Sardegna, l’isola dei veleni
di BYOBLU (Redazione/Gruppo di lavoro mediterraneo @CumGranoSalis)
Le festività natalizie, già tormentate dal contesto pandemico, son giunte al termine con una notizia esplosiva e tossica per tutta Italia e per il caso specifico della Sardegna.
Il 5 Gennaio 2021, durante la notte, la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) appartenente allo Stato, ha annunciato di aver reso pubblica la Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI). La CNAPI individua 67 aree in tutta Italia delle quali 14 in Sardegna che interessano 22 comuni ovvero Albagiara, Assolo, Genuri, Gergei, Guasila, Las Plassas, Mandas, Mogorella, Nuragus, Nurri, Ortacesus, Pauli Arbarei, Segariu, Setzu, Siapiccia, Siurgus Donigala, Tuili, Turri, Usellus, Ussaramanna, Villa Sant’Antonio e Villamar.
La reazione di tutta la popolazione sarda è stata immediata in tutte le sue trasversalità. Non si è certamente fatta aspettare l’Anci Sardegna sempre in prima linea nella sua unitaria contrarietà, ma non si son fatte aspettare neanche le reazioni del Presidente della RaS Christian Solinas che ha immediatamente divulgato un comunicato stampa al vetriolo pregno di diniego per il Governo centrale e risentito del fatto che lo Stato possa anche solo aver ipotizzato di impiantare il deposito unico nazionale per le scorie radioattive, con annesso parco tecnologico, proprio in Sardegna.
Da qui in poi un coro istituzionale all’unisono: dai partiti politici e comitati a vari livelli, all’ISDE Medici per l’ambiente per finire con la Diocesi di Cagliari.
In questo senso, ciò che è emerso dai media locali, dai social e dai pochissimi luoghi d’incontro fisici possibili a causa dell’emergenza pandemica, è un’indignazione generalizzata con sfumature piuttosto aggressive dei sentimenti espressi. Le condivisioni iniziali paiono sui social far emergere un coro unico e numerose iniziative nuove si fanno trasportare dall’onda del contesto di digitalizzazione attuale.
Spuntano comitati spontanei come funghi poiché la notizia, appresa dai media, ha suscitato negli abitanti e nei propri amministratori, essendo le 14 aree tutte collocate all’interno dell’isola, un disappunto profondo che, legandosi al disagio fisiologico dettato da spopolamento e carenza di servizi pubblici, è confluito in tutta una serie di azioni irremovibili.
foto di repertorio
L’argomentazione principale di coloro che si oppongono con forza al solo pensiero della realizzazione di un progetto di questo tipo in quelle aree, è basata fondamentalmente dalla non presa in considerazione, nell’arco di lunghi anni, del lavoro legislativo del Governo regionale e dei Referendum, uno consultivo regionale e un quesito specifico di quello abrogativo nazionale del 2011.
Il tutto accompagnato al rammarico del dover continuamente prendere posizione in questo senso senza mai veder, di contro, Presenza Statuale per quanto riguarda i lavori già avviati di tutela e valorizzazione dei territori coinvolti direttamente e di tutta l’isola.
Nell’arco di una settimana dalla pubblicazione della CNAPI da parte della Sogin, nell’ambito della comunicazione digitale pubblica, accanto al netto no inizia ad insinuarsi una flebile voce del sì più possibilista e che ostenta la non demonizzazione del progetto di per sè. Le motivazioni principali di questa posizione si basano sul presunto pregiudizio senza cognizione di causa da parte della popolazione e dell’apparato amministrativo regionale.
In altri termini, la ormai molto attuale accusa per cui per poter esprimere un parere in termini di sviluppo progettuale, inerente discipline scientifiche, si necessitino competenze approfondite in tali materie.
Ovvero, in parole ancora più povere, l’assioma per cui solo chi ha titoli accademici e ruoli di rilievo scientifico possa avere il diritto di esprimersi sull’argomento. La premessa non esplicita a questo assioma può essere individuata nel degrado socioeconomico delle suddette zone che alternano spopolamento ed età media molto alta a basse percentuali di titoli universitari e grosse percentuali di dispersione scolastica.
La Sardegna è la prima regione in Italia col maggior numero di persone in possesso della sola licenza media (57,4%) : la media delle città sarde più importanti palesa un 48,5% della popolazione con al massimo la licenza media e il 51,5% con diploma o laurea mentre nei comuni più piccoli il 75% con al massimo licenza media e solo il 25% con diploma o laurea.
Ovviamente è molto più facile enunciare la dicotomia tra Paese dell’Interno-Ignorante e gretto e Città sulle coste-Istruita e aperta piuttosto che approfondire chi sia e come operi quel irrisorio 25% che non fa testo.
Aldilà delle polarizzazioni dell’opinione pubblica, per poter avere visione d’insieme sull’argomento, è necessario tornare indietro alla seconda metà del secolo scorso.
Problemi da Boomer
La spinta repubblicana della costituente statuale italiana palesava debiti di guerra a ogni piè sospinto.
Accordi tra Fiat e Wec
Consideriamo una neonata Repubblica ben accolta nelle schiere della NATO che già si fregava le mani all’idea di un Mare Nostrum più inclusivo e fertile di possibilità d’allocazione di svariata progettazione con grande spinta di competitività del contesto della Guerra Fredda.
La produzione di energia elettrica derivante da fonte nucleare ebbe l’avvio in Italia nei primi anni sessanta raggiungendo primati precisi in termini di produzione e avanzamento tecnologico già in un decennio.
Mattei in visita in una struttura petrolchimica
Essendo la situazione energetica molto confusionaria, nel 1975 avvenne il varo del PEN (Piano Energetico Nazionale) con previsione di forte sviluppo in ambito nucleare tanto che si succedettero numerose sperimentazioni e innovazioni scientifico-tecnologiche di rilievo mondiale.
Negli anni ’80 la sicurezza degli impianti nucleari iniziò ad essere messa in discussione soprattutto dopo l’incidente di Three Mile Island del 1979 e l’ormai tragicamente famoso disastro di Černobyl‘ del 1986.
Discussione formalizzata nell’anno successivo, in Italia, con tre referendum nazionali sul settore elettronucleare. In tale consultazione popolare, circa l’80% dei votanti si espresse a favore delle istanze portate avanti dai promotori. I tre referendum non vietavano in modo esplicito la costruzione di nuove centrali, né imponevano la chiusura di quelle esistenti o in fase di realizzazione, ma si limitavano ad abrogare i cosiddetti “oneri compensativi” spettanti agli enti locali sedi dei siti individuati per la costruzione di nuovi impianti nucleari, nonché la norma che concedeva al CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) la facoltà di scelta dei siti stessi in presenza di un mancato accordo in tal senso con i comuni interessati e a impedire all’Enel di partecipare alla costruzione di centrali elettronucleari all’estero.
La mancata produzione di energia elettrica da fonte nucleare fu compensata con l’aumento dell’utilizzo di combustibili fossili, in particolare carbone e gas ma anche petrolio/olio combustibile.
In questo contesto, non possiamo non ricordare le realtà sarde della SARAS (Società Anonima Raffinerie Sarde) fondata da Angelo Moratti nel ’62 e inaugurata alla presenza di Giulio Andreotti nel ’66 e di tutto il progetto petrolchimico di Angelo Vittorio Rovelli dal Nord di Porto Torres, al centro di Ottana fino al sud da Macchiareddu a Sarroch. Tutti luoghi purtroppo famosi per le loro cattedrali nel deserto e per aver altalenato alti e bassi d’impiego e di profitto. Sicuramente tristemente ricordati a livello popolare come atto di volontà dello Stato e degli speculatori di turno di tenere il popolo a pane e tumori.
L’annosa problematica delle Scorie
Negli Stati Uniti, già dall’82, si cercava una soluzione allo smaltimento delle scorie di più di 100 centrali nucleari attive e già si sognava un deposito unico per il loro stoccaggio dando l’incarico al Dipartimento dell’Energia e istituendo la Nuclear Waste Fund, tassa introdotta nella bolletta elettrica.
Nel 2002 George Bush firma lo Yucca Mountain Development Act, ambizioso progetto per la creazione di un sito lungo 80 Km ad una profondità di 300 Km, per lo stoccaggio di scorie che avrebbero conservato la radioattività per decine di migliaia di anni.
Scelsero una zona desertica già compromessa da sperimentazioni nucleari, idearono contenitori in lega di acciaio e titanio per prevenire eventuali infiltrazioni di umidità, i geologi parlavano di almeno mezzo milione di anni prima che quella montagna potesse subire scombussolamenti.
Magicamente anche in Italia, in pieno Governo Berlusconi nel 2003, ci si rende conto che le scorie residue dalla chiusura delle centrali italiane e stoccate tra la Francia e la Germania, andassero riposte in sicurezza in un sito unico di stoccaggio. Si vociferò come una zona idonea potesse essere individuata nel centro Sardegna.
La risposta dell’allora Presidente della RaS Mauro Pili non si fece attendere dichiarando l’intero territorio sardo denuclearizzato attraverso la Legge Regionale 3 Luglio 2003.
Il Governo Berlusconi tentò di passare la patata bollente alla Puglia incontrando la stessa reazione sia istituzionale che popolare, quindi puntò alla fine su una zona lucana famosa tanto dal punto di vista enogastronomico quanto turistico. Scanzano Jonico insorse per settimane, con tanto di placet delle forze dell’ordine, costringendo il Governo a fare marcia indietro.
Mediterraneo nuclearizzato
Mentre negli Usa continuano a progettare e fare tentativi sul progetto Yucca Mountain, in Italia si riapre il dibattito sul ritorno al nucleare. Il costante aumento dei prezzi del gas naturale e del petrolio negli anni dell’ormai famosa crisi del 2008 spinse a voler ripristinare una capacità nucleare a fini di elettro-generazione sotto pressioni internazionali da parte di Francia e Stati Uniti per vendere impianti nucleari all’Italia.
Spinto da un presunto scopo ambientalista, il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola ha proposto in tal senso di costruire dieci nuovi reattori portando avanti, attraverso il Governo, tutta una serie di interventi legislativi, accordi nazionali e internazionali.
Nel frattempo il mondo è sconvolto da una nuova tragedia nucleare. L’11 marzo 2011 al largo della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, alle ore 14:46 locali alla profondità di 30 chilometri si verificò un sisma, di magnitudo 8,9-9,0 con epicentro in mare e con successivo tsunami, è il più potente mai misurato in Giappone e il quarto a livello mondiale.
In conseguenza, nella centrale nucleare chiamata Fukushima I si interruppero automaticamente le reazioni di fissione sostenute, ma avendo avuto grossi danni da Tsunami ai generatori di emergenza, che non poterono entrare in azione nelle dinamiche di raffreddamento, portò a una fusione del nocciolo di gravità pari a quella accaduta a Cernobyl.
Fukushima I
Per tutta risposta al contesto micro e macro, la Sardegna, sentita la possibilità che tali progetti potessero interessarla, reagì con un referendum regionale consultivo proposto dal partito indipendentista SNI (Sardigna Natzione Indipendentzia) andando a votare il 15 e il 16 Maggio 2011.
Il quesito referendario recitava: «Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?», coinvolgendo dunque anche i depositi di scorie. La consultazione ha visto una partecipazione del 59,49% del corpo elettorale e una vittoria dei “Sì” con una percentuale di oltre il 97%.
A livello nazionale italiano invece, Italia dei Valori il 9 aprile 2010 presenta una proposta di referendum sul nuovo programma elettronucleare italiano che mira ad abrogare parte del decreto-legge 25 giugno 2008, all’esito il quesito viene validamente approvato con un quorum di circa il 54% di votanti e una maggioranza di oltre il 94%. Le norme inerenti al nucleare del cosiddetto decreto Omnibus vengono quindi abrogate, determinando la chiusura del nuovo programma nucleare.
Sardegna Non Solo Mare e Monti
Dopo il referendum consultivo e quello abrogativo l’opinione pubblica isolana si è pacata e rintanata nei soliti circoli viziosi della mala comunicazione tra Governo centrale e regionale.
Nel frattempo la digitalizzazione galoppa veloce verso nuovi lidi comunicativi cambiando alcuni assetti generazionali e sociali nel contesto culturale delle comunità sarde.
Tutti gli enti istituzionali e sociali che avevano fino ad allora lavorato a pieno regime mollano la presa, ma non abbassano la guardia. D’altronde la Sardegna ha numerosi altri problemi ambientali ed etici da risolvere, dalle conseguenze dello sfruttamento minerarie del Sulcis, a quelle del Petrolchimico fino al tema molto caldo e sempre attuale delle servitù militari con le loro invadenti esercitazioni annuali.
Esercitazioni militari nel PISQ (Poligono Interforze Salto di Quirra)
Senza tralasciare il fatto che lo smaltimento di rifiuti in generale e di scorie radioattive nello specifico è una fetta di mercato occulta molto remunerativa e ambita dalla cosiddetta malavita.
Mentre di tanto in tanto viene rinvenuto qualche bidone giallo sotto al mare o seppellito sotto macerie industriali, nel 2015 si alza di nuovo l’attenzione per le voci delle mappature che la Sogin avrebbe concluso senza renderle pubbliche. Nel 2017 anche Obama getta la spugna nei confronti del progetto Yucca Mountain rimettendo ulteriormente in discussione in ambito scientifico le difficoltà dello smaltimento dei residui di lavorazione nucleare.
Sardegna e Scorie: un problema politico
Nel contesto pandemico attuale la pubblicazione della CNAPI e la palese possibilità che in uno dei 14 siti individuati possa essere messo in opera un progetto come quello del deposito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari con annessa ciliegina del parco tecnologico, ha portato il popolo sardo a sbottare grosso risentimento.
Unità è la parola d’ordine di ogni assemblea a tutti i livelli e ogni individuo attivo si è già messo a disposizione della causa, non per creare un nuovo caso NoTav all’insegna delle reazioni che l’Emerito Presidente della Repubblica Francesco Cossiga paventava in una registrazione che sta spopolando in questi giorni sulle reti social sarde, ma per rivendicare il proprio diritto a veder valorizzata e tutelata la propria terra e reso onore alla volontà popolare molto chiara dall’esito del referendum consultivo del 2011.
Certo, il giudizio popolare di fondo è che non si debba permettere che si possa iniziare un nuovo esperimento economico, come le cattedrali nel deserto del passato, prendendo le popolazioni per la gola e per la pancia.
D’altronde parliamo di 900 milioni di euro e in tanti, a vari livelli, hanno già gli occhi a dollaro e si sfregano le mani.
Perché Non in Sardegna? Perché il popolo ha parlato, perché il presunto pregiudizio è ormai un giudizio sulle meccaniche dell’attuazione di qualunque progetto. Il No più secco non ha nulla di Nimby, la Sardegna non ha mai ospitato centrali nucleari mentre paga costantemente la presenza dell’estrazione del fossile, del petrolchimico e delle servitù militari. In termini di spinta del progresso e responsabilità collettive ha già dato.
Ma anche No perché il problema dello smaltimento delle scorie nucleari è un problema che ancora non ha trovato soluzione e ci si deve rifiutare di pensare che isolamento, spopolamento, scarsa ricchezza, scarsa istruzione significhi meno danni collaterali.
Una soluzione equa invece sarebbe che ogni regione e nazione smaltisse le proprie scorie dato che, benché la Sardegna sia produttrice di scorie di tipo sanitario, una misura del 2,7 % di produzione nazionale sarebbe un giusto fardello da sobbarcarsi.
FONTE:
https://www.byoblu.com/2021/01/18/sardegna-lisola-dei-veleni-byoblu24/
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