Conosco bene quella sensazione: dopo un certo periodo di tempo, con un gesto del tutto automatico, la mano scivola nella tasca, alla ricerca del cellulare. Facebook, Twitter, Instagram: è il primo rituale del mattino e l’ultimo della notte, e di mille altre volte durante la giornata, controllare le notifiche, la mail, le ultimissime news che non posso perdermi. FOMO, la chiamano gli esperti: Fear of missing out, paura di perdere qualcosa, come la notizia del momento.
È proprio scorrendo tra le news che me ne capita sott’occhio una particolarmente curiosa: andare in bagno di notte avrebbe un effetto negativo sulla produttività. Controllo che non sia qualche sito satirico, no, la fonte è affidabile e correlata pure di dati. Sembra assurdo, ma qualcuno ha davvero calcolato i costi economici di un’abitudine tutta umana e il suo (pesante) impatto sul PIL.
Questa “notizia” mi colpisce in particolar modo perché sto leggendo un libro che, illustrando il concetto di ipercapitalismo, lo definisce come “un sistema per il quale la redditività è il principio, la causa unica e il solo criterio dell’essere e del non-essere”. Vivere per consumare, consumare durante il tempo libero, devolvere il tempo libero alla produttività e non al caro vecchio otium, quell’attività slegata da ogni calcolo economico che Catone descriveva “oziare con dignità”.
“Cronofagia – Come il capitalismo depreda il nostro tempo” di Davide Mazzocco, in uscita per la casa editrice D Editore nella collana Nextopie, è un saggio di facile lettura che si pone l’obiettivo, ben riuscito, di definire i confini di una servitù volontaria nella quale tutti oggi, e in special modo con la predominanza dei social network e l’invadenza della tecnologia in ogni ambito della vita, siamo legati.
Come ben evidenzia l’autore, è proprio il tempo, oggi, la valuta più preziosa e al contempo la più depredata dal nuovo capitalismo cronofago: il consumatore non è più solo un giacimento di denaro, ma soprattutto di minuti della sua vita, che per molte imprese, soprattutto dello spettacolo, equivale a una fonte di profitto. Ogni istante che è possibile sottrarre all’uomo, deve essere volto al consumo o alla produzione: “perché l’ipercapitalismo dovrebbe lasciarci il tempo per la noia e la contemplazione?”.
L’inganno della velocità risiede proprio in questo paradosso: con il capitalismo digitale, il consumatore spende per risparmiare tempo, e trascorre il tempo risparmiato consumando. La tecnologia che oggi ci permette questa rapidità ha, di fatto, ucciso il concetto stesso di “tempo morto”, generando una spirale che si è tradotta in molti fenomeni tipici della nostra modernità: la durata dei film e delle canzoni, per esempio, si è ridotta rispetto a quarant’anni fa, perché oggi la pazienza dei consumatori è minore; e al contempo, sono aumentati i casi di insonnia, spesso accompagnata dal cosiddetto binge-watching di serie televisive; fino ai casi estremi dell’isolamento dalla società, come nel sempre più diffuso caso degli hikikomori.
Ma il tempo, prevede l’autore, in un prossimo futuro diventerà una moneta di scambio e una discriminante tra le parti ricche e le parti povere della società: se già oggi esiste una separazione fisica causata dalla struttura delle grandi città – gli abbienti in zone centrali, i poveri in zone periferiche, e dunque costretti a perdere tempo spostandosi – in un tempo non lontano potrebbe essere la morte, e dunque la conquista della fine del mondo, la prossima frontiera della cronofagia; l’avanzamento nella tecnologia della crioconservazione per il mantenimento in ibernazione dei corpi può generare un’ulteriore spaccatura nella società tra chi è, grazie al proprio potere economico, “degno” di possedere il tempo e chi, invece, è condannato a vedere la propria clessidra terminare.
Vita, morte, e in mezzo un eterno presente fatto di eterna reperibilità e perenne connessione con il mondo, filtrato dalla realtà parallela dei social network. Ma, avverte infine l’autore, “contrastare la deriva cronofaga significa smarcarsi dalla reificazione e dalla mercificazione delle relazioni personali e del tempo libero”, cioè riscoprire il tempo in sé e “non in relazione alle entrate e alle uscite”. Il valore del tempo, infatti, nel prossimo futuro dovrà “essere messo al centro della politica, delle decisioni sul welfare, della pianificazione urbana e dell’organizzazione del lavoro”. Il saggio di Mazzocco, intanto, è un ottimo punto di partenza per contrastare questa nuova forma di politica predatoria. Da leggere con la giusta lentezza.
(di Federico Bezzi)
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