Uno spettro si nasconde dietro “Il trono di spade”…
di GENNARO SCALA (FSI Bologna)
Devo fare subito una sorta di avvertenza spoiler, di seguito analizzeremo tanto esteticamente che politicamente la favola del potere dal nome Il trono di spade, quanti credono invece che si tratti solo di un innocuo divertimento, da non prendere sul serio, possono anche abbandonare la lettura. Noi educati nelle scuole delle nazioni europee “continentali”, e quel noi sottende anche chi scrive, conserviamo un ingiustificato senso di superiorità, o giustificato solo dalle passate glorie, nei confronti della cultura statunitense (e vedo già qualcuno storcere il naso al termine “cultura statunitense”) . Gli statunitensi sono ignoranti, semianalfabeti, non sanno neanche dove si trovano le nazioni che il loro governo bombarda ecc. Si tratta di una specie di “formazione reattiva” direbbero gli psicologi, o comunque una forma di subalternità mascherata da “atteggiamento critico”, una reazione mentale all’effettiva nostra subordinazione, anche culturale, agli Usa.
Il risultato è che solitamente dagli Usa viene importato prevalentemente solo quanto è privo di valore, la quantità enorme di paccottiglia che riversano nel nostro tempo libero attraverso i loro canali mediatici, mentre invece quanto di valido producono in generale viene da noi poco apprezzato e valorizzato. Si è passati dal rifiuto “apocalittico” della “cultura di massa” al consumo onnivoro e acritico “integrato” al sistema, senza mai instaurare un filtro critico che possa separare quanto è valido da quanto è nocivo dal punto di vista culturale.
Per quanto riguarda l’oggetto della nostra riflessione, ho superato davvero la diffidenza verso questo prodotto dell’industria culturale statunitense soltanto con l’ultimo episodio, pur avendo visto tutte le puntate delle otto stagioni. Ero persino convinto che sfociasse, dopo il penultimo episodio, il più sconvolgente, in qualche forma sofisticata di apologia dei “massacri umanitari”. Certo dei motivi c’erano, le dosi massicce di “sesso e violenza”, che pare siano un must per una “serie di successo”, difficilmente ne fanno un prodotto consigliabile a fini educativi, altrimenti la fiaba sarebbe ideale per scopi didattici (come pur qualcuno suggerisce nel web), invogliando i giovani fans a ricercare i tantissimi riferimenti storici, a partire dalle principali casate in lotta, che altre non sono che i Lancaster e York, sotto appena mentite spoglie, le due casate in lotta la cui reciproca estinzione portò all’affermazione della dinastia dei Tudor, che diede il via all’unificazione dell’Inghilterra e allo stato moderno. Inoltre, la ricchezza di vicende, conflitti e colpi di scena, non può che far pensare per contrasto alla vita alquanto smorta in un mondo occidentale quanto mai povero di movimenti politici e culturali, insomma che questa serie, come le tante prodotte negli ultimi anni, volesse offrire una forma di compensazione alla vita piuttosto priva di avvenimenti di noi spettatori.
Il prevalere esclusivo dell’evasione e dell’intrattenimento, sempre più spinto, è un problema comune a tutta la produzione mediatica odierna, ma Il trono di spade non è solo intrattenimento, come ogni opera d’arte (sic!) sa intrattenere, divertire e allo stesso tempo dare un senso all’esperienza che facciamo del mondo. La serie possiamo ascriverla al genere del realismo fantastico, categoria non molto diffusa nell’ambito dell’estetica, ma è la stesso genere de L’Orlando furioso, il tema centrale non è però l’eros, la nuova concezione del rapporto amoroso che si afferma all’inizio dell’era moderna nel Rinascimento, è invece il conflitto, nello specifico la spietata lotta per il potere che dovrà decidere a chi spetta il “trono di spade”.
L’ambiente in cui si muovono i personaggi è quello del fantasy, draghi, donne guerriere, figure della notte, lupi, i loro rapporti (di potere) sono invece descritti alla luce del più crudo realismo machiavelliano. Si tratta di un mondo pagano, quello delle saghe nordiche, il cristianesimo è assente sul piano valoriale, compare nella figura dell’Alto Passero, incarnazione del Savonarola, per alcuni versi, per venire liquidato niccianamente come una forma di volontà di potenza che si manifesta in modo perverso come umiltà e devozione che nascondono uno smodato desiderio di potere.
Tale paganesimo può sembrare incongruente con l’ambientazione della serie, sebbene il fantasy conferisca una notevole libertà sul piano spazio-temporale, grosso modo siamo collocati all’inizio dell’era moderna, tuttavia corrisponde ad un certo paganesimo della cultura di massa, si pensi alla musica rock (I Pink Floyd a Pompei per dirne una), che spesso diventa una forma di paganesimo auto-demonizzante. Questo deriva dal fatto ci troviamo a far i conti con due eredità contrastanti: quella greco-romana e quella cristiana. Se si vuole avere un’idea visiva di come tale eredità resti viva nei nostri stessi costumi, si pensa alle donne romane in bikini nei mosaici dell’epoca che si sono conservati fino a noi, mentre invece il Cristianesimo ha un rapporto con il corpo che è più simile a quello islamico. Goethe ha provato a mettere d’accordo queste due eredità nel Faust, ma è un compito alquanto arduo.
Che Machiavelli sia tra i principali ispiratori della saga è chiarito da Goerge R. R. Martin, l’autore dei romanzi a cui la serie si ispira in un’intervista alla Bbc (26/11/2013). La serie televisiva diverge in vari punti dal romanzo originale, ma l’impronta machiavelliana è stata conservata. A cominciare dal primo personaggio Ned Stark, il re giusto e leale, destinato a “ruinare tra quanti buoni non sono”, inaugurando una serie di personaggi amati dal pubblico in quanto “eroi positivi”, ma fatti “ruinare” dagli sceneggiatori, infatti la sistematica eliminazione dei personaggi più amati e popolari è stata una delle caratteristiche della serie, fino ad uno dei più amati di tutti Jon Snow, che però hanno dovuto far resuscitare a furor di popolo.
L’eliminazione di Jon era in effetti ingiustificata, un colpo di scena gratuito, in quanto egli è fedele al suo ruolo di guerriero custode dell’ordine, estraneo e lontano dagli intrighi politici, verrà acclamato Re del Nord, ma perché lo hanno trascinato in questo ruolo che non è il suo, e lo cede volentieri Daenerys, e non ha davvero intenzione di reclamare il suo diritto al trono di spade. L’eliminazione di Daenerys, l’altro grande personaggio più amato, invece non è affatto ingiustificata, come hanno sostenuto i suoi tanti ammiratori. Quelli “di sinistra” (ma se si va ad indagare si scoprirebbe che essa è stata amata anche “a destra” quale “grande conquistatrice”) hanno sostenuto che in Daenerys si è voluto infangare ogni idea di trasformazione sociale (ad es. Slavoj Žižek in un articolo dell’Indipendent), attribuendogli un comportamento ingiustificato, o giustificato solo dal “maschilismosciovinismo” che vede di cattivo occhio le donne al potere perché in quanto tali irrazionali. Autentica sciocchezza politicamente corretta, relativamente ad una serie che ha visto un deciso protagonismo femminile.
Sansa non diventa regina del Nord? Il gesto finale di Daenerys è stato uno dei più grandi “colpi di scena” dell’intera serie, che ne ha visti tanti, ma è coerente con l’evoluzione del personaggio. Gli estimatori della bionda conquistatrice avrebbero dovuto notare che fin dall’inizio guidava un esercito di ex-schiavi, liberati certo, ma che obbedivano ciecamente ai suoi ordini. Anche il suo desiderio di essere amata, è una forma di imposizione, gli altri debbono amarla. Il fine che persegue, è l’estensione potenzialmente a tutti i popoli conosciuti della libertà, però priva di contenuti, potremmo dire diritti civili contro diritti sociali. È spinta dal desiderio inviduale di rivalsa in quanto ex-schiava. È una politica che non corrisponde al bisogno comunemente sentito di porre termine alla guerra come fa notare Tiryon a Jon nel dialogo finale. È la ricerca della libertà priva di contenuti, è la sua libertà. Proprio perché il suo non è un fine politico che possa essere condiviso, ma una forma di hybris, si ritrova sola alla festa per la vittoria sugli Estranei, dove capisce di essere “non amata”… allora “avranno paura di me”.
Nell’epilogo lo spettro di Machiavelli si fa avanti alla scena: il Principe dev’essere amato o temuto? Daenerys non può che scegliere la seconda opzione, Machiavelli però introduce una cruciale distinzione, il Principe deve farsi temere ma non odiare, lei invece accecata dall’odio, consapevole di non essere amata, compie un gesto che è dettato sì dalla follia, ma è una follia che ha una suo logica, brucia senza motivo l’intera città, dopo che di fatto la truppe a difesa si sono arrese, e il gesto prelude all’instaurazione di un regno del terrore, tutti si rendono conto che è pericolosa, per cui Jon, ancora innamorato di lei, a poco a poco si convince e viene convinto da Tyrion, in un dialogo davvero bello e drammatico, a mettere fine alla sua vita. Tutto è perfettamente coerente.
Alla fine, con l’uccisione di Daenerys proviamo il brivido del dramma autentico, vero, in termini letterari. Gli autori riescono a riannodare in questo ultimo episodio la trama dell’intera serie. Che la sorte di Daenerys voglia essere di ammonimento agli Usa “esportatori dei diritti umani” è reso estremamente chiaro, al limite della didascalia, nel dialogo tra Tyrion e Jon Snow. Ci sono tutte le ragioni per sostenere che Il trono di spade ha voluto promuovere una riflessione sulla politica statunitense degli ultimi decenni. Il messaggio è forte e chiaro: se gli Usa proseguiranno nella loro politica finiranno per commettere dei gravi e ingiustificati crimini simili o peggiori degli errori/orrori del passato (i pochi sopravvissuti ustionati dal drago di Danerys nella città carbonizzata di King’s Landing ricordano vivamente orrende scene del passato), e verrano odiati dai popoli che troveranno il modo per detronizzarli, oppure tutto potrebbe sfociare in un conflitto talmente orrendo che è meglio non pensarci.
Non un banale e facile pacifismo, che serve solo per far mostra di buoni sentimenti, quando non tiene conto della realtà del mondo, ma l’invito a seguire una politica razionale, il che è sempre un bene, per tutti. In breve, Il trono di spade suggerisce una svolta non solo per quanto riguarda “l’esportazione dei diritti umani”, persino per quanto riguarda il neo-liberismo perseguito finora in campo economico, Tyrion, diventato infine primo ministro, afferma che è ora di ricominciare a fare un po’ di debiti, accantonando uno dei dogmi principali del neo-liberismo. E non possiamo che essere d’accordo.
Che una serie di largo successo popolare promuova questo tipo di riflessioni è sorprendente, positivamente sorprendente, e indica un’ancora notevole vitalità del sistema sociale americano (a differenza ahimè degli stati europei), per cui si confida che gli Usa possano accogliere pragmaticamente i consigli di Tyrion, l’archetipo, insieme a Varys, dello stratega animato dal fine etico ultimo della conservazione della comunità attraverso la mediazione dei conflitti, incarnazione del segretario fiorentino, che da noi invece non trova nessun ascolto, è praticamente dimenticato dai nostri sciocchi moralisti con o senza stellette morali autoappuntate.
Incarnazione del “segretario fiorentino” Chi?