Perché non c’è (quasi) nulla da temere se il coronavirus muta
di TODAY (Redazione)
L’idea di una mutazione è intrinsecamente spaventosa per molte persone, ma gli esperti insistono sul fatto che sia prevedibile, e non sia quello l’elemento su cui concentrare l’attenzione. Che cosa abbiamo imparato in questo lungo anno
Sì, tutti i virus mutano, è quello che fanno. Gli scienziati creano un nuovo vaccino antinfluenzale ogni anno, ad esempio, solo per stare al passo. Per quel che riguarda il Sars-CoV-2, il virus che causa Covid-19, l’idea di una mutazione è intrinsecamente spaventosa per molte persone, ma gli esperti insistono sul fatto che sia prevedibile, e non sia quello l’elemento su cui concentrare l’attenzione. Le mutazioni come quelle a cui abbiamo assistito finora non avrebbero nemmeno un reale impatto sull’efficacia del vaccino secondo gli esperti. Nessuna risposta definitiva, perchè la scienza richiede tempo. E fino a un anno fa questo virus era sconosciuto.
Il coronavirus muta (tutti i virus mutano): dobbiamo preoccuparci?
I virus che codificano il loro genoma nell’RNA, come Sars-CoV-2, HIV e influenza, tendono a raccogliere rapidamente mutazioni quando vengono “copiate” all’interno dei loro ospiti, perché gli enzimi che copiano l’RNA sono inclini a fare errori. Dopo che il virus della sindrome respiratoria acuta grave (la “prima” SARS) ha iniziato a circolare negli esseri umani a inizio millennio, ad esempio, ha sviluppato una sorta di mutazione chiamata delezione che potrebbe aver rallentato la sua diffusione.
In Inghilterra qualche giorno fa è stata identificata una nuova variante del coronavirus, che potrebbe essere associata (non ci sono prove concrete fino a oggi) alla diffusione più rapida nel sudest dell’Inghilterra. E’ passato un anno dai primi casi di coronavirus, e in un anno di circolazione nell’uomo, è mutato a più riprese. Come tutti i virus a Rna, Sars-CoV 2 si replica generando una sorte di sciame di entità biologiche che fra loro presentano piccole variazioni. Fino ad oggi le mutazioni non hanno aumentato la pericolosità dell’agente virale.
Ci sono state poche varianti del nuovo nuovo coronavirus, meno di quanto il mondo scientifico si aspettasse. Nessuna variante è stata abbastanza significative da influenzare il comportamento del virus. E’ evidente che ogni nuova mutazione meriti attenzione. Tuttavia l’idea che in Inghilterra si sia sviluppata una variante sconosciuta del virus (magari più invasiva, più aggressiva o altro) è stata messa nera su bianco in un comunicato del ministro Hancock che ha parlato senza però fare nessun riferimento preciso a dati o alla natura della variante in questione.
“Sembrava una fesseria, e lo era – commenta a suon di dati Enrico Bucci sulla pagina Facebook Cattivi Scienziati – Per fortuna esistono i database pubblici” dai quali si possono agevolmente (non è un’operazione alla portata di tutti) rintracciare tutti i virus con questa mutazione identificati in Inghilterra.
Bucci spiega che che “è in espansione da settembre in quel paese un ceppo virale che porta anche la delezione 69/70 (una delle mutazioni a suo tempo trovate espanse nei visoni danesi, ma già nota da tempo)”. Non vi è nessuna evidenza che cambi “trasmissibilità, infettività, immunogenicità o pericolosità del virus. Lo stesso “ceppo inglese”, peraltro, è apparso anche in Sud Africa (dove comincia ora a circolare) e in Australia, dove però si è estinto”. Nulla di insidioso, e parlarne senza fornire dati, come fatto dal ministro della sanità inglese non sembra molto sensato. Incutere timori può anche essere contro-producente, perché poi non si riescono a distinguere pericoli veri dei pericoli irrealistici.
I coronavirus sono geneticamente stabili
Le mutazioni non impatterebbero sull’efficacia dei vaccini secondo Levon Abrahamyan, virologo presso l’Università di Montreal. “I coronavirus sono geneticamente stabili, ha detto, il che significa che mutano molto lentamente. Alcuni esperti stimano che il coronavirus accumuli circa due mutazioni al mese, che è considerato circa la metà del tasso stimato per l’influenza”. In sostanza, per eludere l’immunità, un virus è costretto a cambiare o replicarsi. Quando un virus tenta di replicarsi, raccoglie “errori”, secondo Abrahamyan. Questi errori – cioè cambiamenti accidentali nel suo RNA – possono diventare varianti o mutazioni. Sono meno comuni nel coronavirus rispetto all’influenza, in parte a causa delle sue proteine.
L’evidenza genetica sul virus suggerisce che è improbabile che i vaccini come quelli sviluppati da Pfizer, Moderna, Oxford-AstraZeneca avranno bisogno di molte modifiche in futuro poprio per il genoma relativamente stabile del virus. La maggior parte delle mutazioni osservate finora non hanno avuto alcun effetto apparente sul virus e solo una minoranza potrebbe modificare il virus in modo significativo, ad esempio rendendolo più contagioso. E’ un tema sul tavolo, è comunque importante “non nasconderlo sotto il tappeto” secondo Isaac Bogoch, esperto di malattie infettive al Toronto General Hospital. Ma la mutazione del virus non è un problema per ora. Era il 31 dicembre 2019 quando le autorità sanitarie cinesi hanno notificato un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan (Provincia dell’Hubei, Cina). Non è passato nemmeno un anno: c’è biosgno di più tempo, ci vorranno anni, per conoscere a fondo il comportamento del Sars-Cov-2. Nessuno ora può arrivare a conclusioni certe, definitive, scritte nella pietra.
I virus mutano: lo sta facendo anche il “nuovo” coronavirus. È un tentativo di conquistare nuovi ospiti. Le mutazioni si accumuleranno e porteranno a nuove varianti di virus, spinte dal nostro stesso sistema immunitario.
Fonte: https://www.today.it/attualita/coronavirus-muta.html
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