Nazionalizzare è necessario ma non sufficiente
di GILBERTO TROMBETTA (RI Roma; candidato sindaco Roma 2021)
Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Anche quelle, terribili e inaccettabili, delle vite umane. Com’era già successo con la tragedia del ponte Morandi – 43 morti perché i concessionari hanno anteposto i profitti alla sicurezza –, anche la tragedia del Mottarone è l’ennesimo fallimento delle privatizzazioni. Quattordici persone strappate alla vita perché davanti al profitto, per il privato, non viene niente. Neanche la vita.
D’altronde i monopoli naturali, come i trasporti, devono essere gestiti dal pubblico. Cioè dallo Stato. Perché lo Stato non è un’azienda, né una famiglia. E non può, non deve, essere gestito con le stesse logiche. Lo Stato ha altri compiti, assolve ad altri funzioni.
Quindi, oggi in Italia, basterebbe nazionalizzare i monopoli naturali e le imprese dei settori strategici (come l’Ilva)? No. La verità è che oggi in Italia non basterebbe. Perché la classe politica italiana degli ultimi 40 anni ci ha dolosamente legato mani e piedi col vincolo esterno. Obbligando lo Stato a comportarsi come un’azienda. Cioè anteponendo i profitti – l’avanzo primario – all’equità sociale. Lo Stato, secondo la nostra Costituzione, dovrebbe garantire la piena occupazione, salari dignitosi e l’uguaglianza sociale. Non la stabilità dei prezzi.
Eppure in nome del feticcio unionista siamo stati il Paese che, negli anni 90, ha privatizzato più di tutti. Sia in termini assoluti che in percentuale al PIL (circa il 10%). Siamo il Paese che ha accumulato il maggiore avanzo primario negli ultimi 30 anni: quasi 1.000 miliardi di euro sottratti all’economia reale, cioè alle tasche dei cittadini. Non solo in termini di salari, ma anche di qualità dei servizi. Come gli investimenti per le infrastrutture e per la loro la manutenzione.
L’Italia investe per le infrastrutture stradali appena il 21,8% di quanto faccia il Giappone (6.555.000.000 di euro contro 30.027.258.000). Per quanto riguarda la manutenzione stradale invece, l’Italia spende meno della metà del Giappone (7,3 miliardi contro 16,4). Nazionalizzare oggi in Italia – dentro la gabbia europeista – non porterebbe risultati tanto diversi da quelli a cui, increduli, assistiamo quando a gestire la cosa pubblica sono i privati.
D’altronde, lo abbiamo visto con i tagli scellerati al SSN. Che ci hanno fatto pagare, in termini di vite umane, un costo inaccettabile nell’ultimo anno. L’unica espansione imputabile all’austerità – quella imposta dalla UE con la disoccupazione naturale (NAIRU), con la deflazione salariale (NAWRU) e attraverso il feticcio dell’output gap – è quella dei morti. Perché la verità che viene fuori dai freddi numeri è una sola: l’austerità uccide. O ti costringe a toglierti la vita per la disperazione.
Eppure basterebbe chiamare le cose col loro nome. I morti dovuti all’austerità sono omicidi economici. E quegli omicidi hanno dei mandanti. Sono coloro che in nome un’ideologia superata e ingiusta, hanno scientemente ridotto lo Stato a essere gestito come un’azienda. Cioè mettendo il profitto davanti a ogni altra cosa. Davanti al diritto al lavoro. Davanti al diritto a un salario dignitoso. Perfino davanti alla vita.
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