L’Europa sotto il Merkel IV: un bilancio di impotenza (parte 1)
di WOLFGANG STREECK
Traduzione a cura di Massimiliano Sist (FSI Latina)
Introduzione
L’Europa organizzata, o disorganizzata, nell’Unione europea (UE), è una strana bestia politica.
Consiste, in primo luogo, nelle politiche interne dei suoi stati membri che, nel tempo, si sono profondamente intrecciate.
In secondo luogo, gli stati membri, che sono ancora Stati sovrani, perseguono interessi definiti a livello di singola nazione attraverso le politiche estere, ancora nazionali, all’interno di relazioni internazionali intraeuropee.
Qui, in terzo luogo, possono scegliere tra fare affidamento su una varietà di istituzioni sovranazionali o su accordi intergovernativi tra coalizioni selezionate di volontari.
In quarto luogo, dall’inizio dell’Unione Monetaria Europea (UME), che comprende solo diciannove dei ventotto stati membri della UE, è emersa un’altra arena di relazioni internazionali europee, costituita principalmente da istituzioni informali e intergovernative, guardate con sospetto dalla sovranazionale Unione Europea.
Quinto, tutto questo è radicato nelle condizioni geopolitiche e negli interessi geostrategici di ogni nazione, che sono legate in particolare agli Stati Uniti da un lato e alla Russia, all’Europa orientale, ai Balcani, al Mediterraneo orientale e al Medio Oriente dall’altro.
E sesto, c’è, in fondo al sistema statale europeo, una battaglia in corso per l’egemonia tra i suoi due maggiori paesi membri, Francia e Germania, una battaglia che entrambi negano. Ognuno dei due, a suo modo, considera la sua pretesa di supremazia europea come una realtà giusta e assolutamente ovvia, la Germania tanto da non riconoscere nemmeno le sue ambizioni in quanto tali.1
Inoltre, entrambi gli aspiranti egemoni sono consapevoli di poter realizzare i loro progetti nazionali solo incorporando l’altro al loro interno e per questo presentano le loro aspirazioni nazionali come progetti di “integrazione europea” basati su un rapporto speciale tra Germania e Francia.
Tuttavia, almeno dalla crisi finanziaria del 2008, questo accordo è stato caotico, e lo diventa sempre più. I sistemi politici nazionali si stanno trasformando sotto l’impatto dell’integrazione del mercato internazionale e della reazione “populista” contro di essa. Le disparità economiche tra i paesi membri sono in aumento, con un paese in particolare, la Germania, che raccoglie la maggior parte dei benefici della moneta comune, una condizione impossibile da correggere nell’ambito dell’UME come costituita dal trattato di Maastricht.
Gli interessi nazionali nei confronti delle istituzioni economiche dell’Unione divergono ampiamente a causa delle distintive varietà di capitalismo esistenti. Mentre i conflitti che ne derivano sono stati per qualche tempo ostacolati da successive “operazioni di salvataggio” e misure di emergenza, adesso sembra che l’ora della verità sia arrivata. Il Regno Unito sta per uscire, cambiando gli equilibri di potere tra i paesi membri. Le pressioni per “fare le riforme” stanno crescendo, ma gli stati membri e le istituzioni sovranazionali sembrano essersi impantanate. Il vecchio “metodo comunitario” di rimandare le decisioni critiche sembra aver raggiunto i suoi limiti; nel frattempo, i rischi si stanno accumulando.
Questo saggio si impegna a esplicare alcune delle complessità che sono alla base dello stallo europeo. Sostiene che la politica europea è sospesa tra le realtà nazionali e un’ideologia postnazionale. L’Europa soffre di un meccanismo di rimozione sul divario tra i due aspetti, in nome di una “Idea Europea”. E, poiché si spinge sempre più verso una maggiore “integrazione” nelle diverse società nazionali, il divario tra ideologia e realtà si allarga ulteriormente. Questa idea di Europa è un futuro senza passato, una attraente innocenza per un continente carico di ricordi di guerra e genocidio. È, tuttavia, anche un futuro senza un presente: per essere accettabile dai suoi diversi componenti, può essere solo vagamente definita in modo che tutti possano leggere ciò che desiderano.
Le tensioni tra la diversità nazionale e l’unità sovranazionale non possono quindi essere affrontate in modo efficace, poiché ciò rivelerebbe sia la vacuità dell’ideologia che i conflitti nascosti al suo interno. Le crisi emergenti devono essere affrontate attraverso l’improvvisazione quotidiana, lasciandosi dietro un assortimento opaco e confuso di istituzioni scarsamente articolate.
Nel frattempo, l’Europa è divisa da interessi nazionali in competizione, investiti di contenuti nazionali divergenti e trasformati in un veicolo di ambizioni nazionali contrastanti, nessuna delle quali può essere ammessa. Gli operatori politici sono diventati molto abili nel sostituire il simbolismo sentimentale con sobrie argomentazioni pubbliche. Il conseguente sistema politico europeo, che sostituisce sempre più la democrazia nazionale, è diventato imperscrutabile per i cittadini dei vari stati, un risultato che è difficilmente casuale.
Questo saggio tenta di svelare le molte convulsioni della politica europea e di tracciare in maniera critica come l’interazione tra nazionale e sovranazionale si stia evolvendo in Europa. Il saggio si conclude affermando che è giunto il momento in cui il modo col quale gli affari europei sono stati sempre gestiti non sarà più sufficiente.
PRIMA PARTE
Germania: il centro crolla
La Germania di Angela Merkel era solita considerarsi un brillante esempio di stabilità politica. Ma le stesse forze di frammentazione e divisione tra e all’interno dei campi politici, che hanno assillato altre democrazie capitaliste, erano presenti anche in Germania, operando al di sotto della superficie e apparendo in varie forme.
Nelle elezioni del 24 settembre 2017, i due partiti centristi, CDU / CSU e SPD (Unione democratica cristiana / Unione sociale cristiana e Partito socialdemocratico), che avevano formato la grande coalizione del Merkel III e avevano insieme dominato la politica tedesca dal 1950, hanno vinto con il 53,4 per cento dei voti. Di questo, solo il 20,5 percento è andato alla SPD. Questo rispetto al 67,2 percento (SPD 25,7 percento) quattro anni prima. Nel 2005, nelle elezioni che hanno portato al Merkel I (anch’esso una grande coalizione), il loro totale di voti combinati era del 69,4% (SPD 34,2%).
È indicativo della nuova volatilità della politica tedesca che un politico estremamente abile come la Merkel potrebbe aver frainteso in modo così grave l’elettorato nel 2017. La politica dei rifugiati della Merkel era stata pensata, tra le altre cose, per aprire la strada a una coalizione con i Verdi. 2 Invece ha aiutato due nuovi partiti, Alternativa per la Germania (AfD) e il Partito Democratico Libero (FDP) 3, che hanno ottenuto dei seggi al Bundestag, con rispettivamente il 12,6% e il 10,7% dei voti.
Mentre l’AfD è appassionatamente anti-immigrazione, l’FDP si oppone principalmente ai richiedenti asilo e preferisce un regime di immigrazione orientato al mercato del lavoro. Dopo che la desiderata nuova maggioranza della Merkel con i Verdi non si è materializzata, per sostituire la precedente grande coalizione l’FDP si è unito al governo come terzo (o quarto) partner. 4 La potenziale nuova coalizione venne colloquialmente chiamata “Giamaica”, riferendosi ai colori della bandiera del paese e al colore utilizzato per identificare le potenziali coalizioni (nero per CDU / CSU, verde per i Verdi e giallo per il FDP). La coalizione Giamaica ha fallito nel novembre 2017, dopo quattro settimane di intensi colloqui “esplorativi”, quando l’FDP si è ritirato all’ultimo minuto. Apparentemente ciò è avvenuto a causa dell’abitudine passata della Merkel di danneggiare i partner della coalizione disobbedienti – idea nata durante i colloqui dall’impressione che l’armonia profonda e pre-esistente tra la Merkel e i Verdi avrebbe messo in disparte i ministri dell’FDP in un futuro governo congiunto.
Il ritiro dell’FDP ha lasciato solo l’SPD come possibile partner di una coalizione per la Merkel, ma la resistenza all’interno della SPD a un’altra grande coalizione è stata intensa. L’SPD aveva sofferto di più dalla grande coalizione 2013-17 e si stava riprendendo dalla peggiore performance elettorale di sempre. Aspettando che la coalizione “Giamaica” prendesse corpo, la dirigenza dell’SPD si è impegnata subito dopo le elezioni per diventare partito di opposizione. Eppure questa posizione è cambiata tre mesi dopo, quando il presidente federale, un socialdemocratico che aveva perso contro la Merkel nel 2009, ha ricordato alla SPD la sua “responsabilità nazionale”.
Sentendosi come se la scelta fosse tra la morte e il suicidio, l’SPD accettò di dialogare con la CDU / CSU, dialogo che ha richiesto due settimane a gennaio 2018. Il congresso del 21 gennaio ha approvato con una maggioranza risicata negoziati formali. Due settimane dopo, questi negoziati hanno prodotto un progetto di accordo di coalizione, che doveva essere votato dalla base dell’SPD.
Su molti punti il progetto di accordo tra i due partiti portava vantaggi alla SPD. La Merkel, indifferente come sempre sulla sostanza, fece concessioni di vasta portata per rendere l’accordo accettabile per i membri SPD. Il prezzo che ha pagato è stato quello di dare l’impressione che lei fosse unicamente interessata a rimanere al potere. Il malcontento crebbe anche nel suo stesso partito quando concesse tre dei più importanti ministeri alla SPD: finanza, affari esteri e lavoro. Con il ministero dell’Interno che andava alla CSU, erano rimasti solo ministeri minori per la CDU della Merkel (a parte la cancelleria, ovviamente). Per un po’, la situazione politica sembrò sprofondare nella sua crisi più profonda da quando la Merkel rimosse Helmut Kohl dalla presidenza onoraria nel 2000.
Anche nell’SPD hanno cominciato a manifestarsi delle fratture interne dopo la pubblicazione del progetto di accordo. L’opposizione a un’altra grande coalizione era forte a prescindere dall’esito dei negoziati. Molti temevano che, dopo altri quattro anni sotto la Merkel, il partito potesse finire dietro l’AfD. Mentre il referendum sull’adesione era ancora in corso, Martin Schulz, sfortunato candidato-cancelliere e leader inetto del partito dall’inizio del 2017, fu costretto a rassegnare le dimissioni sia come capo del partito che come futuro ministro degli esteri (il posto che aveva rivendicato per se stesso, dopo aver escluso categoricamente di poter partecipare ad un governo Merkel). Poco dopo, la Merkel nominò diversi nuovi personaggi, metà dei quali donne, per i rimanenti sei ministeri in quota CDU. Per il momento questo ha messo a tacere i suoi avversari interni al partito.
Il 4 marzo, è stato annunciato che due terzi dei membri SPD (con un’affluenza del 78%) avevano votato a favore di un’altra grande coalizione, con molti che votavano per paura che nuove elezioni generali avrebbero provocato un’altra, persino più grave, sconfitta. Il 14 marzo il Bundestag ha eletto la Merkel per un quarto mandato come cancelliere. 5
La tortuosa strada verso una nuova grande coalizione ha sollevato la questione del futuro della Merkel in maniera cruciale. Fino all’ondata migratoria del 2015, la Merkel aveva dominato il suo partito ancor più di quanto avesse fatto Kohl, cambiando direzione a piacimento, vestendo la CDU con colori verdastri, di centro sinistra, eliminando chiunque avesse potuto sfidarla per la successione. Questo l’ha aiutata nella crisi post-elettorale quando, dopo il pensionamento del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, non è rimasto nessuno che potesse realisticamente pretendere di succederle senza il suo consenso.
Tuttavia, dopo i disastrosi risultati elettorali, il ritardo di un anno nella formazione di un governo e le scomode concessioni necessarie per radunare una coalizione, sembra improbabile che il suo partito la nominerà per un quinto mandato nel 2021. Ciò significa che il suo successore deve essere scelto al più tardi nell’estate del 2020, per concedere tempo sufficiente alla campagna elettorale. In altre parole, all’incirca verso la metà del suo quarto mandato, la Merkel si trasformerà in una anatra zoppa.
L’Europa in Germania
La politica nazionale tedesca è un fattore cruciale nella politica europea, così come l’Europa è una potente presenza domestica in Germania. L’indulgente consenso che per diversi decenni ha permesso all’integrazione europea di procedere senza intoppi era più forte in Germania che altrove, tranne forse in Italia. 6 Fino ad oggi, l’”Europa”7 porta in Germania ancora un’aura sacra, troppo elevata per essere collegata a concetti sporchi come l’interesse nazionale.
Le principali roccaforti dell’europeismo tedesco sono le classi medie istruite e le giovani generazioni, per le quali l’Europa rappresenta tutto ciò che è allo stesso tempo virtuoso e piacevole: pace, diritti umani, tolleranza e “apertura” a un mercato del lavoro internazionale e viaggi convenienti attraverso le frontiere. Riflettendo le difficoltà di identificarsi con una nazione tedesca dopo il 1945, il sentimento tedesco pro-europeo ha a lungo considerato ovvio che l’Unione Europea fosse in definitiva il vascello dentro cui le nazioni europee possono rinunciare ai loro stati, identità e interessi particolari. Mentre altri stati membri potrebbero essersi arruolati nell’UE per ripristinare o preservare la propria sovranità nazionale8, la Germania si trova nell’UE per sbarazzarsene, credendo fermamente che ciò sia vero anche per tutti gli altri.
Ciò, ovviamente, non significa che l’europeismo tedesco non fosse (e non sia) guidato dagli interessi. L’adesione alla CEE negli anni Cinquanta fu necessaria per il riemergere della Germania occidentale come stato sovrano. Inoltre, l’accesso garantito a un mercato europeo integrato e in continua espansione era ed è indispensabile per la prosperità della sovra-industrializzata e pesantemente indirizzata verso le esportazioni economia tedesca.
Oggi, l’accesso al mercato è assicurato dalla moneta comune, che inoltre riduce artificialmente il tasso di cambio per le industrie tedesche che esportano nel resto del mondo. 9 Nella coscienza pubblica tedesca, tuttavia, gli interessi materiali tedeschi in “Europa” sono sovrapposti con un’immagine della UE, compresa l’unione monetaria, come una “comunità di valore” (Wertegemeinschaft). Ciò offusca la questione strutturale di come l’Europa è, e dovrebbe essere, organizzata politicamente ed economicamente: come zona di libero scambio, una piattaforma per la cooperazione tra Stati nazionali sovrani, un’organizzazione internazionale dedicata alla “globalizzazione” delle economie nazionali, o un superstato sovranazionale – e come in particolare deve essere collegato alla democrazia nazionale.
Dal momento che qualsiasi discussione su questa questione potrebbe minare l’Europa come simbolo integrativo – svegliando i cani addormentati e mettendo a nudo la superficialità di un consenso europeista meramente idealistico – questa stessa discussione è evitata accuratamente. In questo caso, l’ineguagliabile capacità della Merkel di parlare senza contenuti è stata preziosa per preservare l’aspetto “verde” privo di interessi dell’europeismo tedesco, che è così attraente per gli elettori della classe media.
Un primo risultato è che, in Germania, gli interessi nazionali tendono a essere confusi con gli interessi generali europei. 10 Quando altri paesi distinguono tra i due interessi, per non parlare di cosa abbia precedenza, i tedeschi sono onestamente confusi e la distanza dalla perplessità alla disapprovazione morale è breve. In Germania, essere meno entusiasti della “sempre più stretta unione dei popoli d’Europa” (Trattato di Maastricht) è considerato indicativo di un deficit morale: ne è testimone la condanna morale universale della decisione britannica di uscire.
Affermare gli interessi nazionali di fronte a qualcosa di sacro come “l’idea europea” è considerato un deplorevole abbandonarsi ad un passato screditato. Nel frattempo, l’insistenza tedesca su un mercato integrato in cui nessun paese è autorizzato a tradire l’industria tedesca svalutando la sua moneta non è vista come la difesa di un interesse nazionale ma come un rispetto di un imperativo morale.
La prospettiva di interessi nazionali tedeschi che si dissolvono in un comune interesse europeo, o una “idea europea”, è sicuramente più popolare tra i Verdi. Ma è anche condiviso da una considerevole sezione di elettori e membri dell’SPD, anche se il loro numero esatto rimane poco chiaro. Quando Sigmar Gabriel realizzò all’inizio del 2017 che l’SPD ne aveva avuto abbastanza di lui come presidente e candidato cancelliere, chiamò Martin Schulz, un ex presidente del Parlamento europeo che non era riuscito ad ottenere la presidenza della Commissione europea, a prendere in consegna entrambe le posizioni dell’SPD. 11 Dato che Schulz non aveva esperienza nella politica tedesca, l’idea, apparentemente, era che l’SPD beneficiasse della sua aura “europea”.
È interessante notare, tuttavia, che Schulz scelse di non condurre una campagna sull’ “Europa” – su consiglio del suo staff non menzionò mai l’argomento – ma piuttosto sulla “giustizia sociale”, una decisione che in seguito considerò uno dei suoi molti errori. Probabilmente per correggere questo errore percepito, Schulz, inaspettatamente, ha chiesto un voto sugli “Stati Uniti d’Europa” al congresso dell’SPD del 7 dicembre 2017, da completare “al più tardi nel 2025”. I paesi che non vogliono aderire avrebbero dovuto lasciare l’UE. (La frase “Stati Uniti d’Europa” non è mai riemersa).
Nel frattempo i colloqui sulla coalizione “Giamaica” sono falliti, non ultimo a causa dei sospetti dell’ FDP che la Merkel e i Verdi avessero già raggiunto un tacito accordo per offrire consistenti concessioni fiscali alla Francia. 12 In risposta, e incoraggiati dalle loro connessioni francesi, Schulz e Gabriel hanno insistito sul fatto che, il capitolo dell’accordo sull’Europa della coalizione doveva venire per primo, ed è stato celebrato dai media mainstream come un importante passo in avanti. 13
Presumibilmente Schulz e il suo vecchio compagno d’avventura, Jean-Claude Juncker della Commissione europea, hanno scritto insieme la parte dell’accordo sull’Europa, con la Merkel, programmaticamente agnostica come sempre, che lo ha fatto passare invariato. La speranza, tuttavia, che questo avrebbe generato entusiasmo tra i membri SPD per Schulz e un’altra grande coalizione venne presto delusa. Quando Schulz, nel suo discorso alla convention di gennaio, parlò ancora una volta di Emmanuel Macron che lo aveva chiamato per chiedere che la formazione del nuovo governo fosse accelerata, i delegati ridevano con disprezzo, con sorpresa dei giornalisti mainstream tedeschi di mentalità europea.
Note
1 Herfried Münkler, Macht in der Mitte: Die neuen Aufgaben Deutschlands in Europa (Hamburg: Körber-Stiftung, 2015).
2 Questo è stato un secondo tentativo dopo la “svolta energetica” (Energiewende) in seguito al disastro di Fukushima Daiichi del 2011. Sorprendentemente, nel 2013 questo non è stato sufficiente per fare in modo che l’ala sinistra dei Verdi rinunciasse ai piani per la riforma fiscale come condizione per aderire al governo. Da allora, e per questo motivo, l’ala centrista dei Verdi ha preso il sopravvento.
3 L’FDP è tornato dopo essere quasi scomparso del 2013 quando, in qualità di socio minore della Merkel per quattro anni, ha fallito, al 4.8 percento, nel superare la soglia del 5 percento.
4 CDU e CSU sono formalmente due partiti separati. Ma i CSU sono candidati solo in Baviera, e il CDU solo al di fuori della Baviera, il che li rende, nel loro gergo, “feste gemelle”. Dagli anni ’50, la CSU ha governato il Land della Baviera, quasi sempre a maggioranza assoluta. In parte ciò è dovuto alla sua particolare presenza a livello federale, dove rappresenta aggressivamente gli interessi e i sentimenti bavaresi, se necessario, in conflitto con la CDU. In effetti, questo partito contiene tutte le tendenze separatiste che possono ancora esistere in Baviera.
5 Dei 399 voti combinati di CDU / CSU e SPD,la Merkel ha ricevuto 364 voti, una differenza di 35 e solo 9 in più del necessario per la maggioranza assoluta richiesta.
6 Leon N. Lindberg and Stuart A. Scheingold, Europe’s Would-Be Polity: Patterns of Change in the European Community (Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall, 1970).
7 Qualsiasi distinzione tra Europa, continente e “Europa” come forma idealizzata dell’Unione europea è qualcosa che gli appassionati di quest’ultima fanno tutto ciò che possono per offuscare.
8 Alan Milward, The European Rescue of the Nation-State (London: Routledge, 1992).
9 Fritz W. Scharpf, “Forced Structural Convergence in the Eurozone—Or a Differentiated European Monetary Community,” MPIfG Discussion Paper 16/15, Max Planck Institute for the Study of Societies, Cologne (2016).
10 Sotto questo aspetto, se non altro, la politica interna tedesca assomiglia a quella di un paese (potenzialmente) egemonico. Lo stesso vale, ovviamente, per la Francia – solo che i francesi immaginano gli interessi europei come identici agli interessi francesi, mentre i tedeschi immaginano che gli interessi europei negano o superano tutti gli interessi nazionali, compresi quelli tedeschi. Finché entrambe le parti si astengono con tatto dal sollevare la questione, i due concetti possono coesistere più o meno comodamente.
11 Su questa e la successiva campagna elettorale, vedi Markus Feldenkirchen, Die Schulz-Story: Ein Jahr zwischen Höhenflug und Absturz (München: Deutsche Verlags-Anstalt, 2018).
12 Si noti che Macron avrebbe dichiarato prima delle elezioni che “se l’FDP entrerà nel governo tedesco, sarò morto”. Di più su questo di seguito.
13 Entrambi avevano lavorato duramente tutto l’anno per migliorare la propria immagine incontrando Macron e occasionalmente pranzando con il filosofo Jürgen Habermas, almeno una volta insieme allo stesso Macron. Gabriel arrivò a dichiarare Macron un socialdemocratico e Habermas fece sapere che Macron stava per abolire “la tragica divisione tra destra e sinistra nella politica francese”. Quando l’SPD si stava preparando a scartare Gabriel come ministro degli Esteri, Habermas ha chiesto in un articolo di un settimanale, Die Zeit, di essere trattenuto in carica, a causa del suo europeismo visionario. Sulle buffonate di Gabriel vedi Feldenkirchen, Die Schulz-Story (2018).
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