Una nuova prospettiva per la preparazione e la mitigazione delle pandemie
di LA CITTA’ FUTURA (Mirco Nacoti et al.)
Durante una pandemia l’approccio terapeutico centrato sul singolo paziente si è rivelato inadeguato e dev’essere sostituito da un approccio orientato alla comunità. Servono soluzioni al Covid-19 per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali. Il dispiegarsi della catastrofe nella ricca Lombardia potrebbe verificarsi in qualsiasi altra regione. I medici che si sono trovati nell’occhio del ciclone richiamano l’attenzione su una strategia a lungo termine per affrontare le future pandemie.
Noi lavoriamo all’ospedale Giovanni XXIII, in un reparto con 48 letti di terapia intensiva, un servizio nuovo allestito in occasione del focolaio di Covid-19 che si è sviluppato in una città di medie dimensioni qual è Bergamo. Si tratta di uno dei focolai dell’epidemia italiana che al 20 Marzo 2020 faceva registrare 4.305 casi, il più alto numero verificatosi a quella data in Italia. La Lombardia è tra le regioni più densamente popolate e con livelli economico-sociali più alti in Europa, e attualmente la regione italiana più colpita dall’infezione provocata dal nuovo Coronavirus. L’OMS riportava in data 18 marzo 2020 in Europa un numero di casi confermati in laboratorio pari a 74.346, di cui 35.713 nella sola Italia.
Il nostro stesso ospedale è altamente contaminato e siamo ben oltre il punto di non ritorno. 300 dei 900 posti letto totali sono occupati da pazienti affetti dal coronavirus attuale. Un buon 70% dei letti di terapia intensiva del nostro presidio sono riservati ai pazienti critici affetti da Covid-19, con una ragionevole speranza di sopravvivenza. La situazione qui è sconfortante e ci troviamo ad operare molto al di sotto del nostro standard normale di cura. I tempi di attesa per accedere ai letti di terapia intensiva sono eccessivi. Non riusciamo più a garantire la rianimazione ai pazienti più anziani che di fatto vengono lasciati morire da soli e senza le appropriate cure palliative. La notizia della morte di un paziente viene comunicata ai parenti per telefono da qualcuno di noi medici che si assume questo ingrato compito al termine di giornate faticose che ci svuotano emotivamente, e per lo più la notizia la dà un sanitario che non aveva avuto precedenti contatti con i familiari.
La situazione sul territorio è persino peggiore: la maggior parte degli ospedali nella Provincia di Bergamo sono sovraffollati e prossimi al collasso operativo, dal momento che non sono disponibili farmaci, ventilatori meccanici, ossigeno e dispositivi di protezione individuali in quantità sufficiente. Abbiamo dovuto ricoverare pazienti su materassi sistemati sui pavimenti. Il sistema sanitario sta lottando per garantire servizi ospedalieri regolari – anche quelli legati al parto e alla gravidanza, ma nel frattempo i cimiteri vanno riempiendosi con il rischio che si creino altri problemi di igiene pubblica.
Dentro l’ospedale i medici, gli infermieri e il personale ausiliario combattono da soli per mantenere il sistema in funzione. Fuori dell’ospedale le comunità locali sono state dimenticate e ad esempio programmi di vaccinazione e altri servizi di base sono in stand-by. In questo frangente le prigioni sono diventate una polveriera pronta a esplodere dal momento che il sovraffollamento rende impraticabile un adeguato distanziamento sociale fra I detenuti. Siamo stati dichiarati in stato di quarantena dal 10 marzo scorso. Sfortunatamente il mondo là fuori sembra inconsapevole che a Bergamo questo focolaio è andato fuori controllo.
I sistemi sanitari di tipo occidentale sono stati costruiti attorno al concetto di assistenza centrata sul paziente, ma un’epidemia richiede un cambiamento di prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità. Quello che stiamo imparando dolorosamente a nostre spese è che ci servono esperti di Salute Pubblica ed epidemiologia, ma questo non è ancora un elemento messo a fuoco dai decisori delle politiche sanitarie, sia a livello nazionale, sia regionale, sia di chi ha la responsabilità di gestire gli ospedali.
Ci mancano le competenze e le conoscenze specifiche sulle situazioni di epidemia, che ci orientino nell’adottare buone pratiche per ridurre comportamenti che impattano in senso negativo sulla diffusione dell’epidemia. Per esempio, stiamo imparando che gli ambienti ospedalieri possono essere i maggiori vettori del Covid-19, nel momento in cui si riempiono di pazienti infetti, facilitando la trasmissione a pazienti non infetti. Il trasporto dei pazienti viene garantito dal nostro sistema regionale, ma anche questa fase contribuisce a diffondere la malattia dal momento che le ambulanze si contaminano e il personale si infetta velocemente trasformandosi in vettore del Covid-19. Di fatto gli operatori sanitari che si infettano diventano portatori asintomatici o malati non posti sotto sorveglianza; alcuni di loro poi corrono il rischio reale di morire, compresi medici e infermieri giovani d’età, il che aumenta lo stress di quelli che sono in prima linea.
Sono necessarie soluzioni alla pandemia per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali. Questo disastro potrebbe essere evitato solo da un massiccio dispiegamento di servizi sanitari di tipo mobile e dislocati sul territorio e al domicilio del paziente. Le cure a domicilio e le unità cliniche mobili evitano movimenti inutili e possono convenientemente servire a ridurre la pressione sugli ospedali.
L’ossigenoterapia precoce, l’impiego di saturimetri che rilevino l’ossigenazione del paziente e la nutrizione possono essere erogati nelle case dei pazienti affetti da forme cliniche leggere di Covid-19 e ai convalescenti, istituendo un ampio sistema di sorveglianza con adeguato isolamento e sfruttando gli strumenti innovativi della telemedicina. Questo approccio avrebbe l’obiettivo di limitare il ricovero in ospedale ai casi clinici gravi della malattia, riducendo così il contagio, proteggendo i pazienti e gli operatori sanitari e minimizzando il consumo di dispositivi di protezione.
Negli ospedali, la protezione del personale medico dovrebbe essere prioritaria. Nessun compromesso dovrebbe essere fatto sui protocolli e l’attrezzatura deve essere disponibile in quantità adeguata. Le misure per prevenire l’infezione devono essere attuate in modo massiccio, in tutte le località e compresi i veicoli e I mezzi di trasporto pubblico e privato. Abbiamo bisogno di reparti e operatori ospedalieri Covid-19 dedicati e da tenere separati dai reparti e dalle aree libere da virus.
Questo focolaio è più di un’evenienza di terapia intensiva, piuttosto è una crisi di salute pubblica e umanitaria. Richiede l’intervento e le competenze multidisciplinari di sociologi, epidemiologi, esperti di logistica, psicologi che assistano pazienti e personale sanitario e operatori sociali. Abbiamo urgentemente bisogno di agenzie umanitarie che riconoscano l’importanza dell’impegno locale.
L’OMS ha espresso profonda preoccupazione per la diffusione e la gravità della pandemia e per i livelli allarmanti di inazione. Tuttavia, sono necessarie misure audaci per rallentare l’infezione. Il blocco è fondamentale, come si è visto che il distanziamento sociale ha ridotto la trasmissione di circa il 60% in Cina; ma si verificherà probabilmente un ulteriore picco quando le misure restrittive saranno allentate per evitare il grave impatto economico conseguente alle misure imposte di lockdown.
Abbiamo bisogno di un piano condiviso e a lungo termine per la prossima pandemia. La comunità internazionale ha fortemente bisogno di un punto di riferimento condiviso per comprendere e combattere l’esplosione di nuovi focolai infettivi. Il coronavirus è l’Ebola dei ricchi e richiede uno sforzo transnazionale coordinato. Il Covid-19 non è particolarmente letale, ma è molto contagioso. Più la società è medicalizzata e centralizzata, più il virus si diffonde. Questa catastrofe che si sta dispiegando nella ricca Lombardia potrebbe capitare ovunque.
Articolo originale: At the Epicenter of the Covid-19 Pandemic and Humanitarian Crises in Italy: Changing Perspectives on Preparation and Mitigation | Catalyst non-issue content pubblicato il 21 Marzo 2020 su NEJM Catalyst – sezione del New England Journal Of Medicine dedicata all’innovazione nei servizi sanitari e firmato da: Dr. Mirco Nacoti, Ing. biomedico Andrea Ciocca, Dr.Angelo Giupponi, Dr. Pietro Brambillasca, Dr. Federico Lussana, Dr. Michele Pisano, Giuseppe Goisis, PhD, Dr. Daniele Bonacina, Dr. Francesco Fazzi, Dr Richard Naspro, Dr. Luca Longhi, Dr. Maurizio Cereda, Dr Carlo Montaguti.
Traduzione a cura di Ida Paola Sozzani
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