L’intervista. Alain de Benoist: “I gilet gialli? Il popolo torna protagonista dopo tanti soprusi”
di BARBADILLO (Nicolas Gauthier)
Parigi, la manifestazione dei gilet gialli
Alain de Benoist, la Francia, da una decina di giorni, vive l’era dei gilet gialli, e i commenti sono già numerosi. Fuoco di paglia o onda di fondo? Nuova fronda? Nuova rivolta contadina? Qual è il suo sentimento?
“Cinque anni fa, all’incirca negli stessi giorni, il 23 novembre 2013, mi avevi chiesto del movimento dei berretti rossi. Ho quindi richiamato la vostra attenzione sul fatto che “tutte le proteste o rivolte di una certa portata a cui stiamo assistendo oggi vengono create ai margini o lontano dai partiti e dai sindacati, che non sono affatto ovviamente più capaci di incarnare o trasmettere le aspirazioni della gente”. La mia conclusione era questa: “Una parola d’ordine: berretti rossi ovunque!” Bene, eccoci qui: i gilet gialli sono i berretti rossi ovunque. Dopo anni e anni di umiliazione, impoverimento, esclusione sociale e culturale, è semplicemente il popolo di Francia che parla di nuovo. E c’è chi agisce con rabbia e determinazione (già due morti e 800 feriti, più che nel maggio 1968!) e questo dice molto.
Anche se le classi inferiori e le classi medio-basse sono la forza trainante – che conferisce al movimento una straordinaria dimensione di classe – i gilet gialli provengono da ambienti diversi, riuniscono giovani e anziani, contadini e leader di aziende, impiegati, lavoratori e dirigenti. Donne come uomini (penso a quei pensionati settantenni che non esitano, nonostante il freddo, a dormire nella loro macchina in modo che i blocchi stradali possano essere tenuti giorno e notte). Persone che non si preoccupano della destra o della sinistra, e che per la maggior parte non sono mai stati impegnati in politica, ma che combattono sulla base di ciò che è per loro un senso comune: la sensazione di essere trattati come cittadini di seconda classe dalla casta dei media, considerati taglieggiabili e sfruttabili grazie all’oligarchia predatoria dei ricchi e dei potenti; mai consultati, ma sempre ingannati, per essere i “capri espiatori” (François Bousquet) della Francia dal basso, di questa “Francia periferica” che è senza dubbio la cosa più francese in Francia oggi, ma che è abbandonata al suo destino, per essere vittima della disoccupazione, del calo delle entrate economiche, della precarietà, delle delocalizzazioni, dell’immigrazione. Questo popolo dopo anni di pazienza e sofferenza, è sbottato dicendo: “Basta!” Questo è il movimento di gilet gialli. Onore a movimento, onore a loro!”.
Cosa colpisce di più in questo movimento?
“Due cose: la prima, la più importante, è la natura spontanea di questo movimento, perché questo elemento è spaventa le istituzioni pubbliche, che si trovano senza interlocutori, ma spaventa anche partiti e sindacati, che scoprono con stupore che vicino un milione di uomini e donne si possiamo mobilitare e innescare un movimento di solidarietà come raramente abbiamo visto (con un sostegno dal 70 all’80% nell’opinione pubblica) senza che si sia nemmeno pensato di rivolgersi a loro.
Gilet gialli, un perfetto esempio di auto-organizzazione popolare. Nessun capo piccolo o grande, né Cesari né tribuni, solo il popolo. Il populismo allo stato puro. Non il populismo di partiti o movimenti che reclamano questa etichetta, ma ciò che Vincent Coussedière chiamava il “populismo del popolo”. Ribelli, sanculotti, comunardi, non importa in quale etichetta vogliamo classificarli. Il popolo dei gilet gialli non ha affidato a nessuno il compito di parlare al suo posto, si è imposto come soggetto storico, e anche per questo deve essere approvato e sostenuto.
L’altro punto che mi ha colpito è stato l’incredibile discorso di odio diretto contro i giubbotti gialli dei portatori dell’ideologia dominante, la triste alleanza del “piccolo marchese” Macron al potere, e dei i preziosi e ridicoli mercati finanziari “Borghesi”, “deficienti”, “nerd” sono le parole che tornano più spesso (per non parlare dell’appellativo “camicie brune”!). Leggi la posta dei lettori di Le Monde, e puoi ascoltare la sinistra moralista – la sinistra del cherosene – e la destra delle classi agiate. Finora, questo establishment ha si è trattenuto, ma adesso non si contiene più. Si lascia andare nel modo più osceno per esprimere la propria arroganza e il disprezzo di classe, ma anche la paura del panico di essere presto destituiti dai poveri. Dopo la formidabile manifestazione dei gilet gialli a Parigi, questa classe dominante non ha più il coraggio di ribattere a chi si lamenta del prezzo della benzina, invitando a comprare un’auto elettrica (versione moderna de “Allora mangiate brioche!”). Quando il popolo si riprende le strade della capitale, si alzano i ponti levatoi. La classe dominante esprime il proprio odio per certa Francia popolare – la Francia di Johnny, colui che “fuma sigarette e rulla diesel” – questa Francia che non è abbastanza meticcia, troppo francese in qualche modo, fatta di quelle persone che Macron ha a sua volta descritto come ignoranti e pigre che vogliono “fare casino”, insomma, come gente di poco, esprime questo sentimento perché sa che i suoi giorni sono contati”.
Possiamo vedere come è iniziato il movimento, ma non sappiamo bene come possa finire, supponendo, inoltre, che in qualche maniera debba finire. Gli elementi emersi in questa rivolta possono essere tradotti in maniera più politica?
“Non è in questi termini che si pone il problema. Siamo nel mezzo di un’onda profonda che non sta per indebolirsi, perché è il risultato oggettivo di una situazione storica che è destinata a durare. La questione dei carburanti era ovviamente solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, o piuttosto la goccia di benzina che ha fatto esplodere il bidone. Il vero slogan è stato subito: “Macron dimettiti”. Nell’immediato futuro, il governo userà le solite manovre: reprimere, diffamare, screditare, dividere e aspettare che il movimento si sfilacci. Potrebbe essere sfilacciato, ma le cause saranno sempre lì. Con gilet gialli, la Francia è già in stato pre-insurrezionale. Se si radicalizzano di nuovo le contestazioni, sarà molto meglio. Altrimenti, l’avviso sarà stato importante. Avrà un valore emulativo. In Italia, il Movimento Cinque stelle, nato anche da un “giorno di rabbia”, è ora al potere. In Francia, l’esplosione finale avverrà in meno di dieci anni”. (traduzione di G.Barbadillo)
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