Algeria: la crisi di Bouteflika senza competitors né delfini
di L’INDRO (Redazione)
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Il risveglio della popolazione, che ha vissuto un netto peggioramento delle condizioni di vita e ha voglia di rinnovamento, ma è anche consapevole che Bouteflika potrebbe significare stabilità, la confusione interna di un Governo che pare non abbia linea e idee. Ne parliamo con Federico Borsari
Domenica sera i cittadini dell’Algeria sono tornati in piazza. Le immagini sui socials raccontano di nuovo un diffuso malcontento tra la popolazione più giovane. Il Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika si candida per il suo quinto mandato. Sono passati venti anni dalla sua prima elezione. Si teme il disordine in tutta la regione, tutto il mondo guarda ad Algeri. Un partner ricco di gas naturale che lascia sulle spine molti uomini potenti.
Il 18 aprile si vota alle elezioni presidenziali, venti gli aspiranti candidati alla presidenza algerina. Ieri è scaduto il termine per la presentazione delle candidature. Il Consiglio costituzionale ha dieci giorni di tempo per esprimersi sulla validità delle candidature. Il Presidente Bouteflika ha ottantadue anni, la sua salute non gli permette neanche di presentare personalmente, come richiederebbe la legge, la sua candidatura che infatti è stata presentata dal nuovo capo della sua campagna elettorale, Abdelghani Zalane, essendo il Presidente ancora in Svizzera a curarsi. Il suo ultimo discorso pubblico risale a sette anni fa. La sua candidatura è stata presentata ieri sera, mentre gli studenti venivano tenuti lontani da idranti e lacrimogeni, studenti che poi hanno manifestato tutta la notte. Si è difronte ad un regime ‘anziano e sordo’, che presto avrà bisogno di un apparecchio acustico, dicono i ragazzi che da Algeri a Parigi manifestano.
Secondo quanto si apprende oggi dai media algerini, hanno formalizzato la partecipazione alle elezioni anche il leader del Front Al-Moustakbel, Abdelaziz Belaid, e il leader del partito Ahd 54, Ali Fawzi Rebaine, che si erano già candidati alle precedenti elezioni. Per la sfida sono scesi in campo il presidente del Movimento El Infitah, Omar Bouacha, il leader del partito Rassemblement algérien (Ra), Ali Zeghdoud, e gli ‘indipendenti’ Abdelhakim Hamadi, Ali Ghediri, Abdechafik Senhadji, Ali Skouri, Mohamed Boufarache, Amara Mohcen, Ben Tabi Ferhat, Loth Bonatiro, Chabane Rezzouk e Ayeb Raouf.
Fra gli aspiranti candidati ci sono il capo del Partito della vittoria nazionale (Pvn), Adoul Mahfoudh, e il leader del movimento El-Bina
Abdelkader Bengrina. Corrono per la presidenza algerina il capo del Fronte dei giovani democratici per la cittadinanza (Fjdc), Ahmed Gouraya, e il segretario generale del Fronte del buon governo (Fbg)
Aissa Belhadi. Si è candidato anche Rachid Nekkaz, cugino omonimo del più noto del noto imprenditore franco-algerino.
Il Presidente algerino è appoggiato da una ‘oligarchia’ solida ed innervata: su tutti il settantanovenne Generale Ahmed Gaid Salah, capo delle forze armate da quindici anni. Il Generale definisce «ingrati» i manifestanti e giura assoluta fedeltà a Bouteflika, in cambio del mantenimento dei propri privilegi ricevuti. Bouteflika rimane molto influente, anche se lontano da Algeri. Il Primo Ministro Ahmed Ouyahia sostiene la candidatura del Presidente, a nome del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), partito algerino di maggioranza.
L’opposizione, intanto, rimane debole e, secondo alcuni osservatori, sembra non lavorare per creare un’alternativa: gli altri candidati registrano basso gradimento. L’ex Generale, Ali Ghediri ed il conservatore Abderrazak Makri sono gli esponenti più quotati. Tutti, però, sembrano cercare un vantaggio dalla probabile transizione di potere. Nessuno parla con la popolazione, nessuno con gli studenti, secondo quanto lamentano i manifestanti.
Ad Algeri convergono molte linee diplomatiche.
A Parigi centinaia di persone hanno manifestato questa domenica. Place de la République è passata dal giallo dei gilets al biancoverde delle bandiere algerine. Il legame storico e le mille dispute passate tra i due Paesi preoccupano il Presidente francese Emmanuel Macron. La Francia è patria di un milione di algerini, oltre che di immense quantità di gas algerino importato. Non è un caso se oggi il Ministro degli Esteri francese ha mostrato distanza: la Francia ha preso atto della decisione del Presidente algerino Bouteflika di candidarsi alle elezioni il prossimo aprile e spera che la votazione si svolga nelle migliori condizioni possibili. «Spetta al popolo algerino decidere chi scegliere come leader e spetta al popolo algerino decidere sul proprio futuro», ha commentato il Ministero degli Esteri. In realtà Parigi segue molto da vicino la sua ex colonia, con non poca preoccupazione per i suoi interessi energetici e non solo.
Tra Russia ed Algeria è forte la cooperazione diplomatica e militare. Mosca vende armamenti ad Algeri, la quale rappresenta la seconda forza militare in tutta l’Africa. Algeri contrasta il terrorismo jihadista nella regione e mantiene rapporti altalenanti con il vicino Marocco.
L’Algeria esporta gas naturale, la sua economia si regge su questo. L’intero Paese è dipendente dal mercato degli idrocarburi. Il recente calo dei prezzi ha significato una riduzione delle spese sociali. Intanto, il potere politico stenta a creare un’economia differenziata. La popolazione chiede un cambiamento anche in questa direzione.
Nella domenica appena trascorsa non si sono registrati duri scontri. Nello scorso venerdì, giorno santo di preghiera, le piazze si sono colorate di bandiere e slogans di protesta e speranza. Le forze dell’ordine hanno provocato un morto e quasi duecento feriti. Molti studenti e attivisti parlano di ‘rivoluzione’. Chissà se presto si parlerà di una ‘primavera araba’.
Ma un’altra ‘rivoluzione araba’ potrebbe significare tante cose. In ordine sparso: democratizzazione, disordine, rivoluzione, scontro armato, pace. Si apre un interessante scenario, ne abbiamo parlato Federico Borsari, ricercatore ISPI per l’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa.
Le proteste in Algeria sono il segnale di una nuova ‘primavera araba’? La società algerina continua quello iniziato quasi dieci anni fa?
Sicuramente le proteste di questi giorni rappresentano un colpo di scena per il contesto nordafricano recente. Rispetto al 2011 ci sono differenze. Al tempo l’Algeria era riuscita a mantenere una certa stabilità interna grazie a concessioni politiche e provvedimenti temporanei. Non di certo una riforma strutturale, ma misure temporanee per garantire un certo welfare alla popolazione. Le proteste di questi giorni vanno viste come un risveglio della popolazione, che ha vissuto un netto peggioramento delle condizioni di vita. In particolare, il ceto medio soffre il carovita. Questa crisi economica è legata alla dipendenza cronica del Paese dal settore degli idrocarburi. Dal 2014 il petrolio cala di prezzo, questo ha costretto l’economia algerina a tagliare la spesa sociale. Il malcontento è scoppiato da questa situazione.
La lettera letta in televisione del Presidente Bouteflika apre a riforme e nuove elezioni presidenziali in un anno. Dovremmo credergli?
Possiamo anche credergli, ma non mi spiego la proposta. Essere rieletto, concedere riforme e poi aprire nuovamente le urne è un nonsense confusionario. Tanto vale lasciare spazio agli altri candidati. Non si capisce quale sia la linea che stia seguendo il Governo. C’è parecchia confusione interna. Dal 2013, il Presidente Bouteflika è un condizioni mediche precarie. Intanto, la disoccupazione giovanile è al 30%, è molto alta. Se all’inizio del 2018 il Governo era riuscito ad arginare le proteste, ora non riesce a dare un’alternativa alla popolazione, menchemeno una linea possibile di riforma. La popolazione è stanca di una classe dirigente distante e statica. La ricandidatura di Bouteflika palesa l’incapacità di innovazione politica dei dirigenti algerini. Ha bisogno di riforme politiche, soprattutto in campo economico con una diversificazione dell’economia.
L’opposizione politica debole (quasi assente) non sembra in grado di sostituirlo: c’è un ‘rampollo designato’ o una figura di spessore come alternativa?
Non vedo nessuna alternativa concreta al Presidente uscente. Regna la confusione in questo senso, il Presidente non dialoga con la popolazione e i candidati non sono abbastanza efficaci. L’opposizione politica è frammentata. Bouteflika rimane il favorito alle elezioni e mantiene il rispetto di gran parte della popolazione. Infatti, è considerato uno dei principali fautori dell’uscita del Paese dalla ‘decade nera’ degli anni Novanta, dalla guerra civile. Da un certo punto di vista, la popolazione ha voglia di rinnovamento, ma è anche consapevole che Bouteflika potrebbe significare stabilità. Ma pare che questo equilibrio si stia modificando a favore del rinnovamento sociale e politico.
Cosa rischia la regione del maghreb nel caso di instabilità algerina?
Il rischio di destabilizzazione esiste. Ma non deve essere magnificato. Resta da capire come si schiererà l’Esercito, che sono il centro di potere più efficace nel garantire stabilità. Per ora si sono trattenute dal prendere una posizione diversa da quella attuale: continuano a sostenere il Presidente Bouteflika. E, soprattutto, bisogna vedere se il Governo si aprirà alle richieste dei rappresentanti, concedendo qualche riforma. Il deterioramento della situazione interna porterebbe a più proteste esacerbate dall’aumento della repressione e dalla mancata apertura del Governo. Questo porterebbe a una grave instabilità nel Maghreb. Non dimentichiamo che la Libia vive, tuttora, una situazione di blackout istituzionale. E, poi, rimane aperta la ferita del Sahara occidentale con il Marocco. Le relazioni hanno vissuto un breve miglioramento con la candidatura congiunta (Marocco-Algeria) per i mondiali di calcio del 2030. Il fallimento di questa ha portato tutto alla situazione iniziale. Ora stanno vivendo una fase di stallo nelle relazioni. Nei mesi scorsi, il Marocco ha cercato di riavvicinarsi all’Algeria, anche tramite l’Unione del Maghreb arabo (UMA), senza ottenere una risposta positiva. Questa fase di stallo non ha soluzioni nel futuro prossimo. Rimane una scatola chiusa, in questo senso.
Le immagini delle bandiere algerine in centro a Parigi hanno fatto il giro del mondo. Quanto conta la Francia nella vicenda? Come si schiera Macron?
Alla Francia interessa il rispetto ed il mantenimento della stabilità interna algerina. La compagnia petrolifera francese, Total è partner strategico e importante per l’algerina Sonatrach. Logicamente, ha interesse vivo nella stabilità dell’area. Sono recenti alcuni accordi tra le due agenzie petrolifere per trivellazioni offshore. Dal punto di vista politico, non ci sono particolari richieste dalla Francia, se non quella di una transizione politica il più pacifica possibile. Oltre che il mantenimento dell’ordine interno e della stabilità. Senza che ci sia recrudescenza del regime contro i manifestanti. Importanti sono anche le aspettative e le speranze dei vari Paesi europei: la Spagna (con Repsol) importa dall’Algeria metà del suo fabbisogno di gas naturale, l’Italia (con ENI) il 37%. Questi numeri non sono indifferenti alle economie e ai governi europei.
La Russia è partner strategico da tempo, dobbiamo aspettarci un altro campo di prova per lo ‘zarismo’ di Putin?
L’interesse russo riguarda il rispetto dell’ordine interno e degli accordi economici. I due Paesi hanno un legame solido nel campo militare: l’Algeria è il terzo Paese per acquisti di armamenti russi. Inoltre, sono in programma altri progetti per ampliare la loro collaborazione. Ad esempio, la produzione di componenti dell’autovettura Lada in Algeria. Questo sforzo mira ad ampliare la presenza russa nell’area. La stabilità interna dell’Algeria è fondamentale per la Russia. La transizione, in ogni caso, deve essere il meno ‘dolorosa’ possibile.
In Libia, Italia e Francia hanno già avuto attriti. La diplomazia nell’area è spesso legata al petrolio. In Algeria si rischia una vicenda simile tra ENI e Total?
Sarebbe irrealistico parlare di un’unione di intenti a livello europeo. In Libia è avvenuta una rinnovata competizione per l’approvvigionamento energetico e per accordi diplomatici privilegiati. Per il bene di Italia e Francia sarebbe auspicabile una risposta unanime e compatta. Ma gli interessi in gioco possono lasciare qualche dubbio. Le due Nazioni cercano di accrescere le proprie partnerships in Algeria: c’è una competizione in corso, ma non c’è un gran pericolo per ora. Bisognerà vedere come si evolve la situazione.
Gli Stati Uniti come si posizionano nella vicenda?
I rapporti con l’Algeria non sono stati particolarmenti intensi negli ultimi anni. Il primo obiettivo è regionale: gli Stati Uniti puntano alla stabilità dell’area. Anche alla luce di quello che è successo in Libia nel 2011. Il secondo obiettivo riguarda la lotta al terrorismo. In particolare, la cooperazione delle forze armate dell’area nella lotta al terrorismo jihadista. A febbraio gli Stati Uniti hanno promosso un’esercitazione congiunta con le forze algerine e altri Paesi africani per promuovere la stabilità e il dialogo tra i Paesi. Soprattutto tra Marocco ed Algeria. Fondamentale, però, rimane la lotta degli Stati Uniti per la Presidenza Trump.
Fonte: https://www.lindro.it/algeria-la-crisi-di-bouteflika-senza-competitors-ne-delfini/
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