E’ debito parlare di debito
de IL SOLE24ORE (Vito Lops)
Quando si parla di debito saltano in mente due collegamenti immediati, pressoché inconsci
1) debito pubblico
2) Italia sprecona e spendacciona
Si tratta di punti molto delicati che toccano qualsiasi dibattito politico-economico di oggi. E’ bene approfondire un po’ entrambe le questioni. Partiamo dal DEBITO PUBBLICO. In questo momento l’Italia ha accumulato uno stock di debito pubblico di circa 2.100 miliardi che, rapportati a un Pil di 1.550 miliardi, porta il rapporto debito/Pil al 132,6% rispetto al 127% del 2012. Il rapporto – per stessa ammissione della Banca d’Italia – sta peggiorando soprattutto per la caduta del Pil (- 9 punti reali dal 2008) che non per l’aumento del debito. Ma va detto che l’Italia è da diversi anni in avanzo primario. Ciò vuol dire che al netto degli interessi che l’Italia paga per finanziare il debito pubblico le entrate dello Stato sono maggiori delle spese (in sostanza le tasse sono più alte della spesa pubblica). Da ciò si deduce che il più grosso problema da risolvere per l’Italia sono gli interessi che paga per sostenere il suo debito, circa 80-90 miliardi di euro l’anno, in base alle peripezie dei mercati finanziari.
Dal 1980 ad oggi l’Italia ha pagato 3.100 miliardi di interessi, in pratica il 150% dell’attuale debito pubblico. Come quando uno compra una casa e paga più interessi del costo della casa stessa. In più il tasso di interesse reale (pagato al netto dell’inflazione) è diventato positivo e da allora non è mai sceso sotto zero. Questo perché nel 1981 c’è stato il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Da allora, in pratica la Banca d’Italia ha smesso di intervenire sul mercato primario per contenere i tassi di aste eventualmente a bassa richiesta. Così per attrarre capitali l’Italia ha dovuto unicamente affidarsi al mercato finanziario, senza il sostegno della Banca centrale.
Questo principio vale oggi anche per l’Eurozona. I trattati vietano infatti alla Bce di svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza, ovvero di intervenire – laddove occorra – sul mercato primario per far passare incolumi aste in cui si verifichi un crollo della domanda.
Come visto, quindi, il debito pubblico italiano è esploso a causa degli interessi sullo stesso debito.
Poi c’è il discorso della spesa pubblica e dell’Italia spendacciona. E’ vero, ci sono 800 miliardi di spesa pubblica, ripartiti in questo modo
E’ vero, dicevamo, 800 miliardi son tanti. Ma non tanto quanto si possa credere. Osservate questo grafico
In rapporto al Pil, cioè alla sua forza economica, la spesa pubblica dell’Italia è assolutamente in media rispetto a quella europea ed è inferiore a quella di Austria, Svezia, Grecia, Belgio, Finlandia, Francia e Danimarca. Questo ci dice che il quadro della spesa pubblica è migliorabile, ma non allarmante. Il punto è che negli 800 miliardi c’è anche molta spesa pubblica improduttiva. E’ davvero un peccato spendere senza effetti moltiplicativi per benessere dei cittadini e sul Pil del Paese, al di là del contribuito sulla voce consumi rappresentata da quella parte di spesa pubblica che va ad alimentare il reddito di lavoratori adagiati su se stessi e altamente improduttivi (nella logica 1:1 la mia spesa è comunque il tuo reddito).
Ed è questo un punto fondamentale su cui intervenire, cioè attuare un percorso virtuoso di conversione della spesa pubblica improduttiva in spesa produttiva.
Ma debito pubblico non vuol dire solo debito pubblico. Vuol dire anche debito pubblico implicito. Secondo quest’altra classificazione – che tiene conto delle spese future per pensioni e sanità già messe a budget – l’Italia è la migliore seconda nell’intera Unione europea, dopo la Lettonia. Anche in questo caso un grafico parla più di qualsiasi commento. E’ tratto dal Fiscal sustainability report 2012 della Commissione europea. Evidenzia che l’Italia non ha gap di sostenibilità a differenza degli altri Paesi dell’Ue, così come la Lettonia (Lv nel quadrante). Quindi nel lungo periodo, nonstante sia “spendacciona”, è messa meglio degli altri rivali, per stessa ammissione della Commissione europea.
E poi è doveroso terminare questo post sul debito sottolineando che quando si parla di debito bisogna anche distinguere il debito privato e il debito estero, spesso confinati dietro le quinte ma in realtà assoluti protagonisti nella dinamica delle crisi e della sostenibilità di un Paese. Lo riprova il fatto che l’attuale crisi – di cui stiamo raccogliendo ancora i cocci con una ripresa che dopo otto anni stenta ancora a decollare complice un processo di deflazione che viene utiilzzato come meccanismo di compensazione degli squilibri tra i Paesi del Nord e della periferia – è una crisi di debito privato, per stessa ammissione della Banca centrale europea.
Quanto al DEBITO ESTERO, questo ci dà la dimensione della vulnerabilità di un Paese rispetto ai creditori stranieri. Bene, anche in questo caso come spiegato in questo articolo, l’Italia non è poi messa così male. Ha una posizione netta su investimenti internazionali vicinissima a quella della Francia e pari al 27% del Pil (mentre Spagna è al 96% e Grecia e Portogallo sono oltre la propria capacità produttiva).
Tutto ciò per chiarire che il debito pubblico va convertito in produttivo, ridimensionato e vanno abbattuti gli interessi REALI. Questo non significa però che sia l’unico problema da affrontare, o la madre di tutti i problemi.
Ergo, se qualcuno parla di debito con superficialità, impariamo a non dargli credito
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