Diversamente da come viene presentato, nella vicenda degli ostaggi dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa il Qatar non è un negoziatore al di sopra delle parti. Una cantonata della ministra qatariota Lolwah Al-Khater, a Tel Aviv per partecipare alle trattative, dimostra al contrario che Doha esercita un’autorità su Hamas. I nuovi membri del gabinetto di guerra israeliano hanno scoperto con sconcerto che il Qatar ha partecipato al complotto di Benjamin Netanyahu per preparare l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023.
Il Qatar, i Fratelli Mussulmani, Hamas e Israele
da RETE VOLTAIRE (Thierry Meyssan)
La cantonata di Lolwah Al-Khater
Lolwah Al-Khater, ministra qatariota per la Cooperazione internazionale, il 25 novembre 2023 si è recata a Tel Aviv: è stata la prima visita di un rappresentante ufficiale del Qatar in Israele. La ministra è stata ricevuta dal gabinetto di guerra allo scopo di superare i problemi legati all’applicazione dell’accordo sullo scambio di ostaggi; successivamente si è recata a Gaza.
Avvezza a discutere con David Barnea, direttore del Mossad, Lolwah Al-Khater sembra non essersi resa conto che del gabinetto di guerra fanno parte non soltanto i fedelissimi di Benjamin Netanyahu; così, per guadagnare tempo, è caduta nell’errore di prendere decisioni in nome di Hamas, senza consultarlo.
I membri dell’opposizione del gabinetto di emergenza presenti alla riunione sono rimasti scioccati nel vedere la ministra qatariota abbandonare il ruolo di mediatrice, lasciando intravvedere l’autorità che il Qatar esercita su Hamas, branca palestinese della Confraternita dei Fratelli Mussulmani.
Al termine della riunione, Joshua Zarka, vicedirettore generale degli Affari strategici del ministero degli Esteri israeliano, ha dichiarato che Israele «farà i conti con il Qatar» non appena questi avrà terminato il ruolo di mediatore. Infatti, se Doha può dare ordini ad Hamas, non può più nascondere la propria responsabilità nell’attacco del 7 ottobre. Il Qatar non solo non è un mediatore, è soprattutto un nemico degli israeliani.
Esaminiamo brevemente l’identità del Qatar.
Il Qatar e gli Stati Uniti
Il Qatar acquisisce l’indipendenza dall’impero britannico soltanto nel 1971. Il primo emiro qatariota, Khalifa bin Hamad Al Thani, si volge alla Francia. Imposta lo sviluppo del Paese diffidando dei facili introiti degli idrocarburi. Ma nel 1995 viene rovesciato dal figlio, Hamad bin Khalifa Al Thani. Il nuovo emiro conclude accordi sul gas, nonché sul petrolio, principalmente con società anglosassoni Exxon Mobil, Chevron Philips, Schell, Centrica con la francese Total, con le cinesi China National Offshore Oil, CNOOC, Petrocina, poi con società indiane, sudcoreane e giapponesi. Il denaro corre a fiumi.
Nel 1996, nello slancio degli Accordi di Oslo, il Qatar, insieme agli ebrei franco-canadesi David e Jean Frydman, amici di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat, fonda una televisione panaraba per mettere a confronto i punti di vista degli arabi e degli israeliani: Al Jazeera. Il successo è immediato. Ma Al Jazeera, intellettualmente partecipe del movimento per la pace in Israele, durante le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq diviene la bestia nera degli Stati Uniti.
Nel 2002 gli Stati Uniti concludono un accordo militare con il Qatar e istallano il quartier generale del comando delle loro truppe in Medio Oriente, il CentCom, nella gigantesca base di Al-Udeid, dove sono acquartierati 11.000 soldati e un centinaio di aerei; conseguentemente ritirano i propri uomini dall’Arabia Saudita.
Il Pentagono si premura di ricordare ai qatarioti che non hanno abbastanza forza per sfidarlo. Un mattino l’emiro è svegliato in camera da letto dalle Forze speciali: un ufficiale statunitense gli garantisce che sono lì per proteggerlo da un immaginario colpo di Stato. L’emiro capisce l’antifona e da questo momento si allinea alle esigenze dei suoi protettori.
Nel 2005 l’azionariato di Al Jazeera vacilla per il boicottaggio degli inserzionisti sauditi. I fratelli Frydman si ritirano. La rete televisiva è completamente riformattata dalla società di consulenza JTrack; alla sua guida viene messo il Fratello palestinese Wadah Khanfar [1], che progressivamente censura ogni critica all’“imperialismo americano” al punto da rimuovere alcune immagini dei crimini statunitensi in Iraq. Diversi giornalisti di Al Jazeera vengono uccisi dalle forze statunitensi, un collaboratore è fatto prigioniero e torturato a Guantanamo. La televisione diventa l’emittente delle potenze anglosassoni e dà voce all’islamismo sunnita. Nel 2009 Wadah Khafar visita gli Stati Uniti e viene ricevuto dai massimi esponenti delle élite dirigenziali.
Nel 2008 l’emiro impone in Libano, in violazione della Costituzione, un nuovo presidente al posto di quello uscente.
Nel 2011 il proprietario di JTrack, il Fratello Mahmoud Jibril, diventa improvvisamente il leader della contestazione del regime, di cui tuttavia era ministro. Il Fratello palestinese Wadah Khanfar lascia Al Jazeera per presiedere un think tank turco, Al Sharq Forum. Il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassem bin Jaber Al Thani, prende le redini della televisione, che si mette immediatamente al servizio della Nato, di cui diviene il principale strumento di propaganda nel modo arabo. La rete inizia a divulgare una visione di parte dei conflitti in Libia e Siria, trasformandosi in televisione della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. L’imam Youssef al-Qaradawi ne diventa il predicatore ufficiale: spiega ai telespettatori che Maometto sarebbe senza dubbio schierato a fianco della Nato.
Il Qatar diventa il principale mezzano del Medio Oriente. Negozia accordi di pace tra arabi ovunque glielo ordinino gli Stati Uniti: in Sahara occidentale, tra le fazioni palestinesi, in Darfur, in Eritrea e nello Yemen. Ma usa il proprio potere anche per rinfocolare guerre. Nel 2012 dà due miliardi di dollari al Sudan del Fratello Omar al-Bashir perché richiami il proprio inviato speciale, generale Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi [2]. Quest’ultimo — fin qui unanimemente apprezzato, in particolare per il ruolo di pacificatore in Darfur — era stato nominato presidente della Missione internazionale della Lega Araba in Siria dove, insieme ai suoi collaboratori, poteva accedere a qualunque sito ritenesse necessario. Nel rapporto preliminare il generale formulava la convinzione che i media occidentali mentivano e che in Siria non c’era rivoluzione.
Nel 2013 l’emiro abdica a favore del figlio, Tamim bin Hamad Al Thani.
La “crisi del Golfo”
Da giugno 2017 a gennaio 2021 l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti attuano un blocco del Qatar, paralizzando il Consiglio di cooperazione del Golfo. Questa guerra fredda è stata mal interpretata. Secondo il Financial Times sarebbe legata a un’oscura vicenda di pagamento di riscatto; secondo altri, sarebbe conseguenza di una dichiarazione dell’emiro qatariota, sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, favorevole all’uso politico dell’islam da parte sia della Confraternita dei Fratelli Mussulmani sia dell’Iran.
In realtà il presidente della Repubblica araba d’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, riesce a procurarsi documenti della società segreta che ha governato l’Egitto per un anno: la Confraternita dei Fratelli Mussulmani, di cui, in quanto ex direttore dell’intelligence militare, ha una conoscenza approfondita. Dopo il discorso a Riyad del presidente statunitense Donald Trump contro il terrorismo dei Fratelli Mussulmani (21 maggio 2017) capisce come può usare queste prove: le trasmette al sovrano saudita, sperando di ottenerne l’appoggio nella lotta contro i Fratelli. Le prove riguardano un complotto della Confraternita e del Qatar per rovesciare il re d’Arabia, Salman bin Abdelaziz al Saud. Per il re e suo figlio è un trauma: non solo la Confraternita, che il regno ha vezzeggiato per anni, assegnandole un budget militare superiore a quello delle proprie forze armate, si permette di sostenere Daesh, ma minaccia il monarca.
Il 5 giugno 2017 Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein, seguiti dal governo yemenita d’Abdrabbo Mansour Hadi, dal governo libico di Tobruk, poi da Mauritania, Maldive e Comore rompono le relazioni diplomatiche con il Qatar. Questi Paesi chiudono le frontiere terrestri, aeree e marittime all’emirato, soffocandolo improvvisamente. Il presidente statunitense Donald Trump si schiera e accusa il Qatar di finanziare «l’estremismo religioso». L’emirato è sostenuto da Turchia, Marocco, Hamas, Iran e Germania, dove la Guida nazionale della Confraternita, Ibrahim el-Zayat, ha entrature al ministero degli Esteri. Niger e Ciad sostengono invece l’Arabia Saudita.
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein rivolgono al Qatar un ultimatum in 13 punti [3]: deve rompere con l’islam politico e con i Paesi che lo sostengono, la Turchia e l’Iran.
La crisi si risolve solo con il tentativo del presidente statunitense Donald Trump di riconciliare i Paesi arabi tra loro e con Israele: organizza il riavvicinamento di Marocco e Israele, poi quello dei Paesi della crisi del Golfo. La polemica sull’islam politico viene accantonata.
L’Emirato del Qatar e la Confraternita dei Fratelli Mussulmani
La Confraternita (Ikwan) persegue il fine proclamato alla fine della prima guerra mondiale dal suo fondatore, l’egiziano Hassan El-Banna: ripristinare il Califfato [4]. In una lettera al primo ministro egiziano dell’epoca egli descrive tre obiettivi:
«la riforma della legislazione e l’unificazione di tutti i tribunali sotto la sharia;
il reclutamento all’interno delle forze armate attraverso un servizio di volontario sotto la bandiera della jihad;
la connessione tra i Paesi mussulmani e la preparazione della restaurazione del Califfato, in applicazione dell’unità che esige l’islam».
L’Ikwan è una società segreta organizzata sul modello della Grande Loggia Unita d’Inghilterra. Se ne conoscono le azioni solo attraverso testimonianze di ex membri o documenti su cui si mettono le mani quando è sconfitta.
Sin dalle origini la Confraternita si dota di milizie parallele, con il compito di uccidere gli oppositori; si sviluppa dapprima in Egitto, poi in tutto il mondo arabo nonché in Pakistan. Il Regno Unito e gli Stati Uniti si avvalgono presto di suoi esponenti politici come il Fratello Muhammad Zia-ul-Haq in Pakistan, o il Fratello Mahmoud Jibril in Libia e delle sue milizie, come Al Qaeda, Daesh o la Lega di protezione della rivoluzione tunisina. Appena istallato alla Casa Bianca, il presidente Barak Obama fa entrare un membro della Confraternita, Mehdi K. Alhassani, nel Consiglio nazionale per la Sicurezza, allo scopo di stabilire un legame permanente con essa [5].
Quando gli Stati Uniti danno il via all’episodio siriano della “Guerra senza fine”, chiedono ad Hamas di spostare la cellula di Damasco a Doha. Quando nel 2014 l’Arabia Saudita rompe definitivamente con i Fratelli, il Qatar volontariamente la sostituisce. Pur senza i mezzi del potente vicino, l’emirato alimenta le finanze di Hamas, con l’approvazione degli Stati Uniti. Nel 2018 il Qatar si fa carico degli stipendi dei funzionari di Hamas a Gaza. Con il consenso di Benjamin Netanyahu, l’ambasciatore qatariota si reca a Gaza con valige piene di dollari: 15 milioni in banconote di piccolo taglio. L’operazione si ripeterà ogni mese.
Nel 2022 il presidente statunitense Joe Biden, innalza il Qatar a rango di primo alleato al di fuori della Nato, onore concesso a una decina di Paesi in tutto il mondo.
Il madornale errore di Lolwah Al-Khater dimostra che il Qatar è ben più di questo: esercita la propria autorità sulla strategia politica e militare di Hamas.
[1] “Wadah Khanfar, al-Jazeera e il trionfo della propaganda televisiva”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 24 settembre 2011.
[2] “La presidenza della Lega Araba cerca di sopprimere la relazione dei suoi esperti”, Rete Voltaire, 30 gennaio 2012. « Le Qatar achète la démission du général al-Dabi », Réseau Voltaire, 13 février 2012
[3] « Les 13 points de l’ultimatum saoudien au Qatar », Réseau Voltaire, 23 juin 2017.
[4] “I Fratelli Mussulmani in quanto assassini”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Alice Zanzottera, Rete Voltaire, 21 giugno 2019.
[5] « Un Frère musulman membre du Conseil de sécurité nationale des États-Unis », Réseau Voltaire, 25 juin 2014.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article220099.html
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