Ali Asgari: cinema underground e resistenza in Iran
di GLI ASINI (Ali Asgari, Maurizio Braucci)
Ali Asgari è un amico e regista iraniano, quarantaduenne, residente a Teheran. Ha studiato cinema a Roma e poi, tornato in Iran, ha diretto da allora tre lungometraggi: Disappearance (2017- Festival di Venezia, sezione Orizzonti) Visita a sorpresa (2022, Festival di Berlino) Kafka a Teheran (insieme a Alireza Kathami, 2023- Festival di Cannes, sezione Un certain regard). Film che raccontano le difficoltà di uomini e donne nel sistema burocratico e repressivo, morale e non solo politico, voluto dal governo iraniano. L’intervista è stata realizzata durante il festival di cinema di Rotterdam dove Ali era presente per presentare il suo ultimo film. Malgrado le restrizioni a cui è sottoposto, Ali, come altri artisti iraniani, può beneficiare di permessi per viaggiare. Attraverso queste concessioni, il regime islamico cerca di dare un’immagine democratica di sé stesso e allo stesso tempo, questa apparente libertà dei vigilati, incarna perfettamente, con la sua paradossalità, la natura assurda del regime iraniano che si basa su potere politico e religioso.
Maurizio: Iniziamo con una domanda diretta: come vanno le cose per un regista che vive a Teheran?
Ali: Posso dire che il cinema indipendente in Iran non esiste più, non è come dieci anni fa perché il governo adesso controlla proprio tutto, non ti lascia fare niente. A Teheran adesso esiste il cinema underground, se vuoi fare qualcosa fuori dal controllo governativo la devi fare così. Il cinema underground ha una sua ragione, anche quando genera delle cose un po’ amatoriali. Ma il nostro caso è diverso, tanti bravi registi in Iran fanno cinema underground perché sono costretti.
Maurizio: E come si esercita questo controllo?
Ali: A diversi livelli. La prima fase è quando devi presentare la sceneggiatura al governo, ad un ufficio nel ministro della cultura, che poi ma alla fine è un ministero della censura, dove controllano proprio tutto. Il problema è che la loro censura funziona in modo assurdo, hanno un giudizio per ogni cosa, anche su quelle che tu non pensi abbiano a che fare con la politica mentre invece per loro ce l’hanno. Ad esempio se tu scrivi una storia in cui c’è un padre molto autoritario per loro ha un significato politico e non te lo fanno fare.
Maurizio: Ai loro occhi tutto diventa simbolico e il simbolico viene controllato.
Ali: E’ un punto di vista malato, hanno posizioni politiche su ogni cosa. Un altro esempio che conosco bene è quello di un film che volevamo fare sulla storia di un figlio che voleva uccidere il proprio padre, perché aveva picchiato la madre poi rimasta paralitica. Abbiamo presentato la sceneggiatura al ministero e loro hanno detto: tu non puoi uccidere il padre nel film perché è il simbolo di una posizione politica. Per questo ti dico che ci resta solo il cinema underground.
Maurizio: E se fai un film underground, puoi parlare di quello che vuoi?
Ali: Se riesci a girarlo, ma dopo ci sono delle conseguenza, come nel mio caso dopo il film presentato a Cannes. Fare un film per noi oggi è un atto di resistenza, contro un sistema che vuole cancellare tutto: la cultura, il cinema, tutta la letteratura. Per questo diventa un atto di resistenza, per me e per altri registi che stanno facendo film in questo modo. E’ difficile ma dobbiamo continuare. Dobbiamo resistere contro questo sistema. Sì, io naturalmente potrei fare film fuori dall’Iran, ma adesso, in questa situazione, preferisco farli qui. Perchè voglio partecipare a questo movimento di resistenza.
Maurizio: Non voglio che i tuoi film vengano visti in Iran? Per loro l’estero è meno problematico?
Ali: Loro non voglio che i film vengano fatti. Anche se vengono distribuiti solo all’estero è un problema, anzi è un problema anche maggiore. Per questo il governo ci ritira i passaporti, per impedirci di lavorare all’estero. Oppure ad altri li mettono in prigione.
Maurizio: A te cosa è successo?
Ali: Quando a luglio dell’anno scorso sono tornato in Iran dopo aver presentato a Cannes, nella sezione Un certain regard, il mio film “Terrestrial verses” (in italiano “Kafka a Teheran”), appena sbarcato dall’aereo mi hanno sequestrato il passaporto, il cellulare e il computer. Non solo a me, anche all’attrice principale, al produttore e ad altri della troupe. Tutti noi poi siamo stati interrogati, ci contestavano che avevamo fatto questo film senza il loro permesso. Ci hanno chiesto perché lo avevamo fatto. Hanno avviato una procedura, alla fine hanno paura che attraverso di noi ci siano degli stranieri che vogliono distruggere il nostro Paese. Pensano sempre che ci sono degli stranieri che offrono soldi per distruggere il Paese. Una visione ormai superata.
Maurizio: “Terrestral Verses” quindi lo avete girato in modo underground?
Ali: Si, l’abbiamo girato in sei giorni. Quindi con pochi soldi e senza permessi. Senza permessi, questo è il problema, che adesso si può riassumere così: senza velo. Perché nei film iraniani ufficiali, i personaggi delle donne portano il velo anche quando stanno in casa. Invece nei film indipendenti non lo portano e questa è un’ulteriore ragione per censurare i nostri film, anche se è completamente irreale mostrare delle donne in casa con il velo. E diciamo che da un certo punto di vista, siccome questa cosa è diventata come una regola, ci sono film che infrangono questa regola già perché vogliono essere realistici.
Maurizio: Quindi ci sono anche delle ragioni estetiche.
Ali: Si, estetiche.
Maurizio: E gli interrogatori in questi otto mesi si sono ripetuti? Con atteggiamenti aggressivi?
Ali: Finora sei, sette volte. Una volta al mese. Da parte di persone molto gentili e anche molto informate e non stupide. Conoscono i festival, hanno visto i film. Ma alla fine vogliono convincerti che devi fare film sotto il loro controllo.
Maurizio: E c’è chi fa i film sotto il loro controllo?
Ali: Sì ci sono… In Iran si producono circa 100, 150 film all’anno e sono sotto il controllo del governo. C’è un festival molto importante, Fajr International Film Festival, e tutti i film che ci partecipano devono avere un permesso. Per il 20-25%, si tratta di film che parlano della guerra tra Iran e Iraq nel 1980, dei martiri e della religione o che fanno un po’ di propaganda per il governo. Gli altri sono film che non parlano di cose che riguardano la politica e di questi molte sono commedie molto brutte, a volte molto intellettuali.
Maurizio: E la presenza delle donne nel cinema? Ci sono soltanto attrici?
Ali: No. Ci sono tante registe ora. Perché il governo ha capito che deve dare più attenzione alle donne. E le donne che adesso lavorano di più sono quelle che fanno film secondo i criteri del governo. Il governo vuole dimostrare che anche le donne possono fare film, che crede nelle donne e le finanzia facilmente. Prendono più soldi degli altri adesso, ma per fare film tradizionali. Mentre le donne che vogliono fare film autoriali trovano molta più difficoltà, per loro è ancora più rischioso che per un uomo.
Maurizio: E questa scelta del governo di aprire di più il cinema alle donne è arrivata dopo il grande movimento di protesta animato dalle donne?
Ali: Sì. E la gente, che aveva grande simpatia per il movimento, adesso è più sensibile alle tematiche di genere, ma allo stesso tempo non può guardare i film iraniani che ne parlano perché sono distribuiti solo all’estero. Il pubblico deve accontentarsi di brutte commedie. Durante le proteste non si andava più al cinema, le sale sono rimaste vuote per circa sei mesi nel rifiuto di opere di propaganda. Poi con la repressione tutto è cambiato, tanti uccisi, tanti arrestati, e la situazione si è normalizzata attraverso la paura. Adesso quel movimento è più forte tra gli iraniani all’estero che in Iran. A favorire quel movimento c’erano le condizioni economiche del Paese che erano peggiorate e fare acquisti o viaggiare era diventato complicato. Poi via via la situazione è migliorata e il consenso è calato mentre la paura cresceva.
Maurizio: E invece come è cambiata la situazione rispetto alla crisi del Medio Oriente e la guerra a Gaza.
Ali: Non è cambiata molto. Da quando eravamo bambini noi abbiamo sempre vissuto gli echi di quella situazione mediorientale e il governo iraniano è sempre stato contro il governo israeliano. Oggi se tu dici che disapprovi Israele e stai dalla parte dei Palestinesi viene inteso che la pensi come il governo. Da che mi ricordo, la tv ha mostrato sempre immagini molto drammatiche della Palestina, quindi adesso ancora di più, specie per quello che arriva da internet. Ma criticare Israele non significa essere a favore del governo. C’è anche chi è a favore di Israele perché è contro il governo, mi è capitato di parlare con persone che la pensano così, perché pensano che il governo dice sempre bugie su tutto.
Maurizio: Quando sono stato in Iran io ho visto manifestazioni contro Israele che non ne accettavano l’esistenza come Stato.
Ali: Il governo iraniano non accetta Israele come Stato. C’è chi l’accetta tra le giovani generazioni, ma sono pochi.
Maurizio: E ricordo che in Iran c’è una numerosa comunità ebraica.
Ali: Per loro e i seguaci del Bahaismo (fede monoteista sorta da una corrente dell’islamismo sciita e che predica la pace tra i popoli Ndt)e per altre minoranze religiose la vita non è facile, devono celebrare in segreto le loro festività e non hanno accesso a impieghi pubblici
Maurizio: Invece riguardo al controllo mediatico del governo, come si fa ad accedere a informazioni più libere o almeno differenti?
Ali: Per connettersi e informarsi su certe questioni da Instagram o dalla BBC, devi sempre avere una VPN (un sistema attraverso un’applicazione che permette di sfuggire alla censura e alla intercettazioni Ndt). Impedirlo non è facile ma allo stesso tempo è diventato un business fortissimo condotto da società legate al governo, e lo stesso vale per internet. Siamo 80 milioni di persone di cui almeno 60 usano internet e Vpn, puoi immaginare che giro d’affari sia questo. Tutto quello che è proibito è un affare per qualcuno, e spesso questo qualcuno è legato al governo. L’alcool ad esempio. Si sa chi sono questi gruppi di interesse ma non lo si può dire a causa della censura.
Maurizio: Che cosa cambierà in Iran? Come si potrà uscire dal regime islamico? Io ho conosciuto giovani e donne molto decisi a resistere e a cambiare.
Ali: Prima c’era più frustrazione. Ora però le donne e i giovani vedono che certe cose si possono cambiare, soprattutto le donne. La dittatura è una prigione soprattutto per loro.
Maurizio: Ricordo che quando ci sono stato nel 2011, nelle università iraniane c’erano delle quote azzurre, destinate agli uomini, perché la maggioranza degli iscritti erano donne e bisognava garantire l’accesso anche agli uomini.
Ali: Esatto. Per anni loro non hanno potuto studiare, non potevano partecipare alla politica o diventare giudici o altro, ora possono farlo grazie al fatto che per anni hanno resistito e lottato. C’entra anche internet che ha dato nuove possibilità e che non può essere completamente controllato. Le donne si sono informate di più e hanno compreso che c’erano dei diritti che gli venivano negati.
Maurizio: Come vedi il ruolo culturale dell’Iran in Medio Oriente?
Ali: I rapporti tra i Paesi della regione mediorientale dipendono dai governi che ci sono di volta in volta. Per alcuni Paesi arabi, l’Iran è un riferimento perché lo vedono come uno Stato forte. In molti di questi ci sono delle intrusioni politiche da parte del governo iraniano, come in Yemen. Mentre ci sono molti legami con la Cina e la Russia, lo capisci dalle società che investono qui da noi e che vengono da lì. Oppure dal fatto che da alcuni anni i film iraniani si affermano nei festival di cinema russi. Mentre con Arabia Saudita e Qatar i rapporti si sono distesi e oggi è più facile per molti iraniani andare in pellegrinaggio alla Mecca.
Maurizio: Confesso che un po’ mi stupisce questo vostro coraggio, questa continua sfida da parte tua e di tanti altri iraniani. Mostrate un’abitudine a rischiare che non si spiega solo con la disperazione di vivere una situazione così repressiva.
Ali: Non saprei dirti bene, ma c’è una poesia del poeta persiano Rumi che dice che noi siamo vivi perché ci muoviamo, il mare esiste perché crea delle onde e noi esseri umani siamo come onde che nell’insieme fanno il mare. Non puoi capire da dove inizia il mare, è tutto insieme. Lo stesso per il popolo iraniano che resiste, non sai se è un coraggio personale o quello di tutti quanti insieme. Un vecchio scrittore iraniano sufi un giorno doveva fare un discorso, vennero ad ascoltarlo un centinaio di persone, prima di iniziare, il suo assistente disse al pubblico “Per piacere, potete farvi un poco più vicino?”. Tutti allora si mossero per venire più avanti e a quel punto il vecchio scrittore disse “Va bene. Io non devo dire più niente, perché tutto quello che volevo dire l’ha appena detto lui” e indicò l’assistente. Tutti noi dobbiamo soltanto muovere un passo più avanti insieme agli altri. Un passo più avanti.
FONTE:https://gliasinirivista.org/ali-asgari-cinema-underground-e-resistenza-in-iran/
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