La sinofobia è un pranzo di gala
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
Filippo Romeo
Secondo molti l’operazione messa in campo dalla Cina per aiutare Italia avrebbe l’obiettivo di costruire l’immagine di un Paese responsabile e generoso per camuffare la vera finalità: penetrare le nostre industrie strategiche, le telecomunicazioni e perfino la nostra intelligence.
Mentre la pandemia si diffonde vorticosamente in tutto il globo accrescendo a dismisura il numero dei contagiati e quello delle vittime, una densa campagna mediatica alimenta il sospetto sulla bontà degli aiuti umanitari ricevuti in Italia dalla Repubblica Popolare Cinese e dalla Federazione Russa. In tale scenario, l’operato di alcuni media e think tank di settore sta, infatti, giocando un ruolo decisivo presso l’opinione pubblica nel diffondere un clima di diffidenza e di tensione che si tramuta in confusione e sfiducia sull’efficacia dell’azione umanitaria intrapresa da questi Stati. Ciò non tenendo in considerazione l’importanza delle relazioni con essi e le conseguenze di carattere geopolitico ed economico che ne potrebbero derivare.
Di russofobia ne abbiamo ampiamente parlato su queste colonne, per cui è invece utile sottolineare il clima di sospetto nei confronti degli aiuti umanitari cinesi. Su alcune testate giornalistiche il livello di guardia nei confronti del soft power cinese raggiunge livelli considerevoli, al punto da definirlo “emergenza nell’emergenza”. La tesi prevalente è che Pechino, al pari di Mosca, abbia elaborato una strategia basata sull’amplificazione di notizie attraverso l’utilizzo di account social di diplomatici e ambasciate. Alcuni analisti, puntando il dito contro gli intellettuali che hanno espresso gesti di gratitudine verso Pechino, si sono spinti ancora oltre stigmatizzandoli come “arruolati” nella rete di informazione filo – cinese in Occidente. Secondo costoro l’operazione messa in campo dalla Cina avrebbe l’obiettivo di costruire l’immagine di un Paese responsabile e generoso per camuffare la vera finalità: penetrare le nostre industrie strategiche, le telecomunicazioni e perfino la nostra intelligence.
Tuttavia, si registra, che l’impegno profuso nel comprendere le mosse di Pechino viene completamente a mancare sull’azione d’aiuto statunitense. Perché due pesi e due misure? Sarebbe opportuno analizzare approfonditamente, o quantomeno con pari perizia, anche l’azione degli Stati Uniti riguardo l’Europa, in generale, e l’Italia, più in particolare. Sarebbe senz’altro un valore aggiunto, per comporre il puzzle e avere una visione d’insieme, porre attenzione ad alcuni passaggi emersi dall’intervista rilasciata dall’Ambasciatore degli Stati Uniti Eisenberg a Lucia Annunziata. Sarebbe, interessante, ad esempio, interrogarsi sul perché sua Eccellenza si sia soffermato in modo particolare sul Presidente Conte, elogiandone l’operato, e abbia ridimensionato notevolmente il ruolo del Ministro degli Esteri Di Maio.
Se volessimo diradare la coltre di fumo che si addensa intorno a tali azioni mediatiche e provare a guardare obiettivamente la vicenda nel suo complesso, noteremmo che la diplomazia umanitaria ha un sua tradizione antica e ben consolidata. Tra Italia e Russia, per esempio, un’azione di sostegno è stata fatta nel 1908, a seguito del terremoto del 28 dicembre che ha distrutto l’area dello stretto in occasione del quale la marina russa fu la prima a giungere in soccorso della popolazione messinese. Anche di recente la Russia in più occasioni ha onorato gli appuntamenti con le grandi missioni umanitarie. Si pensi alla missione in Africa per sconfiggere l’Ebola, di cui hanno fatto parte gli stessi medici oggi inviati in Italia. Anche la Cina, dal canto suo, può vantare di un’importante tradizione di diplomazia umanitaria che ha raggiunto il palcoscenico globale in occasione del terremoto di Haiti del 2010, a cui vennero inviati cospicui aiuti che prevedevano anche l’impiego di uomini. In quell’occasione la Cina partecipò alla missione, nonostante Haiti riconoscesse Taiwan. Oggi sulla Cina pesa la responsabilità di esserne stata artefice della pandemia. Probabilmente questo è un fattore importante che la spinge ad adoperarsi massivamente in ambito umanitario sia per compensare il danno di immagine e rinsaldare le relazioni internazionali, che per continuare a mantenere aperti i canali commerciali. Sul punto si pensi che molto del materiale esportato dalla Cina (es. le mascherine) sono stati commissionati e acquistati dall’Italia.
E’ innegabile – e del tutto lecito – che la politica, anche e soprattutto durante simili emergenze, continui a fare il proprio corso creando le condizioni utili per migliorare i rapporti con altri Stati e per riposizionarsi sullo scacchiere globale. La Cina, così come la Russia e tutti gli altri attori in campo, non sono esenti da tali logiche e si adoperano a giocare le proprie carte muovendosi all’interno di questo perimetro. Interessante, a tal riguardo l’analisi di Kurt M. Campbell e Rush Doshi apparsa su Foreign Affairs, da cui emerge che gli Stati Uniti, che hanno costruito il proprio status, oltre che sulla ricchezza e sul potere, anche sulla capacità di coordinare risposte globali in tempi di crisi, in questo momento stiano vacillando fornendo risposte inadeguate. E’ per come è ovvio, seguendo le leggi della fisica, la Cina sta provando a colmare quel vuoto creato dagli Stati Uniti.
Se così è, ecco che la solerzia nel mettere in guardia decisori politici e opinione pubblica dalla minaccia di ingerenza proveniente dal soft power cinese risulta ingiustificatamente amplificata e, soprattutto, dimentica della circostanza che negli ultimi periodi il nostro interesse nazionale è stato messo a repentaglio non da presunte minacce provenienti da oriente, ma da vere e proprie Fake news nate in seno “agli alleati” di occidente attraverso le quali sono state generate le risoluzioni ONU, emanate per intervenire sia in Iraq che in Libia. Mutuando le parole di Kissinger, “il mondo non sarà più lo stesso dopo il coronavirus” e, se sfide globali hanno bisogno di risposte globali, l’Italia, per via della posizione geografica, che la pone con la testa in Europa e i piedi nel Mediterraneo, al centro di tre continenti, non può non tenere conto dei nuovi equilibri che vanno profilandosi, del peso di questi nuovi attori e della loro presenza nel Mare Nostrum, adoperandosi a consolidarne i rapporti, ridefinendo anche quelli con l’Europa, all’interno di una cornice unitaria. Senza dimenticare di recuperare il terreno perduto nella sponda sud del Mediterraneo.
Fonte:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri-3/la-sinofobia-e-un-pranzo-di-gala/]
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