Ci vuole più mercato, o no?
di SIMONE GARILLI (RI Mantova)
L’Istituto Bruno Leoni, la mecca dei liberali italiani (per lo meno dei liberali di destra, quelli coerenti) ci assicura in un suo recente rapporto che l’Italia è il sesto paese più liberalizzato d’Europa, distante in modo netto dal solo Regno Unito, allo stesso identico livello della Germania, sopra alla Francia e a quasi tutti gli altri stati.
Il risultato complessivo dell’analisi è una media del grado di liberalizzazione a cui ogni paese si attesta nei nove settori economici più importanti, relativamente al paese che primeggia in ogni settore. È dunque un risultato relativo, l’unico davvero sensato, dato che il libero mercato in senso assoluto, o addirittura fondatore dell’ordine statuale, è una sega mentale di qualche filosofo allucinato.
I settori interessati dallo studio sono: distribuzione dei carburanti, mercato elettrico, mercato del lavoro, mercato del gas, servizi postali, telecomunicazioni e comunicazioni elettroniche, trasporto aereo, trasporto ferroviario e mercato assicurativo.
Ebbene, è trent’anni che ci dicono che dovevamo cambiare, perché l’economia mista non funzionava e la Costituzione del 1948 era un ferro vecchio (questo lo dicono solo i liberali più sinceri) e ora i leoncini ci svelano che siamo cambiati. Siamo aperti (e che non lo vedevamo?), liberalizzati, moderni, o almeno più di tanti altri. Risultati? Il trentennio con la crescita e la produttività più bassa dall’inizio della nostra storia unitaria.
I liberali del Bruno Leoni li conosciamo: se la medicina del mercato non funziona è perché non se ne è presa mai abbastanza. Ce ne vuole di più, e di più, e… ancora un ultimo sorso. Ma a noi persone normali qualche dubbio dovrebbe venire.
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