Relativismo o prospettivismo? Una nuova idea di comunità
La negazione dei valori assoluti sfocia necessariamente nel relativismo. Ma arrendersi a questa conclusione significa abbandonarsi a quel nichilismo “passivo” di cui parlava Nietzsche. Tolta di mezzo la metafisica, è ancora possibile fondare un ordine morale? Il prospettivismo morale nietzschiano consente di riconsiderare la questione a partire dalla relazione che intercorre tra diverse istanze individuali all’interno di una comunità.
Ogni tentativo di dare una risposta esauriente alla vexata quaestio dell’oggettività dei valori sembra essere troppo ambizioso e, se si esce da una prospettiva metafisico-teologica, addirittura infondato. Tuttavia, non ci si può arrendere di fronte ad un relativismo che ingenuamente afferma l’interscambiabilità ed equivalenza di ogni valore, appiattendo la riflessione morale ad una mera scelta di quale sistema valoriale di volta in volta sembri più adatto a soddisfare le nostre esigenze individuali, o, più in grande, quelle della comunità.
Secondo la tradizione storiografica, il relativismo come posizione filosofica è nato in Grecia con la sofistica, in particolare con Protagora, che in un celebre frammento afferma:
« Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono. »
L’affermazione di Protagora ci dice due cose importanti: non esistono verità assolute e, di conseguenza, non esiste una morale assoluta, proprio perché il discorso non può fondare indubitabilmente nessun sistema di valori. L’unità di misura della verità è dunque l’uomo, che in quanto tale, non è infallibile; secondo questa visione, la retorica assume una posizione preminente, proprio perché è solo l’ambito del discorso che può far prevalere una determinata idea su tutte le altre. La verità, e i valori che essa esprime, non sono assoluti, ma relativi alla “forza” del discorso che li esprime. La posizione protagorea non è però da intendersi come un relativismo assoluto, infatti egli aggiunge che di volta in volta è l’utilità il criterio di discriminazione tra un valore, o un sistema di valori, e tutti gli altri: ciò che appare più utile per la sopravvivenza della comunità diventa vero, diventa cioè il valore etico di riferimento.
Tornando alla domanda iniziale, cioè se si diano o meno dei valori assoluti, il relativista risponderebbe negativamente. Ma per non cadere nel nichilismo o nell’indifferentismo morale, è utile guardare al prospettivismo nietzschiano, che, pur negando l’esistenza di valori assoluti, pone l’attenzione sulle dinamiche relazionali e comunitarie.
In un famoso appunto, Nietzsche scrive che «non esistono fatti, ma solo interpretazioni»; ci sarebbe da soffermarsi sul concetto di realtà in Nietzsche, ma ciò ci porterebbe troppo lontano dalla tematica di questo articolo. È sufficiente dire che l’universo del discorso è la vera realtà e i fenomeni sono tali solo in quanto vengono interpretati da una o più “prospettive”. Il prospettivismo nietzschiano è allo stesso tempo una teoria gnoseologica e una teoria morale: il mondo è interpretato da diversi punti di vista e ciò non ha solo implicazioni conoscitive, ma anche implicazioni morali. A questo punto, sorge spontanea una domanda: esiste una “prospettiva” che ha più valore rispetto alle altre? Se in linea teorica, le “prospettive” possibili sono infinite, tuttavia il prospettivismo si fonda un su modello relazionale, nel quale le singole prospettive assumono valore e significato solo se messe in relazione con tutte le altre. Anche se è innegabile che in Nietzsche vi sia una componente individualistica, bisogna tenere presente la critica che egli fa della nozione di “Soggetto”: ciò che impropriamente chiamiamo “Soggetto” o “Io” è in realtà una costruzione mentale; i singoli individui sono un insieme di impulsi e stimoli, coscienti e inconsci, e ciò che chiamiamo “Soggetto” è il loro centro gravitazionale. Dunque, si parlerebbe correttamente se si parlasse di più soggetti che confluiscono in uno stesso “centro di forza”.
Ma ciò che è utile ai fini di questo articolo è indagare il risvolto pratico di questa teoria. In La volontà di potenza, Nietzsche afferma che «non esistono fenomeni morali, ma interpretazioni morali dei fenomeni». Non si danno valori assoluti, ma ogni valore è relativo e il suo contenuto trova una specificazione esclusivamente nella relazione tra diverse prospettive.
Il rifiuto della fondazione metafisica della morale ha un esito positivo: si apre lo spazio per una libertà “positiva” dell’uomo, che consiste nell’assunzione di responsabilità e nel farsi carico della creazione di nuovi valori. E dato l’inestricabile intreccio interpretativo nel quale siamo immersi, non sarà compito esclusivo dell’individuo creare nuovi valori, nonostante Nietzsche lo ascriva solo ad alcune personalità, ma della comunità nel suo complesso. L’oltreuomo nietzschiano, pur essendo un individuo che si situa al di là del bene e del male, è necessariamente invischiato all’interno di questo intreccio interpretativo: ogni singola prospettiva influenza ed è influenzata dalle altre. Non si tratta di essere d’accordo o meno con questa teoria nietzschiana, ma è interessante che lo stesso Nietzsche riconosca questa dimensione relazionale come essenziale.
In definitiva, il relativismo morale non è un destino ineluttabile, ma una scelta. La consapevolezza che nessun valore morale potrà mai essere assoluto e definitivo non significa negare la possibilità di un ordine valoriale. La nostra responsabilità individuale e i nostri sforzi devono indirizzarsi verso un dialogo aperto e continuo tra diverse prospettive, al fine di riconsiderare le comunità umane non più come monoliti, ma come luogo di incontro tra istanze e visioni differenti. È solo la sintesi di questa coralità di voci che può fondare, sempre provvisoriamente, il nostro orizzonte morale.
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