“L’Australia non teme la Cina”
di LIMES (Giorgio Cuscito)
Carta di Laura Canali – 2018
BOLLETTINO IMPERIALE Conversazione con Robert (Bob) Carr, già ministro degli Esteri australiano, direttore dell’Istituto per le relazioni Australia-Cina (Acri) presso l’Università della Tecnologia di Sidney.
LIMES Può spiegarci perché sono aumentate le tensioni tra Australia e Cina e quale è lo stato attuale delle relazioni tra i due paesi?
CARR. Canberra ha assunto toni critici verso la Repubblica Popolare all’inizio del 2017, quando l’allora primo ministro Malcolm Turnbull e il ministro degli Esteri Julie Bishop hanno pronunciato discorsi molto duri nei confronti di Pechino. Di fatto, avevano dichiarato una guerra retorica alla Cina, il cui culmine è stato raggiunto nel dicembre 2017. Quel mese, Turnbull ha annunciato nuove leggi per prevenire lo spionaggio e l’influenza straniera in seguito alla divulgazione di preoccupanti rapporti circa le attività di spionaggio cinese nel nostro paese. In parlamento, il primo ministro ha detto che gli australiani dovevano “sollevarsi” contro l’influenza di Pechino per affermare la loro sovranità. Turnbull ha paragonato questo incitamento a quello che Mao rivolse ai cinesi quando fondò la Repubblica Popolare. La dichiarazione, tutt’altro che diplomatica, fu uno schiaffo in faccia a Pechino.
A cavallo tra il 2017 e il 2018, Canberra ha tentato di ricostruire i rapporti e le tensioni con la Cina si sono allentate. Turnbull non ha appoggiato Washington quando quest’ultima ha dichiarato che la Repubblica Popolare è un rivale strategico. Tale definizione non rispecchia la prospettiva australiana poiché Pechino non ha intenti ostili nei nostri confronti. Scott Morrison, succeduto a Turnbull nell’agosto 2018, ha cercato di dare seguito al disgelo delle relazioni sino-australiane. Per esempio, ha preso le distanze dalle misure prese da gli Usa contro la Cina sul piano commerciale ed economico.
LIMES Eppure Canberra ha adottato alcune misure rigide nei confronti della Repubblica Popolare, per esempio ha impedito a Huawei e Zte di costruire la rete 5G sul proprio territorio…
CARR Gli Usa sono riusciti a convincere gli altri membri dei Five Eyes (Canada, Regno Unito, Nuova Zelanda e Australia) che è rischioso permettere alle aziende cinesi di sviluppare la loro rete 5G. Il recente cambio di atteggiamento del Regno Unito e del Canada nei confronti di Pechino è molto significativo. Mi auguro che Canberra non abbia escluso Huawei solo perché glielo hanno chiesto gli americani. Non so quale sia la valutazione del governo australiano e non ho visto le analisi di sicurezza circa le attività di questa azienda, ma chiaramente coloro che lo hanno fatto le hanno prese seriamente in considerazione.
LIMES L’Australia considera la Cina una minaccia ai propri interessi nazionali?
CARR Il governo e la popolazione non vedono la Cina in questo modo. Secondo un sondaggio pubblicato dal Lowy Institute a giugno, l’82% degli australiani percepise questo paese come un’opportunità economica piuttosto che un pericolo sul piano militare. Il dato in questione ha registrato un aumento di cinque punti percentuali rispetto ai due anni precedenti, malgrado i media occidentali abbiano alimentato il panico nei confronti della Cina.
Canberra intende cogliere i vantaggi derivanti dalle relazioni economiche con la Repubblica Popolare, tenendo conto dell’aumento delle tensioni tra Washington e Pechino. Ad ogni modo, Mike Pence e James Mattis (il vicepresidente e l’allora segretario di Stato Usa, ndr) hanno detto che la sopramenzionata rivalità strategica non implica l’ostilità. Con questa affermazione, hanno in sostanza invitato gli alleati a mantenere i rapporti economici con la Repubblica Popolare, consolidando allo stesso tempo quelli securitari con gli Stati Uniti. Ciò offre a Canberra la possibilità di continuare a interagire con Pechino.
LIMES Il dialogo quadrilaterale di sicurezza (quad) composto da Usa, Australia, India, Giappone rappresenta una misura concreta per contenere la Cina?
CARR Penso che il quad serva a dimostrare che i paesi coinvolti potrebbero adottare una risposta strategica comune qualora la Cina diventasse più assertiva. L’Australia non ha partecipato all’incontro avvenuto lo scorso novembre a margine del G20 e a cui hanno partecipato gli altri tre paesi. Inoltre, Giappone e India continuano a dialogare bilateralmente con la Cina sul piano politico ed economico. L’incontro tra Xi e Modi svoltosi a Wuhan lo scorso maggio è stato piuttosto cordiale, dimostrando che le politiche di Delhi non sono decise da Washington. Anche Abe ha cercato di avere rapporti più distesi con Pechino. Non aveva alternative visto che Trump ha gestito la crisi coreana senza consultare Tokyo nella maggior parte delle occasioni.
LIMES I timori verso la Cina emersi in Australia hanno avuto conseguenze sul piano culturale e accademico?
CARR Nel 2017, il “panico nei confronti della Cina” ha pervaso i media, ma gli episodi che l’hanno generato sono sparuti. Si è asserito che gli studenti cinesi operano per conto del Partito comunista. La moltitudine di articoli giornalistici pubblicati a riguardo si basa solo su quattro casi in cui studenti della Repubblica Popolare hanno criticato i loro professori per ciò che avevano detto sul loro paese. Quattro casi sono veramente pochi se si pensa che i cinesi iscritti nelle università australiane sono oltre 200 mila. Le loro spese rappresentano la prima fonte di entrate da attività di istruzione internazionale del nostro paese. Il turismo proveniente da questo paese e la formazione offerta ai suoi studenti genera più reddito dell’esportazione di beni verso la Repubblica Popolare, la quale resta tuttavia molto alta.
Un altro caso di “panico verso la Cina” si è registrato nel 2016, quando l’azienda cinese Landbridge ha preso il controllo del porto di Darwin per un periodo di 99 anni. Eppure gli apparati di sicurezza hanno respinto l’ipotesi secondo cui ciò avrebbe facilitato lo spionaggio cinese. Gli Usa hanno perfino commissionato segretamente un sondaggio per verificare l’opinione degli australiani su questo argomento.
È naturale che la prorompente ascesa cinese induca gli altri paesi a provare timore. Tuttavia, dobbiamo distinguere tra la paura ingiustificata e i dossier più sensibili, come il Mar Cinese Meridionale e la Belt and Road Initiative (le nuove vie della seta).
LIMES La Cina cerca di aumentare la presenza in Papua Nuova Guinea e Vanuatu, che tradizionalmente rientrano nella sfera d’influenza australiana. È un problema per Canberra?
CARR L’Australia non vuole perdere la sua influenza nei paesi arcipelagici a beneficio della Cina. Ciò spiega perché Canberra abbia annunciato un nuovo investimento in collaborazione con gli Usa nella base militare di Manus in Papua Nuova Guinea. Inoltre, Canberra ha manifestato la sua preoccupazione quando è emersa la possibilità di una base cinese a Vanuatu. In un contesto di cooperazione con Pechino, possiamo farle comprendere che è più conveniente preservare i rapporti con noi piuttosto che cercare di espandere la propria influenza in un’area geografica in cui la sua presenza è così limitata.
Canberra inoltre sostiene la libertà di navigazione e non riconosce la cosiddetta “linea dei dieci tratti” con cui Pechino marca le rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale. Tuttavia, l’Australia ha messo in chiaro che non intende condurre operazioni di navigazione con Washington a largo delle isole artificiali cinesi. Dal canto suo, Pechino dovrebbe cercare di allentare la tensione, mettere da parte le dispute marittime, aderire a quanto previsto dal diritto internazionale e trovare un accordo con gli altri paesi rivieraschi per lo sfruttamento congiunto delle risorse in queste acque.
LIMES L’Australia non partecipa ufficialmente alle nuove vie della seta eppure lo Stato di Victoria ha firmato un memorandum di adesione con Pechino. Perché?
CARR Il memorandum d’intesa firmato dallo Stato di Victoria è semplicemente una dichiarazione d’intenti, priva di contenuti. Lo stesso vale per quello firmato dalla Nuova Zelanda. Canberra vorrebbe dare inizio a un flusso di progetti infrastrutturali specifici e trasparenti, che stimolino il coinvolgimento del settore privato australiano. In questo modo, è possibile superare la diffidenza domestica nei confronti della Cina.
LIMES Che posizione dovrebbe avere l’Australia nella competizione tra Cina e Usa?
CARR Se degenerasse, la guerra economica sino-statunitense danneggerebbe l’economia mondiale. Dovremmo suggerire a Washington di evitare la collisione. Un terzo delle esportazioni australiane è diretto verso la Cina. Se l’economia cinese smettesse di crescere, ciò si ripercuoterebbe sul nostro paese e potrebbe addirittura determinarne la recessione.
Fonte: http://www.limesonline.com/rubrica/australia-cina-usa-bob-carr-intervista
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