Per capire la dinamica del tentato omicidio dell’ex spia russa Sergei Skripal e di sua figlia Yulia nella cittadina inglese di Salisbury, bisogna partire da un presupposto: nel mondo sovietico prima, e in quello russo poi, esiste una filosofia dell’intelligence che è molto più radicata e spregiudicata di quanto non lo sia in Occidente. Nel 1943 dopo che alla CEKA (il corpo di polizia politica sovietico creato dal Lenin) era succeduto l’NKVD (il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni), venne istituita una divisione speciale che si chiamava SMERSH, acronimo di SMERt’ SHpionam, ossia “morte alle spie”. Questa divisione era dedicata espressamente all’eliminazione dei traditori.
D’altronde, sin dagli anni Trenta del Novecento la soluzione escogitata dalla dirigenza sovietica per arginare il fenomeno era l’uccisione di ciascuno di essi. Ciò è accaduto soprattutto in Francia e in Austria mentre in altri casi, con un’intelligente e diabolica capacità di convincimento, i “traditori” venivano persuasi a tornare in Unione Sovietica per dare il loro contributo alla patria. Tuttavia, appena questi passavano la frontiera, venivano comunque uccisi.
In tempi più recenti, il fenomeno delle uccisioni di spie e traditori si è ridotto, ma il modus operandi non è mai cambiato: basti pensare a quanto avvenuto a Londra nel 1978, in pieno clima di Guerra Fredda, al dissidente bulgaro Gergi Markov, assassinato con la punta avvelenata di un ombrello; oppure all’ex agente dell’FSB, Aleksandr Litvinenko, morto sempre a Londra nel 2006 a causa di un avvelenamento da radiazione da polonio-210; per concludere con il tentato omicidio della Skripal nel centro di Salisbury, la cittadina inglese dove l’ex spia russa viveva in esilio insieme alla figlia.
Come ha sottolineato lo stesso premier britannico Theresa May, tutte queste operazioni fanno certamente parte della “messaggistica” dei servizi segreti russi. E il messaggio è che ai traditori non verrà mai data tregua. Ragion per cui questi omicidi rappresentano una sorta di avviso preventivo, che serve a educare tutti i detentori di segreti russi. L’approccio secondo cui il traditore va punito, contraddistingue da sempre l’antropologia culturale dell’intelligence russa, e non ci sono motivi per credere che nel transito dal KGB – il Comitato per la sicurezza dello Stato – all’FSB – i Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa – ci siano stati sostanziali cambiamenti.
Nel complesso, questo excursus storico rappresenta però solo un insieme di cosiddette “prove circostanziali” che da sole, ovviamente, non bastano a ritenere colpevole Mosca di quanto avvenuto (a meno che il servizio inglese non abbia fornito a Scotland Yard prove sufficienti ad avvalorare l’accusa).
Dunque, per il momento ha ragione il presidente russo Vladimir Putin quando dice – non senza una punta d’imbarazzo – che il governo britannico, accusando Mosca ha messo in piedi un «circo». Se l’autore del tentato omicidio verrà preso, e se emergeranno prove di un coinvolgimento diretto dei servizi segreti russi, allora queste accuse avranno un senso e un peso politico specifici. Altrimenti, le frecciate del premier britannico non avranno alcun peso o, quantomeno, non tale da creare troppo imbarazzo al Cremlino, impegnato nella rielezione del suo leader e candidato alle elezioni presidenziali il 18 marzo. Anche se, a dire il vero, il timing dell’azione difficilmente non entrerà nel dibattito pre-elettorale.
Quanto accaduto a Salisbury contiene, in ogni caso, anche un altro spunto di riflessione che chiama in causa più in generale l’Europa e l’Occidente e il loro rapporto con la Russia: nel confronto tra partner internazionali, infatti, le agenzie d’intelligence occidentali non possono trascurare gli aspetti culturali degli interlocutori che hanno di fronte.
Quando si ha a che fare con i russi, cioè, bisogna conoscere le loro “regole del gioco” e sapere come si comportano con gli informatori. I nostri servizi segreti possono dunque continuare a reclutare agenti per usarli nelle loro operazioni, ma devono avere ben chiari i rischi cui li mandano incontro, e sapere come tutelarli da possibili vendette. È forse cinico doverlo sottolineare, ma è così che va la vita nel mondo dell’intelligence.
Commenti recenti