fine della Storia era una favola per anestetizzare i cervelli, il gigante della Storia sta ricominciando a muoversi, generando terremoti nelle nostre società, il Regno degli Equivoci sta iniziando a perdere pezzi, crollerà come crolla ogni Regno, e noi ne usciremo sgomenti, come zombie dai loculi dei nostri individualismi, e capiremo sulla nostra pelle che quella bella fiaba chiamata dall’ideologia dominante “libertà”, era soltanto una forma di nevrosi di massa, anzi, di nassa.
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