Di MICROMEGA (Daniele Francesconi)
Tra i pensatori non solo italiani, ma anche internazionali, Remo Bodei è stato forse quello che più di tutti ha saputo trasformare la storia della filosofia in una disciplina ad alta intensità teorica, delineando su alcuni temi portanti dei veri e propri «cristalli di storicità»: non puro e semplice svolgimento evenemenziale, ma comprensione delle complesse logiche dei processi storici e intellettuali.
Si pensi al modo in cui ha studiato, in opere ormai classiche, l’«uso pubblico delle passioni», dalla paura alla speranza, dal diritto alla felicità fino al potenziale (disgregatore o emancipatorio) dell’ira e del risentimento. Costruendo traiettorie ellittiche sempre attorno ai suoi autori d’elezione – Hegel e Spinoza in primo luogo, ma anche Agostino, Simmel e Pirandello – ha fatto emergere il modo in cui si è costruita la nostra soggettività privata e pubblica. Senza mai prendere il pensiero come semplice elemento sovraordinato, ha mostrato come nelle grandi configurazioni della filosofia si rifletta, e spesso si riveli nelle sue contraddizioni, la realtà in cui ci troviamo a vivere.
Pensatore della memoria – e uomo dalla memoria prodigiosa, quasi proverbiale, degna di un dotto rinascimentale – ce ne ha mostrato funzionamento e paradossi individuali e pubblici, come a volerci ricordare che la memoria va coltivata per prevenirne i brutti scherzi, tanto più sgradevoli quando affliggono la vita collettiva.
Ci sarà tempo per fare un bilancio critico di un itinerario di studi e di ricerche che ha avuto enorme ampiezza e sapienza enciclopedica. Se per esempio la modernità è stata la questione fondamentale che ha animato i suoi lavori, soprattutto per la costruzione dell’idea di soggetto e di coscienza, è vero che il quadro che ce ne ha restituito è tutto fuor che convenzionale.
Si pensi anche solo al suo ultimo lavoro, Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, che ha fatto in tempo a consegnare alle stampe alla fine dell’estate e che adesso dobbiamo leggere, purtroppo, anche come un suo testamento intellettuale. In quest’opera, che meriterebbe una discussione articolata, c’è tutto il metodo di Bodei. In una lunga curva genealogica che prende le mosse dall’antico e dal modo in cui gli schiavi furono la prima delle forme di energia, si traccia il rapporto tra coscienza e lavoro, potenzialità e vincoli dell’intelligenza, rapporto tra scienza e tecnica, fino ad arrivare al destino della soggettività umana nell’epoca delle biotecnologie e delle macchine intelligenti. La posta in gioco sono le trasformazioni delle coscienza e i modi in cui si può essere liberi. Per Bodei, questo non riguarda mai la sola filosofia, ma semmai il modo in cui la filosofia deve passare contropelo la realtà. Mai “organico”, Bodei ha incalzato la politica perché praticasse il pensiero.
Sta in questa consapevolezza che la filosofia deve farsi nella sfera pubblica ed essere destinata a tutti la ragione profonda, essenziale, dell’incontro tra Remo Bodei e il festival filosofia, di cui è stato uno dei fondatori, anima instancabile e amico fin dalla sua fondazione, anche al di là del suo ruolo istituzionale di Presidente del Comitato scientifico.
Come pochi Bodei conosceva i meccanismi dell’accelerazione storica che da tempo viviamo. Per questo credeva nella necessità di esperienze di messa in comune delle idee come quella praticata dal festival filosofia, che per sua missione cerca di essere al contempo rigoroso e popolare.
Mancherà alla cultura italiana e internazionale per l’eleganza delle sue argomentazioni e l’umanità della sua conversazione. Mancherà a tutti coloro che lo hanno conosciuto e hanno coltivato un dialogo con questo maestro, cosmopolita e globetrotter, sempre su una passerella, sempre pronto a salire sull’ennesimo aereo, sempre tra due mondi, ma anche sempre diretto a una delle tante biblioteche d’elezione che aveva in ogni città in cui ha lavorato e insegnato.
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