Mettere d’accordo, con la medesima mossa, Donald Trump e Bernie Sanders non è missione che si compia ogni giorno. Anzi, i crismi della pietra miliare ci sono tutti. Jeff Bezos, annunciando l’innalzamento a 15 dollari l’ora del salario minimo per i dipendenti di Amazon, ce l’ha fatta. Sia il presidente business-friendly e nume tutelare del più lungo “mercato del toro” di Wall Street sia il vecchio socialista amato dai millennials dei campus Usa hanno plaudito alla decisione, di fatto un evento spartiacque in quella che non appare una mera questione di dibattito accademico sulla giustizia sociale nel mondo del lavoro 2.0, bensì un tema di scontro al Congresso e una materia su cui la politica statunitense del post elezioni di medio termine sarà chiamata a pronunciarsi.
Con ovvie spaccature e problematiche, come ci mostrano questi tre grafici. La vexata quaestio del salario minimo – introdotto negli Usa esattamente 80 anni fa e corrispondente a 25 centesimi l’ora, 4,50 dollari attuali – non è più solo una questione di differenze territoriali ma anche – e soprattutto – di tipologia dell’attività che si intraprende.
- US Department of Labor
Se infatti i costi di gestione sono differenti fra un business condotto a Los Angeles o New York e in una cittadina del Maryland o del Wyoming e anche il costo dell’acquisto o l’affitto di una casa sono enormemente discrepanti (quindi, il rapporto salario/potere d’acquisto), esistono veri e propri vulnus che paiono destinati a tramutarsi in iceberg potenzialmente letali sul percorso del dibattito. Ad esempio, negli Stati del Sud non esiste tutt’oggi un salario minimo e si fa riferimento unicamente agli standard imposti a livello federale, non di “mercato”.
Ma, appunto, la rivoluzione del commercio on-line ha posto un ulteriore ostacolo, visto che a livello di commercio retail, l’operare sulla Rete consente una gestione completamente differente rispetto a chi deve fare i conti con punti vendita tradizionali, magari ubicati in quei mall ormai in crisi esistenziale e con prezzi per piede quadrato che stanno letteralmente crollando, stante il numero sempre crescente di chiusure e conseguenti locali sfitti.
- US Department of Labor
Nel 2017, 1,82 milioni di lavoratori americani erano pagati 7,25 dollari l’ora o meno: ovviamente, per loro si tratterebbe di una conquista destinata a cambiare la vita, parlando di fatto di un raddoppio salariale e anche chi è più fortunato e si aggira sui 10-11 dollari, vedrebbe comunque la sua situazione migliorare sensibilmente, stante il dato del potere d’acquisto aggiustato all’inflazione, sempre calante.
- Marketwatch
E non rapportato al costo della vita reale ma al CPI ufficiale. Insomma, tutti d’accordo in linea teorica – anche perché i lavoratori a reddito fisso e paga minima votano e, spesso, cambiano gli equilibri – ma con enormi criticità nella messa in pratica.
E qualche dubbio rispetto alla bontà stessa della mossa del patron di Amazon. Avanzato nientemente che dal Wall Street Journal, il quale l’altro giorno mostrava questo grafico ai suoi lettori, come sostegno alla propria tesi.
- Wall Street Journal
La quale appare semplice: Jeff Bezos, da genio del marketing qual è, ha compiuto il suo ennesimo capolavoro di public relations, garantendosi una pubblicità planetaria grazie proprio al pesante endorsement bipartisan di Trump e Sanders ma, nei fatti, non solo schianterà la concorrenza nel periodo più strategico dell’anno (lo shopping natalizio) ma riuscirà anche a far pagare i costi di quella mossa politica, di fatto, ai suoi dipendenti.
Cominciamo con ordine e partiamo da un concetto molto anglosassone, quello del last hurrah, ovvero la propensione a spendere quando l’economia appare florida ma le prospettive lasciano presagire il raggiungimento del picco, sia per fattori esogeni (vedi la guerra tariffaria con la Cina che porta già oggi aumenti di prezzo su beni di larghissimo consumo negl Usa), sia perché la teoria dei cicli impone una pausa anche alla corsa al rialzo più sfrenata.
Insomma, la stagione natalizia alle porte è vista da tutte le grandi catene retail statunitensi come una delle potenzialmente migliori degli ultimi decenni, quindi marchi come Walmart e Target hanno cominciato con un mese di anticipo rispetto al solito (esattamente a metà settembre) la loro campagna di reclutamento per lavoratori stagionali. E con numeri maggiori, visto che ad esempio Target punta a 120mila assunzioni stagionali, il 20% più dello scorso anno. Lo stesso vale per Kohl’s e JCPenney, i quali addirittura hanno cominciato la campagna di assunzione e colloqui ancora durante l’estate.
E dove sarebbe quello che viene definito simply yet another masterful PR trick by Jeff Bezos? Amazon comincerà la politica di salario minimo orario a 15 dollari dal 1 novembre ma, strategicamente, ha annunciato la mossa un mese prima, nel pieno della “campagna acquisti” dei principali concorrenti retail: si chiede il Wall Street Journal, partendo dal presupposto che il minimum wage orario da Target è 12 dollari e Walmart ha recentemente alzato il suo a 11, chi si metterà in coda presso queste catene per cercare un lavoro extra con cui arrotondare, senza prima aver tentato la sorte da Amazon? Il quale, quindi, non solo potrebbe drenare personale extra ritenuto fondamentale viste le prospettive di vendite record di queste festività invernali ma, anche, costringere la concorrenza a svenarsi, alzando il loro salario minimo, pur di trovare personale in tempo.
Ovviamente, sorge spontanea una tesi contrapposta: Amazon ha alzato il salario minimo per tutti i suoi dipendenti, non solo per gli stagionali natalizi, quindi il beneficio appare strutturale. Così come i costi in più per l’azienda di Bezos. E qui subentra la seconda obiezione per chi vede, dalle parti di Seattle, il diavolo intento a fare le pentole ma un po’ smemorato con i coperchi. E, stranamente, a colpire il re dell’e-commerce è un altro protagonista del mondo della Rete, Yahoo!Finance con un articolo-inchiesta nel quale si fa notare come, di fatto, Bezos si ripagherà gran parte di quanto sborserà per l’aumento non solo con le quote di mercato che ruberà ai concorrenti retail classici nel periodo clou dello shopping (in una nazione il cui PIL dipende al 70% dai consumi) ma anche attraverso il taglio dei programmi di bonus e dalle stock-options per i dipendenti, soprattutto quelli che lavorano per Amazon da oltre 2 anni e che, di fatto, già oggi guadagnano attorno ai 15 dollari l’ora.
Quindi, non solo per loro l’aumento sarà nullo o poco più ma perderanno gli incentivi di cui finora hanno goduto. Un impiegato dell’Arizona, assunto da oltre tre anni e pagato 15,25 dollari l’ora, ha fatto i conti: “Amazon non ci sta dando un aumento, sta prendendoci del denaro. Sembra una bella cosa soltanto se non si conosce la verità”.
E quale sarebbe? Ad esempio, l’uso di stock option fatto da Amazon durante il suo periodo di reclutamento, un qualcosa che ha sbaragliato la concorrenza di altri datori di lavoro del settore. Si tratta della cosiddetta Restricted Stock Unit (RSU), una componente chiave del programma salariale di Amazon a livello globale e che ha funzionato da vero e proprio magnete rispetto a lavoratori indecisi fra varie opzioni. In base a quel programma, ogni lavoratore riceve 2 o 3 azioni ogni anno, dopo un periodo di due anni di attività: un bel colpo, per un titolo che dal 2016 ha triplicato il suo valore e che oggi viaggia a circa 2mila dollari di valutazione per azione.
E infatti, Amazon ha tolto quel programma, tornando al pagamento in contanti. La motivazione? “Rimpiazzeremo l’RSU con un piano di acquisto azionario diretto”, ha tagliato corto l’azienda.
L’altro caposaldo in fatto di bonus cui dal 1 novembre i lavoratori dovranno rinunciare in ossequio all’universalizzazione del salario minimo a 15 dollari è la cosiddetta Variable Compensation Pay (VCP), un plus mensile che permette di portare a casa fino all’8% del proprio salario in più in base alle ore lavorate e alla produttività raggiunta dal proprio sito di occupazione: non poco, visto che un lavoratore di inquadramento medio attraverso il piano VCP portava a casa fra i 1800 dollari e 3mila dollari l’anno. Un qualcosa, quindi, di spiacevole per i lavoratori, soprattutto dopo il raddoppio del VCP durante i picchi dei mesi estivi e delle vendite record durante il periodo vacanziero.
Oggi, con un’altra stagione da primato alle porte, quei bonus spariranno, in ossequio al salario minimo a 15 dollari per tutti e, stando a quanto dichiarato da Amazon, a un feedback al riguardo giunto proprio dai dipendenti, i quali preferirebbero “la certezza del cash al programma RSU“.
Un bel risparmio per Bezos, non c’è che dire. E, soprattutto, un bel guaio per i lavoratori che, eventualmente, volessero protestare contro la decisione, magari arrivando all’extrema ratio di stati di agitazione sotto le festività natalizie. Difficile, in effetti, spiegare efficacemente all’opinione pubblica come mai stai protestando contro la decisione di maggiore equità che ha messo d’accordo persino Trump e Sanders, oltretutto per difendere dei plus legati alla produttività esasperata di Amazon, denunciata più volte a livello globale e addirittura al mercato azionario.
Insomma, l’effetto da cottimista anti-solidale del Lulù pre-infortunio di La classe operaia va in paradiso, pare assicurato. Di fatto, un capolavoro di trasformismo e management. O, forse, soltanto il malanimo e la voglia di vedere il marcio anche dove non c’è di competitor frustrati? Una cosa è certa, passato il voto di mid-term, la questione andrà affrontata politicamente a livello nazionale. E il precedente stabilito da Bezos peserà. Quasi certamente, questo sì, a suo favore.
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