Chiarimento preliminare: questo post non vuole essere un post “tecnico”, e tanto meno un post di difesa in punta di diritto, che lascio agli avvocati (sicché se avete intenzione di contestare il green pass, vi prego, consultate un legale). Questo è un post di riflessione su alcune criticità che, a mio modesto avviso, dovrebbero essere tenute in considerazione, qualora si decidesse di affrontare di petto l’ostacolo del green pass, con vaccini e tamponi annessi.
Prima di tutto, però, diamo notizia che proprio stanotte è stato pubblicato in GU il DL green pass sul lavoro nel pubblico e nel privato (DL 127/21). Vi risparmio il disagio che ho provato nel leggerlo. Non avrei mai creduto – sul serio – che in una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1 Cost.), il lavoro (art. 4 Cost.) venisse subordinato al possesso di un certificato governativo, né che si potessero emanare decreti legge con un termine iniziale di entrata in vigore posticipato di circa un mese, ignorando i criteri di necessità e urgenza previsti dall’art. 77 Cost.
Ma tant’è… ormai gli argini sono rotti, e dunque aspettarsi il peggio non è più un’eventualità, quanto una quasi certezza.
Vero è che contro il green pass, in teoria, gli strumenti giuridici di difesa sarebbero parecchi, ma, davvero, allo stato, andare per tribunali, per far valere l’illegittimità del green pass o la sua irrazionalità è un compito davvero arduo, viste pure le prime sentenze che sono state emanate. E non perché – ripeto – non ci siano ragioni giuridiche ben fondate, ma giusto perché esiste una sorta di impermeabilità diffusa alla razionalità e alla cultura costituzionale che opprime il nostro paese, sicché il green pass è visto, da una buona parte della popolazione, non già come un “pericolo”, ma come un’occasione di libertà, dimenticando che la vera libertà non è “libertà vigilata”, cioè sub poena del potere politico contingente, ma è libertà costituzionale, che non contempla in alcun modo, per il suo godimento, il possesso di un documento di certificazione/autorizzazione governativa.
Detto ciò, però, mi pare francamente fuori da ogni logica pensare che l’imposizione dell’obbligo di possedere ed esibire un documento di autorizzazione per lavorare (il cd. green pass) integri un reato che può essere denunciato all’autorità giudiziaria. Non si può definire “ricatto” (nella sua accezione penale, quale è l’estorsione) un requisito di legge per poter lavorare legalmente. Non stiamo, infatti, parlando di un arbitrio illegale, ma parliamo di una condizione di legge, che può essere contestata non già sotto il profilo penale, ma solo ed esclusivamente sotto il profilo lavoristico, amministrativo e, infine, costituzionale. Ciò perché il giudice ordinario o amministrativo non può sindacare gli atti politici, soprattutto qualora tradotti in una legge.
E qui ci vuole un’ulteriore precisazione per evitare dubbi e confusioni: non sto parlando dei vari reati contro la personalità dello Stato, in cui può inciampare chiunque amministri la cosa pubblica. Per quanto questi reati siano rilevanti, attengono a fattispecie non solo ben definite nella condotta criminosa, ma altamente difficili da riscontrare nella letteratura giurisprudenziale (salvo i casi di associazioni sovversive e terrorismo), e almeno, per quanto mi riguarda, non mi pare che l’obbligo del green pass intregri un qualsiasi reato contro la personalità dello Stato.
Se questo è vero, a mio avviso appare del tutto inutile denunciare pure il vizio del consenso, qualora si decida di sottoporsi a vaccino per ottenere il green pass. Se è pur vero che, a fronte della sottoscrizione di un consenso informato, esiste invero una “costrizione” surrettizia a vaccinarsi (causa lavoro), è altresì vero che la legge – in questo caso – offre una (seppur blanda) alternativa non vaccinale: il tampone. Parlare di vizio del consenso, in questi casi, non sembra particolarmente vincente: la legge (salvo per i sanitari) non obbliga a vaccinarsi, ma obbliga solo ad avere un green pass. Che poi sia dato da tampone o da vaccino non è formalmente rilevante, se non per la durata.
Ma…
Ma qui si potrebbe dire: fatta la legge, trovato l’inganno. Per quanto sia vero che il vaccino non è obbligatorio, e dunque parlare di consenso viziato risulta essere più che altro un’ipotesi di scuola, si potrebbe sostenere che, vaccino o tampone, siamo comunque dinanzi a una profilassi sanitaria globalmente intesa. O meglio a un obbligo, nemmeno surrettizio, di trattamento sanitario, perché le uniche condizioni alternative per ottenere il green pass (quale condizione per lavorare) sono appunto il sottoporsi a vaccino o a tampone, che sono in questi termini le due facce del medesimo trattamento sanitario. Sicché qui verrebbe in gioco, senza ombra di dubbio alcuno, l’art. 32 Cost., comma 2, che stabilisce che qualsiasi trattamento sanitario obbligatorio deve essere previsto per legge e non deve – attenzione! – violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, cioè deve essere imposto nel rispetto della dignità umana.
E allora ci si domanda: il trattamento sanitario in tandem vaccino/tampone può essere considerato trattamento sanitario obbligatorio che rispetta la dignità umana, tenendo presente che il vaccino non impedisce l’infezione né il contagio, e il tampone ogni 48 ore è un trattamento fisicamente e psicologicamente avvilente, e visto che, l’uno o l’altro, sono una condicio sine qua non all’esercizio di un diritto fondamentalissimo, quale è il lavoro, che è, appunto, fonte di dignità umana?
Ecco. Qualora si decida di avventurarsi in un tribunale, si potrebbe puntare sul considerare il vaccino e il tampone come un trattamento sanitario unicamente inteso dal quale non ci si può sottrarre, sicché si configura come incontestabilmente obbligatorio. Questo mi pare fondamentale qualora si voglia obliterare il green pass sotto il profilo costituzionale. Obliterazione che può essere avanzata sotto il profilo dell’art. 32, dell’art. 4 connesso all’art. 35 e 36 (v. qui), e persino dell’art. 77 Cost.
Peraltro, sulla certificazione verde emergerebbero anche altre criticità. Tenendo presente che non esiste obbligo vaccinale e tenendo presente che il green pass da vaccino è misura politica, in quanto è esclusivamente preordinata a spingere i cittadini a vaccinarsi, e tenendo conto che il datore di lavoro deve garantire la sicurezza sul lavoro (DLGS 81/2008), è chiaro che il lavoratore deve avere la garanzia che il proprio collega non gli trasmetta l’infezione. Ebbene, su questo aspetto, il green pass (soprattutto quello da vaccino) non può considerarsi DPI sufficiente per affermare che l’attività lavorativa viene svolta in sicurezza per i lavoratori.
Ma tante sono le criticità che possono essere rilevate. Torniamo però all’irrazionalità del green pass come misura di contenimento dell’epidemia. Ebbene, come già si è detto, la predetta certificazione non è misura sanitaria idonea a garantire dalla diffusione dei contagi, né a scongiurare l’infezione (lo testimoniano i vari documenti scientifici, e soprattutto i dati covid dei paesi ad alta copertura vaccinale come Israele o Gran Bretagna), ma è misura politica il cui scopo è “spingere gentilmente” i non vaccinati a vaccinarsi (il tampone, in tal senso, collabora allo scopo). E questo, attenzione, è un aspetto più che dirimente; un aspetto sulla base del quale è lecito chiedersi (e chiedere a un giudice) su quali presupposti costituzionali poggerebbe la legittimità del green pass come strumento idoneo a comprimere il diritto al lavoro ex-art. 4? Certo è che, per quanto mi riguarda, questi non troveranno mai cittadinanza nel primo comma dell’art. 32 Cost. e certo non nel comma secondo, in primis perché il diritto al lavoro è diritto che non può essere derogato dall’art. 32, e poi perché, non essendo strumento idoneo a contenere i contagi o a impedire l’infezione, non soddisfa il precetto della norma costituzionale. Con il possesso del green pass, infatti, non viene affatto tutelata la salute individuale né viene soddisfatto il relativo interesse collettivo. E non viene soddisfatto – anzi è violato – il principio secondo il quale ogni trattamento sanitario obbligatorio (che il green pass esige nella scelta alternativa vaccino/tampone) non deve violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, di cui la dignità è componente essenziale. E la dignità – sappiamo – viene sempre negata ogni qual volta si imponga al cittadino un trattamento sanitario avvilente (tampone ogni 48 ore) o la cui efficacia e i relativi effetti avversi sono ancora tutti da verificare (il vaccino), sulla base del quale poi egli potrà (sic!) esercitare il diritto al lavoro.
Troppi idioti non lo hanno ancora capito.