Siria e Nord Corea: il disperato tentativo atlantico di separare Mosca e Pechino
di FEDERICO DEZZANI
Dopo il bombardamento del 7 aprile, domina l’interrogativo se il raid statunitense sia stato solo un evento isolato oppure il preludio di un più ampio coinvolgimento in Siria. Parallelamente le manovre americane in Nord Corea lasciano presagire un intervento militare anche in Estremo Oriente: c’è un nesso tra le due crisi simultanee? L’attacco chimico del 4 aprile, seguito dal blitz missilistico e dalle pressioni sul Cremlino per abbandonare Assad, è una maldestra manovra per riallineare la Russia agli USA ed al resto del blocco occidentale. La minaccia di un intervento contro il regime di Pyongyang, storico “vassallo” cinese, è il tentativo speculare di svincolare Pechino dalla Russia: constata la monoliticità del blocco euroasiatico, si va verso l’escalation militare?
Due “regimi”, un obiettivo: il blocco euroasiatico
Il bombardamento del 7 aprile sulla base siriana di Shayrat ha creato molta amarezza tra i “populisti” europei, galvanizzando al contrario quei governi e quelle istituzioni che si sentivano orfani della salda guida della Casa Bianca: la Francia di François Hollande, la Germania di Angela Merkel, l’Unione Europea e la NATO hanno salutato con sollievo e soddisfazione il rinsavimento, o sarebbe meglio dire “la normalizzazione”, di Donald Trump. Allo choc seguito dal raid americano, un vero e proprio ribaltamento di 180 gradi della politica estera promessa da Trump durante la campagna elettorale, si è sommata la confusione circa le intenzioni di Washington nell’immediato futuro: una confusione alimentata dalla cacofonia della stessa amministrazione Trump, dove ad una fazione che preme per il cambio di regime a Damasco si contrapporrebbe una più conciliante, disponibile a negoziare una soluzione con Mosca.
La fazione dei “falchi” sarebbe capitanata dall’ambasciatrice americana alle Nazione Unite, Nikki Haley, secondo cui la defenestrazione di Bashar Assad è “inevitabile” ed è “una priorità degli Stati Uniti d’America”, insieme all’eliminazione dell’influenza iraniana in Siria1. Le “colombe” risponderebbero invece al Segretario di Stato, Rex Tillerson, che domenica 9 aprile ha ribadito che la linea della Casa Bianca non sia cambiata e che l’obiettivo più impellente rimanga la lotta all’ISIS2. È però forte il sospetto che la suddetta contrapposizione in seno all’amministrazione Trump sia solo apparente e sia riconducibile al classico gioco delle parti: a pochi è infatti sfuggito come, nelle immediate ore che hanno preceduto il blitz del 7 aprile, lo stesso Tillerson avesse ammesso che si stesse lavorando (“steps are underway”3) per rimuovere il presidente Assad. L’obiettivo di “falchi e colombe” è quindi lo stesso ed ognuno lavora a suo modo per raggiungerlo: la Haley parlando espressamente di cambio di regime manu militari, Tillerson proponendosi come mediatore.
La strategia del doppio binario, impostata nelle 72 ore successiva al bombardamento aereo, prosegue la settimana successiva. Da un lato, il Pentagono ed il governo inglese assumono posizioni sempre più intransigenti, evocando una responsabilità russa nell’attacco chimico del 4 aprile e premendo per un ulteriore irrigidimento dei rapporti diplomatici. Dall’altro, il Segretario di Stato Tillerson conduce l’estremo tentativo diplomatico teso a sganciare Mosca dal governo siriano e dall’abbraccio con Teheran: l’occasione è fornita dal G7 di Lucca del 10-11 aprile, trasformato, dopo gli ultimi drammatici sviluppi, in un summit straordinario sulla questione siriana.
Oltre ai rappresentati dei “sette Paesi più industrializzati” (etichetta ormai obsoleta), intervengono al vertice anche i delegati di Turchia, Emirati, Giordania, Arabia Saudita e Qatar: tutte le potenze sunnite schierate contro Damasco ed il suo alleato iraniano. Il G7 toscano, che precede di poche ore il viaggio di Tillerson in Russia, coincide con l’ultimo appello che l’establishment atlantico lancia a Mosca affinché ritiri il suo sostegno ad Assad, in cambio di un pieno reintegro della Russia nel circuito diplomatico-economico occidentale. “È chiaro a tutti noi che il regno di Assad sta arrivando alla fine. Le alleanze russe con Assad, Iran ed Hezbollah non servono gli interessi di Mosca, che dovrebbe riallinearsi con gli Usa e gli altri Paesi”4 afferma Tillerson alla fine del summit. “Diciamo ai russi di cogliere l’opportunità (dell’attacco chimico, Ndr) per distanziarvi dagli orrori del regime di Assad e mostrare con sincerità che volete la pace5” gli fa eco il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault.
I tentativi del “russofilo” Tillerson (ha intessuto discreti rapporti con Putin nella veste di amministratore delegato della ExxonMobil) cadono però nel vuoto: la Russia non ha minimamente intenzione di abbandonare una regione dove ha ritrovato il suo rango di superpotenza mondiale per stringere un’infida alleanza con il blocco atlantico, lo stesso che ha ordito il cambio di regime in Ucraina e fomenta il terrorismo dentro i confini russi. Nei giorni che seguono il raid americano in Siria, l’intesa tra Mosca e Damasco non vacilla minimamente e si assiste, al contrario, ad un incremento del dispositivo militare russo e dei contatti con Teheran in vista di ulteriori attacchi americani: l’8 aprile la moderna fregata Admiral Grigorovich attraversa il Bosforo per posizionarsi davanti alle coste siriane, quasi contemporaneamente è diffuso in forma ufficiosa un comunicato congiunto di Mosca, Teheran ed Hezbollah che promette ritorsioni nel caso in cui gli USA violino di nuovo “la linea rossa” dell’ingerenza militare 6, il 9 aprile Vladimir Putin e l’omologo iraniano, Hassan Rouhani, intrattengono un colloquio telefonico per condannare congiuntamente l’azione statunitense.
Putin rimane sordo alle offerte occidentali e l’esplicito riferimento a Saddam Hussein ed all’armi di distruzione di massa, è una spia di quanto il Cremlino tema che possa avvenire dopo il suo rifiuto di “riallinearsi agli USA”: nuovi attacchi chimici e nuove accuse ad Assad7, prodromo dell’intervento militare americano in Siria. Fallito infatti il tentativo di Tillerson di incunearsi tra Mosca e Damasco, torna infatti alla ribalta il piano di Nikki Haley e dei falchi dell’amministrazione Trump: “If you gas a baby, if you put a barrel bombing to innocent people, I think you can see a response from this president” ha affermato il 10 aprile il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, spalancando le porte di un intervento militare con un ampissimo margine di discrezionalità della Casa Bianca.
Altra prova dell’aggressività angloamericana è la strage di domenica 9 aprile alle due chiese copte a Tanta e ad Alessandria d’Egitto: l’attacco rivendicato dall’ISIS e costato la vita ad una cinquantina di persone, costringe il presidente Abd Al-Sisi a proclamare lo stato d’emergenza per tre mesi, extrama-ratio contro la perdurante destabilizzazione di cui il Paese arabo è vittima 2011. Parliamo dello stesso Egitto che, dopo la Primavera Araba del 2011 e la tragica presidenza della Fratellanza Mussulmana, è progressivamente entrato nell’orbita russa, stipulando contratti miliardari, comprando ingente materiale bellico e progettando una comune strategia nella vicina Libia: colpire la comunità cristiana significa colpire il laico e nazionalista Ab Al-Sisi e, in ultima analisi, il nuovo partner mediorientale della Russia. L’ennesima spintarella affinché Mosca si “riallineai agli USA”.
Parella al dossier siriano, procede la crisi in Nord Corea: i destini di Damasco e di Pyongyang sembrano legati a doppio filo dall’attacco chimico di Idlib. Il raid del 7 aprile coincide con il vertice in Florida tra il presidente Trump e quello cinese Xi Jiiping, “protettore” della Corea del Nord come Putin lo è della Siria. Il 9 aprile, una flotta di navi americane guidate dalla portaerei americana USS Carl Vinson si dirige verso la penisola coreana. L’11 aprile, il presidente Donald Trump si dice pronto ad un intervento militare contro il regime nord-coreano: “la Repubblica Popolare di Corea è pronta a reagire con ogni modalità di guerra desiderata dagli Stati Uniti” risponde perentoriamente Pyongyang di fronte allo scenario di un’aggressione militare americana sempre più concreta. L’atomica, dice il regime nord-coreano, è un’arma indispensabile per prevenire attacchi simili al bombardamento in Siria.
In Estremo Oriente come nel Levante, il neo-presidente ha rapidamente assunto una postura diametralmente opposta alle promesse di disimpegno militare, abbandonando i vaghi propositi neo-isolazionisti ed adagiandosi al più classico interventismo in difesa dell’impero angloamericano. È possibile leggere in maniera organica le ultime mosse di Donlad Trump in Siria e Corea?
La strategia angloamericana messa in atto col raid aereo del 7 aprile è un maldestro tentativo di separare Mosca e Pechino: inscenando l’attacco chimico, bombardando la Siria con un raid puntuale ed invitando il Cremlino di abbandonare Assad, l’establishment atlantico offre alla Russia “l’occasione di riallinearsi agli USA ed agli altri Paesi del G7”, schierandosi così implicitamente nel blocco occidentale. Parallelamente è attuata la manovra per svincolare la Cina da Mosca: durante la visita in Florida del presidente cinese, Trump offre probabilmente a Xi Jiiping l’intangibilità del regime nord-coreano in cambio di un allentamento dei rapporti economici e politici col vicino gigante russo: ecco spiegata la simultaneità delle due crisi.
È un’operazione che si sta rivelando drammaticamente fallimentare: né Putin ha intenzione di abbandonare la Siria e tagliare i ponti con la Cina, né Jiiping è disposto a farsi ricattare dagli USA. I media cinesi hanno prontamente condannato il raid aereo del 7 aprile, schierandosi implicitamente con Mosca8, e la diplomazia russa ha già preso una ferma posizione contro un’ipotetica azione militare di Washington nella penisola coreana9. La disperazione angloamericana è dimostrata dal precipitare della situazione in Nord Corea: se Putin fosse rientrato nei ranghi dell’Occidente o se Jiiping avesse accettato di isolare la Russia, un eventuale intervento militare contro Pyongyang non sarebbe più all’ordine del giorno.
Dinnanzi alla monoliticità del blocco euroasiatico e all’avvicinarsi di un appuntamento elettorale, le presidenziali francesi, che rischia di infliggere il colpo di grazia alla UE/NATO con la vittoria di Marine Le Pen, cosa farà l’establishment atlantico? Procederà con un blitz in Nord Corea, simile a quello del 7 aprile, per poi passare all’invasione della Siria? E, soprattutto, cosa faranno Russia e Cina di fronte all’aggressività sempre più sfrenata gli Stati Uniti? Le tensione del sistema internazionale è destinata ad aumentare incessantemente nelle prossime settimane.
1http://edition.cnn.com/2017/04/09/middleeast/syria-missile-strike-chemical-attack-aftermath/
2http://edition.cnn.com/2017/04/10/politics/nikki-haley-syria-donald-trump/
3http://www.cnbc.com/2017/04/06/trump-tillerson-suggest-assad-should-be-removed-in-apparent-reversal.html
4http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-8d35fa90-15b7-407c-b1d6-da0f86e284fb.html
5http://www.agenzianova.com/a/58ecb3767adef7.98066737/1544539/2017-04-11/siria-ministro-francese-ayrault-a-g7-nessuna-soluzione-con-assad
6http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-syria-allies-idUSKBN17B0K7
7http://www.lastampa.it/2017/04/11/esteri/mattarella-da-putin-rafforzare-i-nostri-rapporti-con-la-russia-eJKD5SD01YLqhx5sRpo58H/pagina.html
8https://www.nytimes.com/2017/04/08/world/asia/china-xi-jinping-president-trump-xinhua.html
9http://www.reuters.com/article/us-usa-russia-tillerson-northkorea-idUSKBN17D147
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