Le proteste a Cuba stanno dividendo l’opinione pubblica dell’America Latina e gli osservatori internazionali e hanno animato l’isola caraibica con una veemenza senza precedenti nei sessantadue anni di governo rivoluzionario. A pochi mesi dall’addio definitivo della famiglia Castro al potere e l’ascesa di Miguel Diaz-Canel alla presidenza le tensioni tra la popolazione, le incertezze sul futuro e la crisi del Covid-19 hanno portato a un’eruzione magmatica di malcontento riverberatasi contro l’esecutivo di L’Avana.
Nel 2021 sembrerebbe quasi ovvio sottolineare che un ruolo fondamentale per la diffusione delle proteste sia stato giocato dai mezzi di comunicazione informatici e dalla rete internet. Ma a Cuba questo non è scontato. Nell’isola governata dai Castro gli effetti dell’embargo statunitense hanno portato per lunghi decenni a un vero e proprio isolamento dal resto del mondo sotto il profilo dell’accesso alle tecnologie più recenti. Per alcuni anni la supplenza dell’Unione Sovietica ha consentito l’afflusso di radio e televisioni; ma dopo la caduta della superpotenza comunista Cuba è rimasta di fatto esclusa dalla rete globale fino al diseglo concluso da Raul Castro e Barack Obama tra il 2015 e il 2016 con la mediazione di Papa Francesco.
Da allora, nota Quartz, la rete si è via via diffusa e, in particolare, dal 2018 in avanti “la costruzione della rete 3G ha consentito l’accesso di milioni di cubani a Internet” e aperto alla “creazione di contatti attraverso reti criptate come Telegram” che, nonostante il controllo continuo sulle comunicazioni da parte del governo, ha permesso l’apertura di canali di comunicazione interni al Paese, il rafforzamento del dialogo con la diaspora all’estero e, soprattutto, la diffusione di critiche e malcontenti riguardanti la gestione dei servizi pubblici, la corruzione, l’insicurezza sociale.
Nel 2017, sottolineando come la tecnologia stesse cambiando Cuba il National Geographic, in un reportage dedicato all’impatto del riavvicinamento dell’era Obama, sottolineò le conseguenze dello sbarco della tecnologia occidentale a Cuba, incentivata peraltro dal governo Castro. Dal 2015 al 2017, sono stati aperti internet café, installati zone pubbliche per la connessione al wi-fi, generata l’infrastruttura, consentito l’accesso a Facebook, Netflix, AirBnb. Per una complessa eterogenesi dei fini, i luoghi di accesso agli hotspot pubblici sono divenuti centri di aggregazione per contatti informali non vegliati dalle autorità.
Cuba non è certamente gravata dagli stessi problemi di sottosviluppo che attanagliano buona parte delle Americhe; ma vive una profonda asimmetria tra le aspettative elevate garantite in settori quali l’istruzione e la sanità e la presenza di profondi disservizi nell’apparato pubblico, di reti clientelari di gestione del potere, di una burocrazia gerontocratica. A animare le proteste sono i giovani, i maggiormente colpiti dall’assenza di ascensore sociale, di opportunità di rilancio, di possibilità paragonabili a quelle di chi ha potuto conoscere scenari diversi. Si tratta di problematiche di materia relativa, non assoluta: la rete consente un confronto continuo, rende insoddisfacenti gli standard di riferimento del proprio sistema nazionale.
La pandemia ha praticamente annullato gli introiti che Cuba aveva dal turismo dall’estero, vera e propria panacea sociale e fonte di valuta pregiata e redditi, in larga parte complementari allo stipendio ufficiale, per buona parte della popolazione. La diffusione dei lockdown nei principali Paesi di provenienza del turismo diretto verso Cuba ha preceduto lo sbarco dell’infezione sull’isola. L’ondata di contagi più recente ha messo alle corde un sistema sanitario ritenuto (a ragione) tra i migliori dell’America Latina ma poco predisposto ad affrontare emergenze critiche. Di tutto questo, i cubani avevano più evidenza di quanto il governo di L’Avana volesse e volesse ammettere a sé stesso grazie al tam-tam social.
L’hashtag #SosCuba è circolato per il web e ha percorso anche l’Isla Bonita. Dieci anni dopo, Cuba ha sperimentato la sua versione della primavera araba, mutatis mutandis: il primo moto di proteste in cui i social e il web hanno svolto un ruolo organizzativo di primo piano. Vpn e proxy sono utilizzate dai protestanti per aggirare i bandi imposti da L’Avana: secondo NetBlocks, un’organizzazione con sede a Londra che monitora l’accesso alla rete nel mondo, Facebook, Instagram, WhatsApp e Telegram sono stati in parte oscurati e bloccati da lunedì 12 luglio. La speranza di Diaz-Canel è che la nuova organizzazione di controllo possa frenare l’ondata delle proteste, ma la sensazione è che una volta esondato il fiume sia difficilmente riportabile nell’alveo.
Cuba, che nelle scorse settimane immaginava progetti di autonomia vaccinale e la produzione di uno smartphone autarchico nazionale, deve ora affrontare una crisi interna che, nell’era delle rivoluzioni globali nelle comunicazioni, viaggia grazie ai messaggi scambiati attraverso una classica rete in rame 3G disponibile da pochi anni. E gli avversari del governo socialista dell’Avana hanno compreso il peso strategico di internet: Ron DeSantis, governatore repubblicano della Florida sostenuto dai cubani che vivono esuli nel suo Stato, ha proposto di permettere che gli Usa facciano di tutto per garantire l’accesso alla rete ai protestanti cubani. Certamente internet si sta rivelando un vero e proprio asset critico per la protesta: ma lo scenario è in continua evoluzione e andranno valutate nei prossimi giorni le conseguenze del bando imposto dall’esecutivo. Il futuro di Cuba viaggia probabilmente su una stretta serie di fili che formano una rete Tlc superata per gli standard attuali ma vitale per gli equilibri sociali dell’Isla Bonita.
Fonte: https://it.insideover.com/tecnologia/il-ruolo-di-internet-e-degli-usa-nelle-proteste-a-cuba.html
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