Jan Palach: finché qualcuno lo ricorderà, il suo esempio non sarà stato vano
di BARBADILLO (Franco Cardini)
“Quel “ragazzo di Praga”, al quale guardavamo come al Protomartire di una nuova patria, l’Europa unita, che allora c’illudevamo stesse nascendo, si era dato fuoco il 16 gennaio 1969”
Oltre mezzo secolo fa, un piccolo gruppo di studenti universitari cantava una bella canzone da pochissimi conosciuta: una canzone dedicata alla rivolta ungherese del ’56 vista in una prospettiva europeistica. Cominciava con il verso “Sto sul monte e guardo giù dove c’era una città…”; e terminava con “Ma se da noi il sogno dell’Europa non ha ancora trovato il suo poeta – un ragazzo di Praga ha acceso una luce che non si spegnerà – Jan Palach, Jan Palach…”.
Quel “ragazzo di Praga”, al quale guardavamo come al Protomartire di una nuova patria, l’Europa unita, che allora c’illudevamo stesse nascendo, si era dato fuoco il 16 gennaio 1969 in segno di protesta contro l’invasione del suo paese da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Ricorre in questi giorni, presumibilmente dimenticato o quasi o ricordato solo in contesti “di nicchia”, il cinquantaduesimo anniversario del sacrificio di quel ragazzo in onore e alla memoria del quale – poco più di mezzo secolo fa ne eravamo certi – la nuova Europa avrebbe dedicato monumenti, strade, piazze, ponti, musei e facoltà universitarie. Quella nuova patria comune, della quale l’Unione Europea è una pallida e ridicola caricatura, non è mai nata. Il sogno dell’Europa non ha ancora trovato il suo poeta e probabilmente non lo troverà mai; ha un Protomartire, ma non sa, non può, non vuole onorarlo.
Jan Palach s’ispirò, col suo gesto, ai bonzi buddhisti che nel 1963 si davano fuoco per denunziare al mondo la dittatura militare sudvietnamita sostenuta dai “consiglieri” statunitensi. Lo fece con un accendino, in piazza San Venceslao, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, dopo essersi cosparso il corpo di benzina. La sua agonia durò tre giorni, durante i quali, con costante lucidità, vide sfumare il proprio sogno insieme alla sua giovane vita. I vietnamiti hanno saputo onorare e vendicare quei loro martiri. Noi europei, no.
L’Europa libera e unita è stato il sogno politico che mi germogliò nel cuore alla fine degli Anni Cinquanta, quand’ero adolescente; al quale ho dedicato alcuni anni di purtroppo modesta e infruttuosa ma comunque onesta e impegnata esperienza politica; e al quale sono rimasto finora e continuo ancor oggi ad essere fedele. La patria che continuo nonostante tutto a considerare l’unica autenticamente “mia”, quel paese unito, libero e forte che avrebbe dovuto onorare la memoria di Jan Palach non è mai nato: ormai ottantenne, non oso ancora rinunziare a vederla un giorno perché la speranza è l’ultima a morire per quanto sia purtroppo convinto che quel giorno, se mai verrà, sia ancora lontano; e che io non avrò la gioia di assistervi.
Ma voglio comunque ricordarlo e onorarlo ancora una volta, quel ragazzo di Praga, il ricordo del quale mi ha accompagnato per oltre cinquant’anni e il sacrificio del quale mi rifiuto di ritenere inutile. Finché qualcuno lo ricorderà, il suo esempio non sarà stato vano.
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