Il mercato immobiliare cinese è fuori controllo e ciò rappresenta un grande rischio per l’economia mondiale
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Mauro Bottarelli)
Quanto peserà – se peserà – la guerra commerciale fra Usa e Cina sull’esito delle elezioni di mid-term?
Donald Trump riuscirà a caricare di orgoglio nazionalistico (e un po’ farsescamente autarchico, in un mondo totalmente globalizzato e finanziarizzato) la sua crociata contro Pechino, nonostante questo possa paradossalmente portare con sé, nel breve termine, il colpo di coda negativo di un aumento dei prezzi di largo consumoimportati dalla Cina e, quindi, un’erosione del potere d’acquisto per quella middle-class cui il presidente si rivolge?
Questi tre grafici mettono in prospettiva tre aspetti della vicenda.
- Bank of America-Merrill Lynch
Il primo ci mostra come, nel giorno dell’annuncio di nuovi dazi per un controvalore di 200 miliardi di dollari su merci importate dalla Cina (e conseguente reazione cinese per 60 miliardi di prodotti Usa), il mercato non abbia fatto un plissè, a livello di percezione di rischio o preoccupazione immediata.
Gli altri due grafici mostrano parzialmente il perché: se infatti ci troviamo di fronte a un disequilibrio di forza esportatrice netto, tanto che la Cina ha potuto reagire “solo” con 60 miliardi di controvalore su beni importati da Washington, un paio di elementi fanno pensare a una guerra più di nervi che oggettiva.
- Bloomberg
Se infatti la Casa Bianca non solo ha esentato dai dazi i prodotti Apple di più largo consumo ma anche imposto tariffe penalizzanti solo del 10% rispetto al 25% della prima tranche, ecco che man mano che si andrà avanti con la disputa, Washington si troverà costretta a fare i conti con un novero di beni sempre più essenziale per il grande pubblico statunitense, quindi con il già citato ricasco a livello di aumento dei prezzi, mentre Pechino dovrà giocoforza cambiare la propria strategia, stante la scarsezza relativa di beni importati.
- Bloomberg
Quindi, colpire dove fa più male – ad esempio penalizzando pesantemente proprio marchi come Apple – o, addirittura, passare direttamente a sanzioni per gli investimenti statunitensi sul proprio suolo. Il tutto, dopo l’assaggino offerto la scorsa settimana da Jack Ma, il quale dalla sera alla mattina ha annunciato l’abbandono del progetto di Alibaba negli Usa, strombazzato dallo stesso Trump come suo primo, grande risultato in fatto di attrattività degli investimenti (quando ancora la Cina era un Paese amico e non manipolatore valutario e Xi Jinping veniva invitato nella residenza in Florida del presidente per cena, oltretutto con il fuori programma di un via libera al bombardamento della Siria fra secondo piatto e dessert) e che vedrà andare in fumo circa 1 milione di posti di lavoro promessi.
E se nel mese di agosto sia il porto di Long Beach che quello di Oakland hanno conosciuto un traffico merci record (rispettivamente +9,4% e 9,2%, su dati Bloomberg), proprio in anticipo rispetto all’atteso nuovo round di dazi che prenderà il via da lunedì 24 settembre, sono la prospettiva di medio termine e la percezione generale sullo stato dell’economia mondiale a fare la differenza, in vista del voto del 6 novembre.
E qui può venirci incontro Bank of America-Merrill Lynch con il suo ultimo sondaggio fra i gestori di fondi, dal quale si evince parecchio. E non di positivo. Questi grafici offrono un quadro abbastanza ad ampio spettro delle dinamiche in atto e attese: se il primo non ha bisogno di particolari commenti e parla la lingua di previsioni nere per l’economia globale nei prossimi 12 mesi,
- Bank of America-Merrill Lynch
il secondo e il terzo ci dicono di più.
- Bank of America-Merrill Lynch
A livello ditail risk, infatti, i 200 manager interpellati pensano che sia proprio la guerra commerciale quello più probabile ma con un calo abbastanza netto fra agosto e settembre, mentre sono aumentati i timori per una contrazione monetaria (leggi la prosecuzione del processo di normalizzazione dei tassi della Fed) e per un rallentamento proprio dell’economia cinese. E al netto di questo e degli indici azionari, i quali vedono Wall Street sulle stelle e tutti gli altri a livello globale nelle stalle, addirittura in bear market per quanto riguardo l’MSCI dei mercati emergenti, quale potrà essere l’elemento di riequilibrio della situazione per i gestori di fondi?
- Bank of America-Merrill Lynch
Non un’accelerazione del resto del mondo (Europa e Asia) e nemmeno la prosecuzione del decouple, la biforcazione in atto ma una decelerazione dell’economia Usa, oltretutto con un netto aumento del consenso per questo epilogo registrato fra agosto e settembre.
Insomma, se vogliamo unire le due dinamiche, verrebbe da dire che entrambe le parti in causa nel conflitto usciranno sconfitte dalla disputa, a livello di crescita economica e prospettive macro. Perché allora fare la guerra?
Certo, per Donald Trump conta molto l’aspetto ideologico del conflitto con Pechino ma un’altra dinamica pare ancora più interessante. E, paradossalmente, svelante di una realtà tanto parallela quanto decisamente contingente: se Usa e Cina rischiano di pagare sul medio/lungo termine la guerra in atto, qualcun’altro rischia di anticipare non poco il proprio redde rationem, divenendo praticamente da subito e di fatto vittima proxy del conflitto.
L’Europa, attraverso il contagio dei mercati emergenti via export. Questi due grafici mettono la questione in prospettiva: il primo ci mostra come, appunto, la prima vittima di contagio diretto di un’eventuale accelerazione e peggioramento della crisi valutaria/debitoria dei mercati emergenti sarà appunto l’eurozona, stante il peso specifico del suo export sul dato del Pil.
- Bank of America-Merrill Lynch
Il secondo, invece, mostra plasticamente come a livello di sostenibilità degli assets e capacità di off-set sul regime sanzionatorio globale rispetto all’export per i mercati emergenti, solo una stabilizzazione nel livello di erogazione del credito e di crescita degli investimenti in Cina può risultare determinante.
Insomma, solo il ritorno di Pechino al ruolo di emanatore di impulso creditizio globale e di output interno può fungere da stampella credibile ai disequilibri fiscali in dollari di Paesi come la Turchia, altrimenti il rischio che quei debiti esteri agiscano come bombe a mano senza spoletta sui mercati cresce di intensità con il passare delle settimane. Se non dei giorni. Sarà così, Pechino sarà il “cavaliere bianco” del mondo, mentre Donald Trump cerca di capitalizzare a livello di retorica una guerra che, già dal prossimo inverno inoltrato, potrebbe far pagare conti inaspettati al consumatore americano (in una nazione che vede i consumi pesare per il 70% del Pil)?
Questi quattro grafici, sembrano darci due quadri discordanti al riguardo. Il primo ci mostra come la scorsa settimana, nonostante i guai turchi e argentini e l’instabilità pre-elettorale in Brasile, l’ETF di riferimento per i mercati emergenti, lo JEML di JP Morgan, abbia visto un inflow di capitali pari a 169 milioni di dollari, il massimo da giugno 2017.
- JP Morgan
Ritrovata fiducia oppure ultima corsa in giostra per massimizzare prima di darsela a gambe dal comparto? Se è vera l’analisi che vede solo un intervento creditizio e un ritorno alla crescita stabile della Cina come elemento stabilizzatore, pare vera la seconda ipotesi, visto che il grafico numero due ci mostra come i prezzi della case in Cina siano aumentati al ritmo massimo da due anni sia a giugno che luglio che agosto (rispettivamente +1,1%, 1,2% e 1,5%).
Sintomo che, nonostante la nuova politica di contenimento creditizio posta in essere dalla autorità cinesi per sgonfiare la bolla del sistema bancario ombra e dell’enorme mercato obbligazionario junk ad esso collegato, Pechino sta pericolosamente rischiando di perdere il controllo del mercato real estate, quello che tutti gli analisti ritengono sia ilworst case scenario per l’economia del Dragone e per il suo ruolo di booster della crescita globale, creditizia e non.
Gli ultimi due grafici, al riguardo, parlano da soli e mettono drammaticamente in prospettiva la dinamica debitoria di cui stiamo parlando.
Ora, se nonostante la ristrettezza dello stimolo creditizio iniettato nel sistema a livello interno con la svolta imposta da Xi Jinping e PBOC (la Banca centrale) per sgonfiare le bolle, quel “poco” è finito quasi interamente nell’asset a maggiore rischio sistemico, qualcosa di davvero poco tranquillizzante bolle in pentola.
E, salvo situazioni emergenziali, difficilmente una dinamica interna simile porterà a un allentamento delle condizioni monetarie e a una rinnovata politica espansiva. Ma, nel classico caso di cane che si morde la coda, più Pechino si ritira a livello di impulso monetario dal quadro globale, più i rischi che altre situazioni – come quella dei mercati emergenti, ad esempio – vadano fuori controllo, salgono.
E con essi, il contagio ad aree più economicamente forti e strutturali, vedi l’eurozona. Insomma, più che direttamente sulle elezioni di mid-term attraverso la guerra dei dazi, la Cina rischia di pesare a livello di prospettive globali di medio termine, come mostrava il grafico relativo al consensus dei gestori di fondi per un rallentamento dell’economia Usa come riequilibrio (al ribasso, in questo caso) economico mondiale.
Perché, quindi, dar vita a una disputa commerciale inutile, a conti fatti, se non addirittura dannosa, quando porta con sé l’ontologico rischio di tramutarsi in detonatore potenziale di un anticipo della prossima recessione? A pensar male si fa peccato ma, forse, Pechino riaprirà i cordoni solo quando la Fed smetterà di stringerli: insomma, i due player globali potrebbero essere tentati di usare una guerra commerciale per indurre un peggioramento delle condizioni tale da rimettere in discussione l’intera narrativa della contrazione monetaria, questo senza smentire clamorosamente le linee politiche delle rispettive leadership e appellandosi al clima emergenziale che lo richiede.
Emergenza che, ovviamente, esploderà lontano da casa, vedi la Turchia o l’eurozona. Ma che, potenzialmente, potrebbe fare abbastanza fumo sui mercati da far gridare all’incendio e alla necessità di un rapido intervento dei pompieri in tutto il mondo. Il tutto, a elezioni di mid-term terminate e con la loro retorica patriottica e anti-cinese intatta, almeno alla prova dei fatti e degli scontrini nei centri commerciali. E, invece, con quelle europee che entrano nel vivo.
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