Delocalizzazione, dopo la classe operaia, i colletti bianchi?
di OLIVIER LLUANSI e JEAN-PHILIPPE COLLIN
Articolo comparso sul quotidiano francese «Les Échos» a proposito della delocalizzazione dei processi ingegneristici che interessa il tessuto industriale del Paese d’Oltralpe. Il fenomeno aumenterà ancora di più con lo smartworking. Urge una riflessione sui pericoli del lavoro a distanza e delle nuove forme di delocalizzazione anche nel nostro Paese. Ringraziamo Olivier Crouzier per la traduzione. (LA REDAZIONE)
Dopo le fabbriche, ora sono ingegneri e tecnici ad andarsene via dalla Francia, come conseguenza delle differenze del costo del lavoro, del successo della digitalizzazione e del telelavoro: la minaccia riguarda 150.000 impieghi altamente qualificati. Come si possono (ri)costruire le fabbriche e produrre nuovi prodotti, quando gli uomini e le donne per concepirli non ci saranno più?
I rischi di interruzioni degli approvvigionamenti che si osservano oggi precedono alla crisi Covid, la quale ha enfatizzato una vulnerabilità strutturale legata alla nostra deindustrializzazione. Il rapporto Potier oppure gli studi sulla rilocalizzazione tracciano la strada per una nostra riconquista industriale. Le fabbriche che torneranno in Francia non sono paragonabili a quelle che sono sparite. Saranno più digitalizzate, compatibili con le esigenze ambientali, cercheranno di ibridare prodotti e servizi, flessibili… Insomma, saranno all’avanguardia! Il PIL industriale potrebbe aumentare di una cinquantina di miliardi di euro, cioè quasi del +25%, colmando il deficit commerciale francese.
Tuttavia, c’è un’ombra: la delocalizzazione del sapere ingegneristico. L’ingegneria concepisce sia i prodotti di domani, sia il modo di produrli. É il cuore del nostro “genio industriale” del quale fanno parte anche il design e la ricerca. Queste “arti” sono particolarmente presenti nel settore automobilistico, ferroviario, navale, aeronautico, difesa, energia o telecomunicazioni.
In Francia, l’ingegneria impiega 700.000 ingegneri e tecnici. In Europa, pesa tra il 2% e l’8% del PIL, a seconda del paese. Tali attività sono per lo più svolte all’interno delle grandi aziende (tra il 50% e il 70%), il resto è esternalizzato. Con Altran e Alten, la Francia dispone delle aziende leader mondiali dei processi ingegneristici esternalizzati; senza dimenticare AKKA, Segula, Expleo e tutta una rete di imprese più piccole.
Costi ridotti fino al 50%
Oggi, però, l’ingegneria va via dalla Francia. Senza chiusure di fabbriche, senza fumo, né pneumatici bruciati, tanto meno scioperi. Il movimento è silenzioso. Lì dove ci sarebbero stati cinque ingegneri francesi, ne mettiamo oggi dieci in “front-office”, venti dell’Europa centrale in “middle-office” e trenta ingegneri dell’Asia in “back-office”. Ed ecco che ad un tratto, i costi si riducono dal 30 al 50%.
Rispondere alle esigenze dei committenti senza delocalizzare è ormai impossibile. Anche i grandi gruppi delocalizzano i propri reparti d’ingegneria. I dati della professione mostrano che il tasso di offshoring di tali reparti oscilla tra il 6% e il 7% (India, Marocco e Romania sono le destinazioni preferite). Il tasso raggiunge il 35% negli Stati Uniti e nel Regno Unito per via dei numerosi front-office indiani, della vicinanza linguistica e anche dello scarso interesse, in quei Paesi, per il mestiere di ingegnere e, conseguentemente, della sua mancanza di notorietà.
Questa situazione ci fornisce la misura della minaccia: in Francia, il 25% circa dell’attività è a rischio. Si tratta di almeno 150.000 impieghi molto qualificati, di cui 90.000 ingegneri!
Un rischio sistemico per la filiera degli ingegneri francesi, tanto apprezzata all’estero e per la quale dobbiamo une parte del “genio francese”.
Rischio di declassamento
La sfida è facilmente quantificabile perché, secondo le nostre stime, una delocalizzazione massiccia degli ingegneri ridurrebbe di tre miliardi di euro circa i costi delle aziende francesi. È molto, ma è anche “gestibile”.
Numerosi studi sottolineano che il “credito d’imposta ricerca” (crédit impôt recherche) potrebbe essere più esigente e strategico. Perché non condizionare questi 6 miliardi di euro alla localizzazione in Francia di una quota (almeno il 70%) dei reparti ingegneristici?
I nostri nuovi centri produttivi saranno supportati dalle ingegnerie di produzione, mentre quelle di concezione reinventeranno la coppia prodotti-servizi. Spogliati dell’ingegneria, saremo di fronte ad un grande rischio di delocalizzazione industriale e, infine, di declino irreversibile del nostro Paese. L’ingegneria è il cuore della nostra rinascita industriale, l’ultima cosa da non lasciare partire.
(traduzione di OLIVIER CROUZIER)
Note
1)Si tratta di un rapporto ufficiale del Ministero dell’Economia e del Ministero dell’Istruzione, Ricerca e Innovazione con cui si delinea la politica industriale della Francia per quanto riguarda i settori tecnologici d’avanguardia (NdT).
fonte: «Les Échos», 6.5.2021
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