La teoria della moneta moderna – parte terza: una rete di protezione a favore del capitalismo
di LA CITTA’ FUTURA (Micheal Roberts)
La MMT mira a rattoppare i fallimenti della produzione capitalistica, non a rimpiazzarla.
Segue dalla seconda parte.
Dopo due lunghi articoli che analizzano la Teoria della moneta moderna (Modern monetary theory – MMT), in questo terzo contributo, esaminerò gli aspetti pratici di questa teoria. In altre parole, quali sono le proposte politiche che i sostenitori della MMT propongono al governo per creare più posti di lavoro con salari milgiori senza provocare inflazione?
Dopo la Grande Recessione, gli economisti di sinistra hanno cercato di confutare le teorie economiche neoliberiste che impongono l’equilibrio nei bilanci pubblici e una riduzione degli alti livelli di debito pubblico. Le politiche di austerità che scaturiscono dal punto di vista neoliberista hanno significato il taglio del welfare state, la riduzione dei servizi pubblici, la stagnazione dei salari reali e l’aumento della disoccupazione. Naturalmente, il movimento operaio vuole invertire queste politiche che fanno sì che i lavoratori paghino per il fallimento delle banche e del capitalismo.
L’alternativa tipica viene dal keynesismo tradizionale, ovvero dalla convinzione che una maggiore spesa pubblica (tramite deficit sui bilanci annuali dello stato) può aumentare la domanda effettiva nell’economia capitalista e creare posti di lavoro e aumentare i salari. Ed è qui che entra in gioco la MMT. Come dice uno dei suoi esponenti, Randall Wray, ciò che la MMT aggiunge alla politica di stimolo fiscale di stampo keynesiano è l’argomento teorico secondo cui “a un governo sovrano non può scarseggiare la propria moneta”. Fin tanto che lo stato ha il monopolio nello stabilire l’unità di conto (dollari, euro o pesos), può creare quanta moneta abbisogna, distribuirla a entità “non statali”, aumentare la domanda e quindi fornire posti di lavoro e redditi. Stephanie Kelton, uno dei principali esponenti della MMT e consigliere di Bernie Sanders, afferma: “L’entità che emette moneta non può mai rimanere senza denaro perché può sempre stampare o coniare più dollari, pesos, rubli, yen, ecc.”
Quindi il deficit di bilancio pubblico (e l’aumento del debito pubblico) non è un problema. E poiché nelle economie capitaliste c’è quasi sempre disoccupazione e risorse sottoutilizzate, c’è sempre spazio per aumentare la domanda – non solo temporaneamente fino alla ripresa del settore capitalista (come nelle politiche keynesiane) – ma in modo permanente. Questo risulta molto allettante alla sinistra del movimento dei lavoratori. Ecco una giustificazione teorica per una spesa pubblica illimitata e deficit di bilancio per raggiungere la piena occupazione senza toccare i lati positivi del settore capitalista dell’economia. Tutto ciò che è necessario è che politici e governi riconoscano il semplice fatto che lo stato non può rimanere senza soldi.
La politica chiave che i sostenitori della MMT hanno avanzato da questa premessa teorica è quella che chiamano un lavoro governativo garantito. A tutti verrà garantito un lavoro se lo desiderano o ne hanno bisogno; il governo impiegherà i disoccupati su progetti; o li pagherà affinché ottengano un lavoro. La maggior parte delle persone lavora per società capitaliste o per il governo, ma la disoccupazione rimane e può riguardare una parte considerevole della forza-lavoro. Quindi il governo dovrebbe agire come un ‘datore di lavoro di ultima istanza’. Non sostituirà le società capitaliste, ma raccoglierà quelli in età lavorativa che il capitale non è riuscito a impiegare. Come dice Randall Wray: “Sarebbe come creare una scorta di lavoro”. Potresti definirlo una rete di protezione del governo in favore del capitalismo (per usare la parola corrente che domina i negoziati sulla Brexit tra il Regno Unito e l’UE).
Bill Mitchell è un eminente economista MMT australiano e ha promosso instancabilmente campagne per la garanzia governativa sul lavoro. Egli la descrive come “un programma di impiego pubblico a tempo indeterminato che offre un lavoro a un salario di mera sussistenza (minimo) a chiunque desideri lavorare ma non trova lavoro… I posti di lavoro garantiti hanno salari minimi che non sono in concorrenza con la struttura salariale del settore di mercato. Non potendo competere con il mercato privato, il lavoro garantito eviterebbe le tendenze inflazionistiche del keynesismo vecchio stile, che tentava di mantenere il pieno utilizzo delle risorse tramite posti di lavoro tradizionali”.
Garantire un lavoro per tutti sembra fantastico. Ma a quanto pare, non sarà un lavoro che percepisce un salario con cui le persone possono vivere. No, sarà solo un “salario minimo” per assicurarsi che non sia “in concorrenza con la struttura salariale del settore privato”. In altre parole, aziende come Amazon o WalMart, o le piccole attività commerciali, continueranno a essere in grado di pagare ai propri lavoratori salari molto bassi (pari o quasi al minimo) senza interferenze da parte di alcun lavoro garantito, poiché tali posti di lavoro saranno retribuiti di meno.
Pertanto, i posti di lavoro garantiti rappresentano una rete di protezione per il settore privato; senza rimpiazzarlo. Ecco di nuovo Bill Mitchell: “Il governo gestisce una scorta di posti di lavoro per assorbire i lavoratori che non sono in grado di trovare un impiego nel settore privato. La scorta si espande (diminuisce) quando l’attività del settore privato diminuisce (si espande). Il lavoro garantito svolge questa funzione di assorbimento per ridurre al minimo i costi associati all’andamento dell’economia. Così il governo assorbe continuamente i lavoratori cacciati dal settore privato. Ai dipendenti ‘di scorta’ verrebbe pagato il salario minimo, che definisce un salario minimo per l’economia”.
In un certo senso, questo mi ricorda l’idea del reddito di base universale (Universal basic income – Ubi). Anche l’Ubi è una sorta di rete di protezione del capitalismo, fornendo un reddito di base alle persone anche se non lavorano. Il lavoro garantito, invece, offre un salario minimo se vuoi lavorare. Ma entrambi non minacciano o sostituiscono la struttura salariale del settore capitalista o le decisioni del capitalista su chi impiegare e a quali condizioni. Come dice Mitchell: “Per evitare di disturbare la struttura salariale del settore privato e garantire che il lavoro garantito sia coerente con un’inflazione stabile, il tasso salariale del lavoro garantito è meglio fissarlo al livello del salario minimo”.
E che tipo di lavoro darà? Per definizione, non saranno posti di lavoro qualificati in quanto il governo assumerà gli esclusi dal mercato. Ma questi saranno comunque utili in progetti non-profit come la costruzione di strade, ponti, ecc: “molte attività socialmente utili tra cui progetti di rinnovamento urbano e altri ambientali ed edilizi (rimboschimento, stabilizzazione delle dune di sabbia, controllo dell’erosione della valle del fiume e simili), l’assistenza personale ai pensionati e altri programmi comunitari. Ad esempio, gli artisti creativi potrebbero contribuire all’educazione pubblica come inttrattenitori peripatetici”.
Quando leggo questa esposizione, mi viene in mente il New Deal di Roosevelt degli anni ‘30. Con la Works progress administration [la più grande agenzia del New Deal che diede lavoro a milioni di persone nella costruzione di opere pubbliche, ndt] molti disoccupati furono stati impiegati su una vasta gamma di progetti di lavori pubblici finanziati dal governo, costruendo ponti, aeroporti, dighe, uffici postali, ospedali e centinaia di migliaia di chilometri di strade. Il reddito di base era tutti qui. Ma ha risolto il problema della disoccupazione altissima prodottasi durante la Grande Depressione? Bene, nel 1933 il tasso di disoccupazione raggiunse il 25%; nel 1938 era del 19%; quindi non un grande successo. Gli esponenti della MMT diranno che ciò è avvenuto perché le cose non sono state fatte bene in quanto Roosevelt ha continuato a cercare di far quadrare il bilancio del governo, non a gestire i deficit in modo permanente.
Il lavoro garantito, dunque, serve a fornire posti di lavoro solo al salario minimo. Ciò mi ricorda anche le famigerate “riforme” del lavoro Hartz in Germania all’inizio degli anni 2000 che hanno creato programmi per i disoccupati al minimo salariale. Il tasso di disoccupazione è diminuito, ma i salari reali sono rimasti fermi. Mentre la disoccupazione è al livello più basso dalla riunificazione tedesca nel 1990, circa il 9,7% dei tedeschi in attività vive ancora al di sotto della soglia di povertà, definita come reddito pari a circa 940 euro al mese o meno. In effetti, i lavoratori poveri sono aumentati rispetto al 7,5% del 2006 e oggi, secondo i dati di Eurostat, la loro quota è addirittura maggiore della media UE che è del 9,5%.
Per sapere come i lavori a salario minimo si inseriscono nel contesto tedesco, si legga questo articolo.
L’altro problema della spesa pubblica senza freni ispirata alla MMT è l’inflazione. Lo stato può controllare ed emettere moneta e i governi possono rimanerne mai senza, ma il settore capitalista controlla la tecnologia, le condizioni di lavoro e il livello di abilità e intensità della forza-lavoro. In altre parole, la produttività del lavoro (il valore reale) non è sotto il controllo dello stato e della sua stamperia di dollari. Quindi un’economia è limitata dalla produttività e dalle dimensioni della forza-lavoro nel caso essa sia completamente occupata. Se il governo continua a pompare denaro quando la produzione non può essere ulteriormente aumentata, seguirà l’inflazione dei prezzi delle materie prime e/o l’inflazione nelle attività finanziarie speculative.
Gli esponenti della MMT sono a conoscenza di questo problema. Bill Mitchell afferma: “quando il livello dell’attività del settore privato è tale che le pressioni sui prezzi salgono come precursore di un episodio inflazionistico, il governo può manipolare gli assetti di politica fiscale e monetaria (preferibilmente la politica fiscale) per ridurre il livello della domanda del settore privato”. In altre parole, il governo taglierà la spesa o aumenterà le tasse e/o i tassi di interesse nello stile dominante (mainstream) tradizionale. Come afferma Randall Wray: “La soluzione è evitare di spendere di più una volta raggiunta la piena occupazione; e fare attenzione alla spesa anche prima della piena occupazione per evitare strozzature”.
Quindi siamo tornati alla gestione macroeconomica keynesiana, qualcosa che ha clamorosamente fallito negli anni ’70 quando le economie capitaliste hanno sperimentato la stagflazione, cioè l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione allo stesso tempo. La ragione è che l’inflazione e l’occupazione non sono sotto il controllo dello stato in un’economia capitalista, ma dipendono dalla redditività del capitale e dalle decisioni di investimento dei capitalisti. La MMT, quindi, offre solo una rete di protezione agli investimenti capitalisti e all’occupazione, non un’alternativa.
Se c’è inflazione interna che frena le esportazioni di un paese, gli esponenti della MMT propongono di far fluttuare la valuta. Quindi nessun controllo sui capitali e interferenze nei mercati valutari. Randall Wray: “Lascerei che il dollaro fluttuasse”. Ciò potrebbe andar bene agli Stati Uniti, dove la valuta, il dollaro, è la valuta di riserva internazionale e deve essere detenuta da stati e società straniere se vogliono fare affari. Ma questa non è la situazione per le economie capitalistiche più piccole, in particolare le cosiddette economie emergenti. Se l’inflazione prende piede perché il governo sta stampando pesos, lira o bolivaros senza sosta per cercare di mantenere la piena occupazione mentre la produzione capitalista sta crollando, il risultato sarà l’iperinflazione. E se quelle valute fluttuano senza alcun controllo, il valore delle valute precipiterà – come in Turchia, Argentina, Venezuela, ecc.
Tutto questo dimostra che la MMT è una teoria orientata agli Stati Uniti e l’Australia e con prescrizioni politiche che non sono applicabili alla maggior parte delle economie a livello globale – proprio come la teoria e la politica keynesiana. Lo stato può controllare l’emissione della sua valuta ma non può controllare il suo valore rispetto ad altre valute o all’oro, il denaro mondiale. Se la fiducia nel valore di una valuta viene persa, allora il suo valore collasserà, aumentando l’inflazione.
I leader laburisti si oppongono all’austerità, la politica dominante (mainstream). Ma non vogliono una politica che comporti il rovesciamento delle relazioni economiche capitalistiche, che è troppo spaventosa, rischiosa e non ‘realistica’; quindi favoriscono politiche che pensano possano invertire l’austerità senza minacciare il capitalismo, come il finanziamento del deficit di tipo keynesiano. La MMT offre una nuova giustificazione teorica al finanziamento del deficit permanente: lo stato controlla il denaro come unità di conto e quindi non c’è limite alla spesa pubblica e l’aumento del debito pubblico non è nulla di cui preoccuparsi. L’unico limite è quando le risorse si esauriscono e quindi l’inflazione può verificarsi. Quello è il momento di tassare.
In questo modo, la MMT agisce come una rete di protezione per il capitalismo: lo stato è il datore di lavoro di ultima istanza, ma non il principale datore di lavoro. Per tanto essa mira a compensare (rattoppare) i fallimenti della produzione capitalistica, non a rimpiazzarla.
Articolo apparso sul blog dell’autore il 5/02/2019
Traduzione a cura di Alessandro Bartoloni
Le enfasi (grassetti e corsivi) quando non diversamente specificato sono del traduttore
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