“Privato” non è stato bello
di MEGACHIP (Giulietto Chiesa)
Gli avvisi di garanzia che la magistratura genovese ha equamente distribuito tra Società Autostrade e alti funzionari di diverse agenzie dello Stato, dopo la tragedia del Ponte sul Polcevera, stanno mettendo sotto gli occhi del grande pubblico una verità molto importante e che, si spera, sarà assimilata dalla maggioranza del popolo. E cioè che era del tutto falsa la storiella che bisognava privatizzare perché “pubblico è male, è inefficienza, è corruzione”, mentre “privato è tutto il contrario”.
La storia falsa “passò” senza colpo ferire e l’Italia fu privatizzata tra gli applausi dei milioni che venivano derubati, insieme alla concessione della proprietà pubblica ai privati. Per giunta a prezzi e con modalità, come vedremo tra poco, scandalosamente proditorie nei confronti del pubblico e della stessa Costituzione repubblicana. Fa venire in mente l’analoga truffa, mediante la quale gli italiani furono espropriati di una parte grande della democrazia nel passaggio, quasi unanime anch’esso, dal sistema elettorale proporzionale (previsto dalla Costituzione) al sistema maggioritario, previsto dai padroni universali.
Ma la verità che sta emergendo è perfino peggiore di quella semplice di cui stiamo parlando. Il fatto è che ora possiamo vedere come lo Stato italiano, attraverso i suoi funzionari infedeli (a molti livelli), si sia svenduto ai privati anch’esso, in quanto Stato.
Chi è andato a guardare le modalità con cui sono stati privatizzati oltre tremila chilometri di autostrade italiane si trova incredulo a metà strada tra il raccapriccio, l’incredulità e l’indignazione. Scoprendo che la convenzione tra lo Stato e la Società autostrade prevede clausole che esentano il privato dalle conseguenze economiche e di ogni altro genere di violazioni contrattuali, di inadempienze, di danni da esso provocati alla collettività e ai singoli, cioè all’interesse pubblico. L’esenzione è preventiva, a prescindere. Anche se il concessionario si rivelasse inadatto, incapace, truffaldino. Lo Stato si è limitato a concedere a se stesso il diritto di revoca del contratto. Ma impegnandosi, in ogni caso, a risarcire il concessionario di ogni perdita futura derivante dalla rescissione.
Dunque lo Stato italiano, anche in caso di “giusta causa” di revoca (cioè di fronte a un disastro delle proporzioni del Ponte Morandi, in cui la responsabilità del concessionario è al di fuori di ogni dubbio) è costretto da quella convenzione a risarcire la Società Autostrade per i mancati guadagni (al netto delle spese) che essa non avrà nei prossimi 24 anni. Dunque la collettività è stata messa “legalmente” nella condizione o di accettare senza reagire al delitto, oppure — in caso che essa voglia protestare legalmente, e chiedere conto — pagare cifre vertiginose al colpevole.
I grandi giornali, che danno voce (facendo il loro usuale mestiere) agli interessi dei proprietari dei beni privatizzati, ci hanno fatto sapere che l’indennizzo “dovuto” sarebbe oscillante tra gli 8 e i 20 miliardi di euro. E ci sono già coorti di pennivendoli e funzionari pubblici, e politici che invitano il governo alla prudenza. Naturalmente in nome dei cittadini. Mentre è evidente la complicità di settori dello Stato italiano con i privatizzatori (esattamente come lo fu con gli eversori e i golpisti). La si è vista bene anche dopo il crollo del ponte, quando abbiamo assistito (e stiamo tuttora assistendo) a una vera e propria girandola di rinvii, di scaribarile, di trucchi per non rivelare al grande pubblico i documenti segreti che accompagnarono le varie concessioni.
Segreti che sono rimasti tali per ben 20 anni, sebbene fossero siglati dall’Anas (Azienda Nazionale Strade), società per azioni pubblica, e quindi dovessero essere pubblici fin dall’inizio. E rimasero tali anche dopo che l’ANAC, l’authority, nel gennaio di quest’anno, diede ordine alla Direzione Vigilanza sulle concessioni autostradali di pubblicarli. Il Ponte Morandi era ancora in piedi. E cosa accadde? Che il Ministero per le Infrastrutture (organo dello Stato) chiese il permesso ai concessionari, cioè all’AISCAT (la Confindustria dei concessionari) per pubblicarle. La quale, ovviamente, rispose con uno sdegnoso rifiuto (era l’11 gennaio 2018) basato sull'”argomento” che esistevano “incomprimibili interessi di natura economica, commerciale e industriale” a impedire una tale pubblicazione. E il rifiuto del privato fu più forte della decisione dello Stato. Fino al 26 agosto.
Dunque l’intera storia dice una cosa semplice: non c’è solo la rapina dei beni pubblici, ma c’è la corruzione dei poteri pubblici a protezione della rapina. Non ci sarà lotta contro la corruzione senza guardare in faccia a questa realtà.
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