L’Europa sotto il Merkel IV: un bilancio di impotenza (parte 3)
di WOLFGANG STREECK
Traduzione a cura di Massimiliano Sist (FSI Latina)
Rifondare l’Europa?
La politica organizzata a livello europeo è sempre stata condotta attraverso due canali, uno sovranazionale e uno intergovernativo. La Germania ha tradizionalmente preferito il sovranazionalismo, visto il suo desiderio di evitare il conflitto e nascondere la sua influenza dietro regole che rendono superflue le trattative. Anche l’Intergovernamentalismo ha resistito perché potrebbe dar vita a un’Europa à la carte, a “geometria variabile” o a “diverse velocità”, permettendo ai paesi di “scegliere” da un menu di possibili aree di cooperazione.41
I francesi, al contrario, si sono sempre sentiti liberi di passare da uno all’altro, a seconda di cosa si adattava meglio ai loro interessi, mentre generalmente insistevano su una speciale relazione franco-tedesca come nucleo del “progetto europeo”. Su questo, come su tutto, la Merkel non è mai stata dogmatica. Nella sua gestione della crisi dell’euro ha lavorato a stretto contatto con Sarkozy e Hollande, aggirando spesso Bruxelles. Alcune delle misure adottate, come il Fiscal Compact, sono persino formalmente di natura intergovernativa, anche perché gli inglesi hanno impedito loro di inserirle nel diritto comunitario.
È indicativo della pura ambizione del progetto di riforma europea di Macron il fatto che abbia recentemente aperto un dibattito su un terzo canale, di tipo plebiscitario, per la politica europea. Sebbene la sua retorica qui sia relativamente schietta, ci sono stati finora pochi commenti pubblici sulla sua proposta, probabilmente perché è troppo lontana dal tradizionale discorso di integrazione europea. Nel discorso della Sorbona e altrove, Macron ha chiesto niente di meno che una “rifondazione” dell’Europa, attraverso “consultazioni” a livello europeo in “assemblee cittadine” per arrivare, secondo Macron, ad una “Europa sovrana”. Il primo passo di questa nuova via e’ un piano per “europeizzare” le elezioni europee nel 2019 riservando i settantasei posti vacanti lasciati dal Regno Unito alle liste transnazionali europee di candidati (per arrivare alle elezioni successive ad una metà di seggi transnazionali). Fino ad ora, i membri del Parlamento europeo sono stati eletti in base alle norme elettorali nazionali e con candidati nominati dai partiti politici nazionali. Durante l’interregno tedesco, la Merkel sembra sia stata sottoposta a pressioni da Parigi per ottenere che i partiti nazionali che formano il Partito Popolare Europeo, tra cui CDU e CSU, formino una lista europea nel 2019. L’opposizione a questa idea è stata abbastanza violenta da farne prendere alla Merkel le distanze pubblicamente. Pressioni simili possono essere sentite anche dai partiti di centro-sinistra nazionali che, avendo meno da perdere, possono essere più obbligati.42 A meno che Macron non si arrenda presto, forse in cambio di un maggiore sostegno al suo programma di riforma più convenzionale, questa lotta può diventare appassionata.
In ogni caso, ci sono buone ragioni per prendere sul serio il progetto elettorale di Macron, specialmente alla luce dei suoi parallelismi con la sua “rifondazione” del sistema politico francese. Nella sua essenza, il progetto si riduce a niente meno che a un attacco rivoluzionario all’establishment sovranazionale di centrosinistra-centrodestra a Bruxelles organizzato intorno alla tecno-burocrazia della Commissione e ad un Parlamento impotente.43 La strategia elettorale di Macron farebbe crescere rapidamente il sentimento “cosmopolita” presente tra i giovani e le classi medie professionali, non solo in Francia e in Italia ma anche in Germania, come dimostrato ad esempio dagli eventi “Pulse of Europe” nell’estate e nell’autunno del 2017.44 Il risultato auspicato sarebbe una versione europea del quasi-partito sintetico di Macron, La République en Marche (LaREM), composto principalmente da persone appena arrivate in politica e dallo stesso Macron come il leader carismatico e bonapartista, che ha portato la sua legittimità plebiscitario-populista, non solo a Bruxelles, ma anche sugli Stati membri dell’UE nel nome, provocatoriamente, di una “Europa sovrana”.
L’iniziativa di Macron rivela non solo una sconfinata sicurezza personale, fortificata senza dubbio dalla sua vittoria nel 2017 e, forse, dell’adulazione tedesca. Fa luce anche sulla natura peculiare del nazionalismo francese, che si considera universale. Da una prospettiva francese, non c’è conflitto tra una “Francia sovrana” e una “Europa sovrana”, purché l’Europa sia propriamente costituita su principi universali, cioè francesi, e governata da Parigi, come estensione della sovranità francese.45 Mentre per la Germania un’Europa sovrana è l’auspicabile cessazione della sovranità nazionale, compresa la Germania stessa, in Francia è una condizione, o una versione contemporanea, di una Francia sovrana. La replica di LaREM a livello europeo – la distruzione del sistema partitico del dopoguerra e la sostituzione del suo doppio centro con una Partei neuen Typs (in termini leninisti) – lontano dall’abolire la sovranità nazionale francese, la amplia e la preserva.
Il cugino povero
Lo stesso giorno in cui i socialdemocratici tedeschi hanno annunciato il risultato del loro referendum, l’Italia ha eletto un nuovo parlamento e, come in Germania, il centro non ha tenuto. Il Partito Democratico (PD), a volte chiamato socialdemocratico, a volte cristiano-democratico, guidato da Matteo Renzi, che aveva promesso di “demolire” la vecchia classe politica e le sue istituzioni, 46 arrivò ad un deludente 19% (23% compreso alleati), rispetto a circa il 40% delle elezioni parlamentari europee del 2014. (Si noti che questo era approssimativamente dello stesso ordine del disastroso risultato dell’Spd di un anno prima.) Il 33% e’ andato al Movimento a cinque stelle (M5S), mentre il 37% ha votato per l’alleanza di centro-destra, tra cui la rinata Lega Nord e la Forza Italia di Berlusconi.
Le elezioni hanno reso l’Italia il primo stato membro dell’UE con una solida maggioranza “populista” ed “euroscettica”. Politicamente, il paese è ora diviso in tre parti. Il PD, un tempo orgoglioso discendente dal Partito Comunista, e’ andato bene solo in Toscana, e, sorprendentemente, nel fiorente Alto Adige. Altrove, tutto ciò’ che sta a nord della Toscana, compresa l’Emilia Romagna, e’ andato nelle mani dell’alleanza Lega-Berlusconi, mentre l’Italia meridionale e’ diventato il paese dei cinque stelle. Il risultato riflette una profonda frustrazione per due decenni di stagnazione economica e promesse non mantenute, con il paese in una posizione di stallo tra le pressioni dell’euro-regime per fare “riforme” neoliberali e la resistenza popolare contro di esse. Forse e’ stato in parte decisivo anche il tema dell’immigrazione, che, come in molti altri paesi europei, sembra essere diventato l’incarnazione di una sorta di “apertura” che porta con sé una perdita di controllo democratico popolare e pressioni incessanti per un cambiamento senza fine nella vita quotidiana, economica, sociale e culturale.
La formazione di un nuovo governo richiederà tempo, forse tanto quanto in Germania. Se Renzi continua a perseguire la sua idea e il PD rimane fuori (ma si ricordi l’SPD!), La domanda sarà se i due grandi blocchi “populisti” possano governare insieme. Da una prospettiva franco-tedesca, ciò che più importa sono le implicazioni per la valuta comune. Mentre il risultato elettorale non era (ancora) anti-euro, non era certamente neanche pro-euro, il che allarga il margine di manovra del futuro governo italiano. Durante la campagna, Berlusconi e i suoi alleati hanno diffuso l’idea di una seconda moneta, chiamata Nuova Lira, oltre all’euro, ma successivamente hanno spostato l’attenzione sull’immigrazione. Il M5S, da parte sua, aveva inizialmente promesso un referendum sull’euro, per poi tacere sull’argomento. Apparentemente, entrambi avevano paura di aggiungere alle ansie degli elettori quella economica e quindi di giocare a favore di Renzi e del suo centrismo pro-euro.
Due osservazioni generali sembrano apparire chiare in questa situazione. In primo luogo, il sistema dei partiti italiano è ora allo sfacelo come lo era il sistema francese quando Macron decise di demolirlo (e, a differenza di Renzi,ce la fece). Il M5S sta ancora imparando ad essere più di un movimento di protesta; Berlusconi è escluso dai pubblici uffici a causa della sua condanna per evasione fiscale; e la Lega deve organizzarsi per diventare un vero partito nazionale. Se c’è un paese in Europa al di fuori della Francia dove il progetto bonapartista di Macron per le prossime elezioni europee potrebbe avere successo, allora potrebbe essere l’Italia, dove Macron potrebbe provare ad ereditare il sentimento europeista che un tempo aveva sostenuto il PD ormai scomparso di Renzi.
In secondo luogo, chiunque alla fine governerà l’Italia non può aspettarsi che Germania, Francia o la BCE facciano pressione sulle “riforme” neoliberiste che costarono a Renzi e al suo partito la loro vita politica. L’appello di Macron per la disciplina fiscale diventerà inaudito quanto le preoccupazioni tedesche sul dover pagare il debito di altre persone. Con una seconda moneta e un referendum sull’euro come opzioni strategiche, la condizionalità vecchio stile sarà impossibile da far rispettare, e i governi italiani possono insistere su ogni genere di salvataggi solo per non uscire dall’euro in una qualche forma. Dall’esterno, abbandonare l’euro o introdurre una Nuova Lira può sembrare rischioso per l’Italia stessa, specialmente se fatta unilateralmente e senza il sostegno della Merkel e di Macron (che deve evitare a tutti i costi di aprire una porta per uscire dall’unione monetaria). Ma potrebbe essere altrettanto rischioso per gli altri partner europei. Per la Germania, in particolare, il crollo dell’euro potrebbe significare la fine della prosperità economica che la Merkel ha difeso con le unghie e con i denti nel nome dell’idea europea.47 Se l’Italia può creare in maniera credibile l’impressione che sia politicamente pronta a esplodere, portando con sé il resto dell’eurozona, aumenterebbe enormemente il suo potere contrattuale in Europa, assicurandosi il continuo finanziamento statale attraverso la BCE e un salvataggio europeo-tedesco della sua industria bancaria praticamente gratis.
Benvenuti in tempi difficili
Non solo l’Italia in relazione a Germania e Francia, ma anche Germania e Francia in relazione tra loro, oggi traggono forza esterna dalla debolezza interna. L’arma più potente di Macron è il timore tedesco che, alla fine del suo mandato, il suo populismo centrista possa essere superato dal populismo della sinistra o della destra, o da entrambi, finendo per demolirlo come Renzi. La Merkel, da parte sua, può respingere le richieste francesi indicando una nuova politica interna che lega le mani e rende irrealizzabili le precedenti promesse tedesche. E chi governerà l’Italia potrà respingere le richieste tedesche e, più recentemente, francesi di “riforma”, puntando a una resistenza interna invincibile e sui danni collaterali per tutta l’Europa che risulterebbero da un’uscita italiana dall’euro. Il risultato è un equilibrio non di potere ma di impotenza, che prefigura una profonda stagnazione politica, con brutte sorprese che incombono ovunque e che attendono di accadere in qualsiasi momento.
Per la Germania, la sua egemonia europea “nascosta” dell’ultimo decennio, la sua retorica idealista-ideologica e le sue iniziative confidenziali usate da anni per guadagnare tempo ora potrebbero ritorcersele contro. È finito il tempo in cui si poteva immaginare che l’impero potesse arrivare gratuitamente, come ricompensa per le virtù morali e la buona pulizia in casa. Mentre i creditori politici chiedono quello che credono gli sia dovuto, la Germania li affronta a mani vuote. Non è solo la Germania stessa, ma anche i suoi precedenti alleati dell’Europa settentrionale, che il Merkel IV non sarà in grado di accontentare quando si tratterà di rendere nuovamente grande l’integrazione europea. Per quanto riguarda la Francia, l’idea di stabilizzare il paese facendola sognare l’Europa come una Grande Francia e sconfiggendo così la sinistra e la destra “euroscettiche”, sembra già irrealistica. La Germania non sarà integrata in un’economia politica europea dominata dalla Francia, e il malcontento economico francese non sarà superato dall’entusiasmo “europeista” decretato ufficialmente.
L’Italia, nel frattempo, assomiglia alla Grecia, in quanto non può né sperare di riprendersi da sola né di essere salvata da altri. Mentre la Germania, in particolare, ma anche la Francia, non possono lasciare l’Italia uscire dall’UEM facilmente, così come non possono lasciare la Gran Bretagna uscire dall’UE facilmente – l’Italia non guarirà fintanto che rimarrà chiusa nella zona euro. Non esiste una riforma istituzionale politicamente attuabile né a livello europeo né in Italia che possa riportare il paese in piedi. Né vi è ragione di credere che una rinnovata crescita economica in qualche modo metterà in crisi l’economia politica europea, date le abbondanti incertezze nell’ambiente europeo: protezionismo trumpiano, guerre commerciali cinesi-americane, Brexit, i limiti del quantitative easing, l’inevitabile “correzione” della bolla speculativa del mercato azionario, e così via.
Con le incapacità interconnesse dei principali paesi europei e le crisi di leadership interna ed internazionale ad esse associate dovremmo aspettarci una continua deriva e un decadimento istituzionale, scandito da successive operazioni di emergenza a breve termine che sono profondamente inadatte a fermare l’imputridimento. La democrazia e il pubblico dovranno essere messi da parte quanto più possibile, mentre i mercati finanziari dovranno essere certi di una politica “conforme al mercato” (nella formulazione della Merkel) 48. Le frizioni istituzionali si intensificheranno e il malcontento sociale si accumulerà in Italia, Francia , Germania e altrove. Come in passato, gli interessi nazionali saranno travestiti da interessi europei, per nascondere ambizioni imperiali di diverso tipo e per rimuoverli dal discorso pubblico e dall’equilibrio diplomatico. Nell’emergente société bloquée dell’Europa, la politica continuerà a deteriorarsi in simbolismo ritualistico, seguendo la faticosa intuizione dei detentori del potere – che la nascondono al pubblico il più possibile – che la politica non può opporsi ai mercati globali e quindi non dovrebbe neanche provarci a farlo. Nel processo, i simboli europei cadranno in disgrazia poiché i cittadini capiranno che non hanno alcun potere per scongiurare i problemi prossimi venturi dell’economia e della società inflitte dai mercati troppo “liberi” di attraversare i confini.
Con il passare degli anni del Merkel IV, i “populisti” di ogni tipo, di sinistra e di destra, si sentiranno rafforzati dal loro punto di vista secondo cui le istituzioni europee ereditate dagli anni neoliberali non saranno mai convertite in protezioni contro la globalizzazione, poiché, sono così fermamente bloccati nel loro percorso storico che non possono essere cambiate o riformate. Tutti quelli che le gestiscono, cercando disperatamente di mantenere un’apparenza di controllo, possono sperare che in qualche modo le cose andranno bene, per ragioni sconosciute e inconoscibili. Esibizioni pubbliche di ottimismo incrollabile, manifestazioni quotidiane di buone intenzioni basate sui “valori” e frenetiche attività generatrici di “notizie” saranno utilizzate per mantenere viva la fiducia dei cittadini in attesa del ritorno di qualche misterioso equilibrio auto-ripristinante, o in alternativa per i cittadini che accetteranno la fine del governo, nazionale e sovranazionale, e l’avvento della governance, anzi una governance globale. Nel frattempo, la Germania sarà anche più che negli ultimi anni l’obiettivo del risentimento internazionale, anche in Francia, poiché il Kerneuropa (“Europa centrale”) franco-tedesco rimarrà per lo più simbolico e cerimoniale. Entro la fine del Merkel IV, potremmo non guardare solo la fine imminente di Macron, ma a quello che i giornalisti chiameranno Italexit, con o senza il consenso franco-tedesco. Di conseguenza, l’euro – la pietra angolare della prosperità tedesca post-2008 – cambierebbe fino a non essere più riconoscibile o cesserà di esistere. Incapace politicamente ed economicamente di risarcire chi ci ha rimesso dall’unione monetaria, la Germania non può sperare di uscire vincitrice da questo processo.
Note:
41 I paesi dell’Europa orientale vacillano tra il desiderio di maggiore autonomia nazionale e la paura di essere messi da parte dalla cooperazione intergovernativa selettiva tra i grandi paesi membri.
42 Si potrebbe immaginare che Schulz o Gabriel compaiano in una lista europea sovranazionale ispirata da Macron nella sua impersonificazione di socialdemocratico.
43 Per un assaggio della retorica, un estratto dal discorso della Sorbona: “E a tutti i principali partiti europei che ci hanno spiegato che sarebbe stato grandioso avere un “Spitzenkandidat”, un candidato principale, per la Commissione europea, rendendo le elezioni più europee, dico: Porta questo ragionamento fino alla sua conclusione! Non aver paura! Hai autentiche elezioni europee! Non fare calcoli finemente pesati per i tuoi precedenti interessi! Facciamolo!’ Ma poi vedrete, a livello europeo, cosa è apparso chiaramente in Francia a maggio: vale a dire che ciò che a volte vi mantiene nei partiti comuni non esiste più, perché il vostro rapporto con l’Europa non è più lo stesso, all’interno degli stessi grandi partiti, e tu non credi più alle stesse cose. Non lascerò i principali partiti europei al monopolio del dibattito sull’Europa e sulle elezioni europee! Perché i cittadini devono rivederlo, attraverso la base, dal basso verso l’alto, sulla base della verità.”
44 Ovviamente seguendo la guida di Macron, il governo Merkel IV, come dichiarato nell’accordo di coalizione, intende “coinvolgere i cittadini attraverso dialoghi pubblici a livello nazionale nel dibattito sulla riforma europea”.
45 Un altro esempio del discorso della Sorbona: “A poche settimane dalle elezioni europee, Parigi ospiterà i Giochi olimpici. Ma non è solo Parigi che ospita. È la Francia e, con essa, l’Europa che manterrà vivo lo spirito olimpico nato in questo continente. Sarà un momento unico di incontro, una magnifica opportunità per celebrare l’unità europea. Nel 2024, l’Ode alla Gioia risuonerà e la bandiera europea potrà essere portata con orgoglio accanto ai nostri emblemi nazionali.”
46 Il nome di battaglia che si era scelto era il rottamatore.
47 Si noti che Berlusconi ha dei conti da risolvere con la Merkel, che è stata determinante nella sua rimozione dal suo incarico nel 2011. Per la sua decisiva telefonata all’allora presidente italiano, Giorgio Napolitano, vedere Susan Watkins, “The Political State of the Union,” New Left Review 90 (2014): 5–25.
48 In questo spirito, il nuovo ministro delle finanze tedesco, Scholz, subito dopo essere entrato in carica ha nominato uno dei due capi della filiale tedesca di Goldman Sachs, Jörg Kukies, come segretario di stato responsabile dei mercati finanziari globali. Vedi sopra, nota 36.
Qui la prima e la seconda parte dell’articolo
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