di Gianfranco Costantini
Esistono molti fattori che hanno influenzato il nostro declino economico/culturale ma a ben vedere, uno dei principali (o forse uno di quelli che mi ha più colpito), è stato il Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n. 114, passato alla storia della Repubblica come: “Riforma del Commercio” o “la Lenzuolata” di Pierluigi Bersani, imbarazzante ex Segretario del principale partito della sinistra neoliberale italiana. Le liberalizzazioni degli anni novanta, a partire dall’ Atto Unico del 1987, hanno rappresentato nel loro insieme uno stravolgimento generale della società, ancora oggi poco percepito e compreso. Quasi tutte le liberalizzazioni hanno provocato danni socioeconomici ingenti, spesso evidenti quando combinati ad ulteriori atti normativi, in grado di potenziarne gli effetti. Ad esempio, la singola liberalizzazione del commercio, avrebbe sicuramente danneggiato il piccolo capitale, creando campioni nazionali ma non avrebbe potuto generare quei mostri multinazionali, capaci di eludere il fisco grazie alla liberalizzazione dei capitali. Questa mia critica al singolo provvedimento, potrebbe sembrare riduttiva, quasi inutile ma mentalmente ci aiuta a svelare le mille implicazioni quotidiane che si sono riversate sulla società italiana.
Mi soffermerò invece sugli aspetti salienti e maggiormente incisivi dal punto di vista economico e sociale. Io sono un commerciante, figlio di commercianti ed ho iniziato la carriera professionale nel 1998, per questo motivo, negli anni sono stato capace di analizzare il testo legislativo, con la cognizione di chi conosce perfettamente quelle scelte perché le ha subite sulla propria pelle.
Già da “Oggetto e Finalità Della Legge“, si capisce che questa è un adeguamento ai principi di Maastricht perché la terminologia è pressoché la stessa, anche la tecnica di intrecciare concetti fondamentali con altri cosmetici per confondere il lettore è la medesima, lo si capisce bene comparando i paragrafi: “la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà d’impresa e la libera circolazione delle merci”, con “la valorizzazione e la salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari”. Un lettore distratto e in buona fede, potrebbe pensare che la legge voglia realmente armonizzare queste esigenze contrapposte ma di fatto non è così e il tempo lo ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio.
È chiaro che la riforma Bersani non ha valorizzato o salvaguardato il servizio commerciale ma ha espropriato il piccolo capitale (indirettamente anche agricolo e artigianale), in favore del grande.
L’espropriazione è avvenuta principalmente per l’eliminazione delle tabelle commerciali; non tutti sanno che prima della riforma, ogni comune aveva dei parametri da rispettare (popolazione residente, presenze turistiche…), per poter rilasciare autorizzazioni alle vendite nei vari settori merceologici. Questa era una vera e propria pianificazione territoriale perché consentiva la diffusione capillare di tutti i prodotti, in tutte le aree geografiche, così non esistevano concentrazioni esagerate, capaci di calamitare acquirenti da territori circostanti. Potrebbe sembrare banale ma bisogna ricordare che quando si forma un’area commerciale troppo forte, ben oltre il potenziale d’acquisto della popolazione residente, questa cannibalizza le aree limitrofe desertificandole. Chiunque si trovi nelle vicinanze di un grande Centro Commerciale, potrà osservare che nei territori circostanti si formano quasi sempre paesi o quartieri dormitori.
Quindi, la scelta del legislatore della Prima Repubblica era stata molto saggia perché con le tabelle commerciali si consentiva la buona gestione territoriale, la generazione di un reddito sufficiente all’impresa per pagare stipendi regolari e dignitosi, un trattamento di fine rapporto, ottenibile dalla vendita delle licenze quando si andava in pensione e molto altro. Le aperture delle attività non erano libere perché doveva essere rispettato il riposo domenicale e la mezza giornata di chiusura infrasettimanale e se si eludevano queste prescrizioni, si veniva sanzionati dalla polizia municipale.
Queste norme, viste con gli occhi di chi può acquistare in qualsiasi ora del giorno e della notte, potrebbero sembrare assurde ma a ben vedere erano forme di tutele dei lavoratori molto efficaci perché si riuscivano a garantire turni di riposo, sia ai piccoli imprenditori che ai dipendenti, impiegati nella vendita al pubblico. Con questi stratagemmi, non si potevano sfruttare i lavoratori del commercio, con turni eccessivamente prolungati. Un ulteriore aspetto che andava a favore di questa scelta politica, era che la domenica le famiglie erano libere dagli impegni e potevano dedicarsi ai culti religiosi, alle feste, alle passioni personali e alle brevi vacanze nelle località di villeggiatura, prossime al territorio di residenza. Questo aspetto di igiene sociale, consentiva alle attività di recezioni alberghiere e ristorazioni, di non entrare in concorrenza con le attività commerciali e anzi, i diversi settori si passavano il testimone, così da avere pari opportunità di guadagno; Ovviamente, piccoli centri vivi, con attività commerciali e ricettive, erano anche un ottimo volano per un turismo interno di un certo prestigio. Qualcuno potrebbe obbiettare che questo non era un mercato libero e in parte era vero, si sarebbero potute trovare soluzioni per renderlo più dinamico ma l’obbiettivo non era spingere al massimo il dinamismo ma creare un servizio capace di redistribuire la ricchezza, il più possibile in modo equo, in esercizi di prossimità. Un altro punto di forza del sistema, era che si formavano filiere commerciali che si innestavano a quelle produttive, quasi sempre in un rapporto di forza comparabile ed equilibrato. Ad esempio, prima della Riforma, il contadino poteva vendere direttamente al consumatore nei mercati rionali o indirettamente, tramite il grossista che a sua volta vendeva al commerciante e quando non si raggiungeva un accordo soddisfacente per tutti, si cambiavano intermediari per cercare di spuntare margini migliori. Questo equilibrio di forze, consentiva a tutti l’ottenimento di un reddito dignitoso e se anche non si raggiungeva il miglior prezzo sul mercato, il benessere diffuso era capace di generare potere di acquisto che si trasformava a sua volta in consumi, creando così un circolo economico virtuoso.
Successivamente alla Riforma, le piattaforme d’acquisto della Grande Distribuzione Organizzata, hanno iniziato ad operare come mega gruppi di acquisti che contrattano le produzioni direttamente sui campi e in un orizzonte potenzialmente globale, determinando uno squilibrio che di fatto gli consente di stabilire i prezzi dei prodotti alimentari. Il Decreto Bersani ha portato alla rottura di questo equilibrio di forze, causando diverse conseguenze economiche e sociali, le più visibili e impattanti a mio avviso sono state:
-Il ritorno della schiavitù nell’agricoltura (caporalato), economicamente collassata sotto il brocheraggio predatorio della Grande Distribuzione Organizzata.
-L’ esplosione del franchising che ha consentito al capitale di espropriare i marchi commerciali, creando al contempo una nuova figura professionale, il Franchisee (un moderno mezzadro commerciale).
-La disarticolazione delle famiglie, causata dagli orari di apertura (consentite tredici ore giornaliere anche domenicali).
-Il declino turistico e commerciale delle aree interne di molte regioni che in concorrenza con le mega strutture, hanno visto collassare le presenze domenicali.
Sotto le “lenzuolate di Bersani”, in pochi anni è scomparso un blocco sociale composto da piccoli imprenditori commerciali, agricoli e artigianali. È scomparsa una economia sana che tutelava realmente le persone e territori più svantaggiati e fragili. È scomparso uno stile di vita comunitario e tendenzialmente cooperativo. In cambio abbiamo avuto il consumismo sfrenato, le case piene di prodotti spazzatura, le associazioni dei consumatori e di categorie, l’esplosione degli agglomerati urbani, la marginalizzazione sempre più marcata delle aree periferiche, rurali e montane…
Come avrete capito, sto evitando di fornire i freddi dati numerici di questo disastro perché esistono le banche dati accessibili gratuitamente, messe a disposizione dalle principali associazioni di categoria o dall’ISTAT, il mio scopo è quello di stimolare il lettore alla riflessione e al contempo, illuminare gli aspetti socioeconomici che hanno trasformato le nostre vite in appena vent’anni. “Il cittadino”, trasformato in consumatore, è diventato esso stesso merce ed ha smesso di difendere i propri diritti sociali perché si è pienamente riconosciuto in quelli di consumo: “Esisti solo se consumi” o “Sei quello che compri”. Penso che tutti nella vita siano stati coinvolti da protagonisti o da spettatori, in ingorghi e file chilometriche, prodotte da masse bulimiche di consumatori, in cerca di “affari” nei fine settimana. Queste strutture, nel tempo sono cresciute di dimensioni, formando veri e propri paesi di polistirolo che hanno assorbito completamente l’orizzonte del desiderabile, soppiantando di fatto, le mille meraviglie del territorio e della cultura italiana. I Centri Commerciali e gli Outlet Village, hanno sostituito i Santuari Cattolici perché nel culto del consumo, la messa domenicale è stata sostituita dagli acquisti, l’eucarestia dallo scontrino.
La riforma del commercio da sola, non ha trasformato i cittadini in consumatori perché la tendenza di copiare lo stile di vita degli anglofoni, era già presente nella società, propagandata soprattutto dai media commerciali di Silvio Berlusconi ma ha fortemente accelerato questa dinamica ed ha consegnato nelle mani del Dio Mercato, trasformandola in consumatori, una intera generazione di cittadini italiani. Ulteriori passaggi legislativi e tecnologici hanno modificato la situazione e altri ne verranno, difficilmente si potrà tornare ad una organizzazione del commercio simile a quella precedente ma se si comprende lo spirito che ha guidato il legislatore, fedele al mandato costituzionale, in attesa di una classe dirigente migliore, già oggi, acquistando in maniera consapevole e responsabile, possiamo tornare ad essere gli artefici del nostro destino.
Iscriviti al nostro canale Telegram
Commenti recenti