Trump. Fine della globalizzazione e crisi di egemonia
di CONTROPIANO
La non inaspettata vittoria di Trump, per chi ha la giusta percezione delle dinamiche sociali reali, conferma una crisi di egemonia della borghesia in particolare nei paesi imperialisti, dagli USA all’Europa, dove il sistema politico “democratico” non tiene più le profonde contraddizioni che il capitalismo attuale sta producendo. Lo sviluppo distorto, ma coerente con il presente modo di produzione, l’idea delle propria invincibilità acquisita dopo la vittoria sull’URSS, la crisi sistemica che significa offuscamento delle prospettive di crescita e di emancipazione stanno producendo una situazione inedita storicamente e che la vulgata di sinistra tende a rappresentare come populismo, fascismo, ma che va analizzata in ben altro modo.
In realtà siamo di fronte ad un passaggio storico, uguale per spessore a quello avuto nel ’91 ma di segno politico diverso, che produce la fine formale della globalizzazione ed una vera e propria crisi di egemonia della Borghesia e del Capitale, esattamente nei termini in cui ne parla Gramsci. Una crisi che parte dal dato strutturale e sociale ma che ora si riversa in quello politico istituzionale, dove emerge l’irrazionalità propria del sistema capitalistico; da Trump al M5S, passando per i Pirati in Islanda e la Brexit, è questo che si sta imponendo nei paesi che sono – va detto chiaramente e senza mezze misure – imperialisti, leninisticamente imperialisti.
L’emergere di questa condizione in modo palese se da una parte ci spinge in avanti dall’altra ci obbliga a contestualizzare quello che sta accadendo, infatti, dal punto di vista delle condizioni oggettive e soggettive della classe, l’errore classico è pensare che di fronte alla crisi manifesta si possano ricreare le condizioni per riprodurre un movimento di classe simile a quello che abbiamo storicamente conosciuto. In realtà, negli ultimi 25 anni sono cambiate molte cose, la prima è la caratteristica del lavoro dipendente, operaio e delle classi subalterne; infatti il sistema produttivo dell’occidente non è più prevalentemente operaio, né in termini di qualità del lavoro, né in termini di concentrazione della classe lavoratrice.
E’ sempre lavoro subalterno, sempre più sfruttato e piegato dallo sviluppo attuale, ma è anche lavoro in gran parte intellettuale e soprattutto vive una condizione di disgregazione, individualizzazione e assenza di strumenti di difesa collettiva.
Questa modifica strutturale si è riverberata sulla percezione di sé, sulla coscienza, sulla soggettività della classe che non si percepisce più come tale; che ha assunto acriticamente i valori che l’egemonia dominante, oggi in crisi, imposti tramite i mass media e, per ultima, la manipolazione millimetrica, ad personam, fatta dai Social.
Quello che aspetta i Comunisti e la sinistra di classe è certamente un lavoro di organizzazione, ma soprattutto di capacità analitica e teorica per interpretare nel modo giusto la classe ed i modi di intervento nella classe. Se si pensa di riproporre il partito di massa così come è stato nell’ultima fase del ‘900, assecondando la coazione a ripetere, non si potrà che rimanere fermi al palo della impotenza. Va ricostruita una capacità di lotta, organizzazione e politica adeguata ai tempi che definisca le nuove forme di organizzazione politica e sociale e la battaglia ideologica da fare in un momento di crisi dell’avversario.
Le cose da dire e da proporre sarebbero molte e naturalmente eccedono lo spazio di un editoriale, però alcune indicazioni politiche e di organizzazione possono essere date. Al primo posto è la lotta contro l’Unione Europea e gli apparati multinazionali e finanziari che ne stanno a costruire i caratteri imperialisti; la parola d’ordine “Rompere l’Unione Europea” è quella che oggi va agitata in tutti gli interventi individuando con chiarezza il nemico. Cosa che la cultura della sinistra italiana ed europea ha fatto scomparire ed ha rimosso dall’orizzonte delle classi subalterne.
C’è poi il passaggio del NO al Referendum Costituzionale del 4 Dicembre, che può diventare un’ulteriore sconfitta di chi intende gestire la società in Italia ed in Europa in modo autoritario ed antipopolare. La disaffezione delle “masse” che si è manifestata nelle elezioni USA potrà ripetersi anche nel nostro paese sul prossimo referendum portando Renzi e Napolitano alla sconfitta.
Infine, si rende sempre più necessaria una lettura storica per contestualizzare gli eventi che stanno accadendo nel mondo ed in particolare nei paesi imperialisti.
Per questo la Rete dei Comunisti sta organizzando per il 17 e 18 Dicembre un Forum sui caratteri del passaggio storico che stiamo vivendo cercando di capire gli scenari che si apriranno nei prossimi anni. Il Forum verrà titolato richiamando Gramsci, ovvero “Il vecchio muore ma il nuovo non può nascere” definizione coniata negli anni ’30, durante i fascismi ed in piena crisi del movimento comunista e operaio, ma che ha un riscontro incredibile nella situazione attuale.
Lavoro teorico e battaglia politica e sociale sono i terreni su cui rilanciare il movimento di classe individuando i caratteri della fase che si apre e che avrà sviluppi oggi non prevedibili ma che portano inequivocabilmente il segno della crisi del nostro avversario di classe.
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