La nuova era tra Russia e Cina, la Turchia per l’Ucraina e altre notizie interessanti
di LIMES
LA “NUOVA ERA” DI RUSSIA E CINA [di Orietta Moscatelli]
Il presidente della Russia Vladimir Putin, ospite d’onore all’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino, ha incassato il ribadito appoggio cinese alle richieste di garanzie per la sicurezza strategica in Europa. Putin è tornato a Mosca un po’ più forte sul breve termine e forse un po’ meno convinto della piega che sta prendendo la “partnership strategica onnicomprensiva” con la Cina. Piega inevitabile.
Perché conta: Sotto enorme pressione sul fronte europeo da parte di Stati Uniti e Nato, nel vortice di una partita negoziale che non esclude rischi bellici, la Federazione russa non ha mezzi per arginare il crescente squilibrio nelle relazioni con Pechino e i rischi insiti in una eccessiva dipendenza economica.
La “nuova era” annunciata dal documento congiunto firmato da Putin e dal suo omologo cinese Xi Jinping – un’era immaginata post-americana – attira e preoccupa il Cremlino. Certo, in caso di nuove e più stringenti sanzioni occidentali, gli amici di Pechino verranno in aiuto. Lo faranno (ancora più di prima) nel ruolo di alternativa ai rapporti economici russo-europei, senza rinunciare ai propri interessi sul Vecchio Continente. Vanno in quella direzione i nuovi contratti commerciali, le ulteriori forniture di gas con accordi almeno ventennali, i lavori in corso per un progressivo sganciamento della coppia russo-cinese dal dollaro e dai sistemi finanziari occidentali. Un pacchetto utile per una Russia isolata e che si muove anche sulla scia del fabbisogno energetico cinese, previsto in termini di gas pari a quello globale europeo nel 2030, mentre l’Ue intende diversificare.
Ancora più utile per Pechino, che impone l’agenda e i ritmi negoziali alla Federazione, oltre ai prezzi.
Insomma: Ue e Usa sono avvisati, Mosca pure.
Per approfondire: Cina-Russia, la strana coppia
LA TURCHIA TRA RUSSIA E UCRAINA [di Daniele Santoro]
Il 3 febbraio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita ufficiale a Kiev, co-presiedendo insieme al suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky la decima riunione del Consiglio strategico di alto livello Turchia-Ucraina.
Perché conta: La trasferta di Erdoğan riflette la straordinaria importanza attribuita da Ankara alla potenziale invasione russa dell’Ucraina, che farebbe venire irrimediabilmente al pettine i nodi geopolitici insiti nello spericolato equilibrismo tra Stati Uniti e Russia, adottato a partire dal fallito golpe del 15 luglio 2016. Prevenire un conflitto in piena regola tra Mosca e Kiev è divenuta per la Turchia una priorità tattica decisiva, dal momento che altrimenti sarebbe costretta a compiere una scelta di campo che non può e non intende fare. Per questo Erdoğan si è calato nei panni dell’onesto sensale, cercando di mediare una tregua tra Zelensky e Putin. Quest’ultimo è atteso ad Ankara nelle prossime settimane per un incontro che il Reis concepisce come propedeutico a un successivo faccia a faccia tra i presidenti russo e ucraino. Che si offre di arbitrare in campo neutro.
Alla luce delle motivazioni che hanno indotto la Russia a premere militarmente sull’Ucraina – costringere gli Stati Uniti ad accettare un ordine mondiale fondato sulle sfere d’influenza – è altamente improbabile che l’iniziativa turca produca risultati concreti. Ma l’attivismo delle ultime settimane consente ad Ankara di attrezzarsi in vista del peggiore degli scenari, di prepararsi a sostenere la neutralità attiva che inevitabilmente caratterizzerebbe la sua postura in caso di conflitto.
La visita di Erdoğan conferma inoltre la crescente importanza del vicino settentrionale nell’equazione geopolitica turca. Per Ankara, Kiev è ormai un partner propriamente strategico. Soprattutto sotto il profilo militare. Oltre all’accordo di libero scambio, Erdoğan e Zelensky hanno raggiunto un’intesa per la coproduzione in Ucraina degli ormai celebri droni da combattimento Bayraktar Tb2, che verranno dotati di motori di produzione ucraina. Ultimo esempio della fiorente cooperazione tra i due paesi del Mar Nero. I motori ucraini propelleranno infatti anche i droni da combattimento turchi di terza generazione (Akıncı) e probabilmente gli aerei da guerra a pilotaggio remoto che nel prossimo futuro decolleranno dalla nave ammiraglia della Marina turca, la portaerei leggera Anadolu. Mentre Ankara puntella le capacità di deterrenza di Kiev fornendole i Tb2 e una variante delle corvette classe Ada (due unità sono in costruzione a Mykolaïv, altre due a Istanbul). Sviluppando al contempo relazioni di analoga profondità con Mosca, di cui gli S-400, la centrale nucleare di Akkuyu e il TurkStream sono le manifestazioni più evidenti.
Equilibrio geopoliticamente redditizio che l’eventuale invasione russa dell’Ucraina metterebbe eufemisticamente a dura prova.
Per approfondire: Kiev può far saltare la fragile intesa fra Turchia e Russia
L’UCRAINA DEGLI ALTRI [di Niccolò Locatelli]
Oggi il presidente francese Emmauel Macron è a Mosca per incontrare il suo omologo Vladimir Putin, mentre i ministri degli Esteri di Francia e Germania sono a Kiev. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è a Washington, dove incontrerà il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
Perché conta: Obiettivo dichiarato di tutti: scongiurare l’invasione russa dell’Ucraina. Obiettivo non dichiarato di Parigi: mostrare che la Francia – e in particolare il suo presidente, che ad aprile si gioca la rielezione – ha voce in capitolo sulle questioni più importanti per l’Europa. Obiettivo non dichiarato di Berlino: mostrare che il nuovo governo tedesco è in grado di tenere assieme l’attenzione ai diritti umani (che la porrebbe nel campo degli Stati Uniti, in opposizione a Russia e Cina) e gli interessi energetici (che rendono impossibile la rottura con Mosca, preoccupando Stati Uniti e paesi est-europei).
Per approfondire: In Ucraina la Russia vuole spaccare la Nato. Finora non c’è riuscita
LE NUOVE VIE DELL’ARGENTINA [di Niccolò Locatelli]
L’Argentina ha siglato il memorandum d’intesa con la Cina sulle nuove vie della Seta.
Perché conta: L’Argentina diventa il paese latinoamericano più importante ad aver aderito alla Belt and Road Initiative. Il documento sottoscritto durante il viaggio a Pechino del presidente Alberto Fernández ha valore simbolico, così come simbolico è da ritenersi il riconoscimento cinese delle rivendicazioni di Buenos Aires sulle isole Falkland/Malvinas (sotto sovranità britannica dal 1833) e quello argentino della politica di “una sola Cina” (ossia, la non-sovranità di Taiwan). È soprattutto il simbolo della crescente capacità cinese di affiancare la componente politico-diplomatica alla penetrazione economica nella parte centro-meridionale dell’emisfero occidentale.
Le conseguenze pratiche potranno essere di due tipi, solo uno dei quali gradito all’attuale governo peronista. Aumenteranno gli investimenti cinesi in Argentina (di oltre 23 miliardi, secondo lo stesso Fernández). Da tempo il rapporto non si basa più solo sugli scambi commerciali, ma prevede la partecipazione di imprese di Pechino nella costruzione di infrastrutture e opere strategiche.
Ma l’incremento delle attività cinesi in uno dei paesi più importanti del proprio emisfero difficilmente passerà inosservato agli occhi degli Stati Uniti. Washington, che ha già assistito con preoccupazione alla creazione di una base spaziale operata dalle Forze Armate di Pechino in Patagonia e all’interessamento cinese per la creazione di un polo logistico a Ushuaia, adesso ha un ulteriore motivo di allerta. L’accordo sul debito raggiunto tra Argentina e Fondo Monetario Internazionale (dunque essenzialmente Stati Uniti) poco prima del viaggio di Fernández a Pechino prevede un monitoraggio continuo da parte dei funzionari dell’istituzione di Bretton Woods. Può essere il grimaldello statunitense per tenere sotto controllo Buenos Aires.
Per approfondire: ArgenCina, così Pechino sfida la Dottrina Monroe
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